Da http://giulianolazzari.myblog.it
Si è scritto e letto molto sui circoli di qualità, sul lavoro di gruppo e sulla maggiore
partecipazione dei lavoratori sul luogo del lavoro.
Poco o nulla si è detto e scritto, invece, sulla dequalificazione del lavoro, sui ritmi di
produzione sempre più accelerati, sui maggiori carichi di lavoro e sulle nuove forme
di coercizione e di sottile intimidazione utizzate per costringere il lavoratore a sottomettersi
alle esigenze della produzione post-fordista.
Le tecnologie dell’informazione sono progettate per eliminare le ultime, pallide vestigia
del controllo che l’uomo ha sul processo produttivo, attraverso la programmazione di
istruzioni dettagliate direttamente nella macchina, che è così in grado di eseguirle alla
lettera.
Il lavoratore viene privato dalla capacità di esercitare il libero arbitrio, sia in fabbrica sia
negli uffici, e del controllo sul risultato, che viene pianificato in anticipo da esperti
programmatori. Prima del computer, il manager produceva istruzioni dettagliate in forma
di ‘schedulazioni’ che ci si aspettava venissero rispettate dai dipendenti; poichè l’esecuzione
dell’incarico era nelle mani dei lavoratori, era possibile introdurre nel processo un elemento
soggettivo: nel mettere in atto la pianificazione del lavoro, ogni lavoratore dava la propria
impronta personale al processo produttivo. Il passaggio della produzione pianificata alla
produzione programmata ha profondamente alterato il rapporto tra lavoratore e lavoro;
oggi un numero crescente di lavoratori agisce esclusivamente come osservatore, incapace di
partecipare o intervenire sul processo produttivo: qualunque cosa accade in fabbrica o nell’
ufficio è già stata pre-programmata da un’altra persona che potrebbe non partecipare mai
alla realizzazione del futuro che ha creato.
(J. Rifkin, La fine del lavoro)