L’UOMO BIANCO NELLA TERRA BIANCA

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Papik avrebbe ben presto avuto bisogno di quanti amuleti

poteva portare, visto che un nuovo pericolo stava sorgendo

ad accrescere gli ostacoli naturali dell’Artide.

Quando Ivalù aveva quasi quattro anni, un gruppo di e-

sploratori si spinse tanto oltre il circolo polare che Ernenek

e Asiak ne avvistarono l’accampamento nell’aurora boreale

e non seppero resistere alla tentazione di visitarlo.

La spedizione era composta da otto uomini bianchi e di

Eschimesi più numerosi che un uomo contato fino in fondo.

Ancor più impressionante era il numero delle slitte e dei ca-

ni:

19 slitte e una vera fiumana di cani.

Gli eschimesi provenivano da lontane tribù meridionali le

cui usanze erano assai diverse da quelle degli uomini polari:

spesso bollivano la carne, mangiavano i cibi dell’uomo bian-

co e seguivano molte sue usanze.

Gli esploratori credevano che quegli indigeni fossero capaci

di guidarli con sicurezza e perizia attraverso le zone gelate,

ma Ernenek non la pensava così.

Secondo lui, gli Eschimesi meridionali non sapevano molto

più dell’uomo bianco, il che era ben poco; e talvolta ne sape-

vano ancora meno.

Gli stranieri solevano portarsi dietro fin dalla partenza tutto

il cibo e il combustibile necessari in un viaggio. Per strada eri-

gevano tende che il vento portava via o grandi case di neve

che cercavano di riscaldare con stufe a carbone, ma invano,

a causa delle dimensioni degli ambienti.

Inoltre avevano bisogno di numerose slitte per trasportare il

carbone, e di altre slitte per le stufe. Poi occorrevano slitte sup-

plementari per trasportare il cibo per i cani che tiravano il car-

bone e le stufe.

Quindi erano necessari altri Eschimesi per badare a quei cani,

e a quelle slitte, e questi Eschimesi a loro volta necessitavano

di cibo e combustibile, finché tutta la faccenda diveniva un

circolo vizioso senza uscita.

Quando Ernenek si mise a rovistare nelle casse degli esplorato-

ri, ricevette una bastonata sulle dita; e quando, più tardi gli of-

frirono un po’ d’acqua di fuoco, si convinse che gli erano deci-

samente ostili e decise d’andarsene.

Sarebbe stato meglio se lo avesse fatto.

(H. Ruesch, Paese dalle ombre lunghe)





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NESSUNO TI AIUTERA’ IN QUESTO MONDO

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Sono venuto fin quaggiù a cercare gli Hopi, perché sono

rimasti fedeli alla tradizione, e non si sono fatti sommer-

gere dal turismo e dal progresso.

Anche se i bisonti sono finiti nei parchi, coi bufali e gli

alci e i cani della prateria, rarità per zoologi e per curiosi,

anche se sui sentieri sono fioriti motel e i distributori di

benzina, anche se, invece delle carovane degli agricoltori,

arrivano adesso le roulottes dei geologi che cercano uranio

o piantano pozzi, gli Hopi sono rimasti chiusi nelle loro tra-

dizioni e nella leggenda.

Odiano le macchine fotografiche e i visitatori, obbediscono

ai capi, le donne cuociono il pane nei forni, tessono, dipingo-

no la terracotta, come una volta; gli Hopi non escono che ra-

ramente dalle 4000 miglia quadrate che furono assegnate,

agli sfortunati predecessori, da ‘quelli di Washington’, e so-

no lontani nel tempo, nella psicologia, nella fede.

Seppelliscono ancora i loro morti tra le pietre, e nei vasi, sulle

tombe, mettono acqua e frutti, si raccolgono nel kiva, dove in

origine si conservava il frumento e si cremavano i defunti, e il

segreto ricopre le loro preghiere, e nasconde le danze che cele-

brano in novembre, nei giorni più freddi e più brevi, l’inizio

dell’anno rituale.

Rispettano la memoria degli avi, e alla Trading Post di Keams

Canyon, dove si mangiano polpette e uova, e dove si compera-

no sete colorate, scarpe, brillantine per tener ordinati i lucidi

capelli, accanto al manifesto che annuncia il prossimo rodeo,

c’è il ritratto del grande e coraggioso Geronimo.

Di lui ricordano le esortazioni che rivolse al figlio:

” Ragazzo mio, tu sai che nessuno ti aiuterà in questo mondo.

Devi fare qualcosa.

Corri fino a quella montagna e torna indietro.

Questo ti renderà forte.

Ragazzo mio, tu sai che nessuno è tuo amico, neppure tua so-

rella, tuo padre, tua madre.

Le tue gambe ti sono amiche; il tuo cavallo ti è amico; il tuo

lupo ti è amico; la tua vista ti è amica; le tue mani ti sono amiche;

di questo devi fare qualcosa”.

(Enzo Biagi, America)





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