I loro sforzi però non davano che scarsi risultati.
Gli ostacoli crescevano ad ogni passo, la pendenza aumentava,
i massi di ghiaccio si accumulavano per ogni dove costringendoli
ad aprirsi una via colle scuri ed il freddo diventava così intenso,
da intirizzirli.
Non fu che verso la sera del 18 dicembre, cioè dopo otto giorni
d’incredibili sforzi, che poterono finalmente giungere sulla cima
di quella catena, dopo aver affrontato 100 volte il pericolo di scivolare
negli abissi o di farsi schiacciare dai ghiacci che precipitavano dall’alto.
Di lassù, a 5000 piedi d’altezza, la vista spaziava su un immenso tratto
di quella regione del gelo e delle nevi.
A destra e sinistra si estendevano due immensi ghiacciai, due veri
fiumi di ghiaccio in movimento, i quali scintillavano sotto i raggi del
sole e che tuonavano sordamente e quasi senza interruzione.
Al nord si estendeva la grande pianura che gli esploratori avevano
percorsa nei giorni precedenti, e al sud un’altra immensa pianura
ondulata, interrotta qua e là da alcuni picchi isolati, imporporati
dal sole.
( E. Salgari, Al Polo Australe in velocipiede, Limina )