…Piegarsi sotto il peso delle ripetizioni, nella mancanza di
opportunità, trascinare il proprio destino : la maledizione della
loro razza.
Piccole creature umane nella vastità infinita.
Ma nonostante ancora capaci di farsi grandi, quando la dimensione
unica dei giorni allenta la sua stretta oppressiva; e l’uomo fugge
in un altra dimensione e abbraccia la terra, si fa terra; e la terra si
fa uomo, con le sue montagne impenetrabili e le sue selvagge distese
inviolate, i suoi ghiacciai e le sue sorgenti calde, le sue piane buie e
le sue vette infuocate che sfavillano nel vento, le sue gole in cui i
fiumi ruggiscono precipitandosi tumultuosi, scavandosi un passaggio
tra le rocce, e intagliando sulle pareti di pietra immagini che l’uomo
affrancato in una razza di schiavi percepisce a tratti.
Sotto l’effetto di quella grazia, si dilata nella mente dell’uomo
l’immagine della sua razza, pietrificata, riflessa dalla roccia in un
mondo di giganti, di dei e di nani, che si apre all’impetuoso rombo
del fiume; combattimento vociante di pietra e acqua.
E da lì parte il ragazzo, divenuto poeta.
E vola sopra la sua terra sulle ali spuntate, tanto ampie da farlo
planare in ampi cerchi…
( Thor Vilhjàlmsson, Il muschio grigio arde, Iperborea )