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E’ vero che i diplomatici, che consacrarono la loro vita alla menzogna, sono
talmente abituati all’ipocrisia da non accorgersi nemmeno dell’insanità
delle loro proposte, ma come fanno i semplici mortali a non capire che
una conferenza internazionale per il disarmo non ha per scopo la pace
bensì nascondere agli uomini il solo mezzo di liberarli dai mali della
guerra, vale a dire il rifiuto di partecipare agli omicidi militari?
Si assicura che i conflitti fra governi saranno regolati da un tribunale di
arbitrio.
Ma oltre i conflitti saranno giudicati non dai rappresentanti del popolo,
ma da quelli dei governi, e che così niente garantirà l’equità di queste
decisioni, chi eseguirà le sentenze di questa corte?
Gli eserciti.
Gli eserciti di chi?
Quelli di tutte le potenze.
Ma le loro forze non sono uguali.
Chi, per esempio, assicurerà, sui continenti, l’esecuzione della sentenza svantaggiosa
per la Germania, la Russia e la Francia alleate fra loro?
Oppure, chi applicherà, sul mare, la decisione contraria agli interessi dell’Inghilterra,
della Francia, dell’America?
Così, le decisioni della corte di arbitrato contro la violenza militare saranno applicate
dalla forza militare; diversamente detto: la forza che si deve limitare servirà da mezzo
di limitazione. Per prendere l’uccello, bisogna mettergli il sale sulla coda.
Io, mi ricordo che un giorno l’assedio di Sebastopoli, dove io mi trovavo fra gli aiutanti
di campo del generale Saken capo della guarnigione, nel salone di ricevimento, entrò
il principe Usarov, ufficiale molto bravo, originalissimo e nello stesso tempo uno
dei migliori giocatori di scacchi di tutta l’Europa a quella epoca.
Egli dichiarò di dover parlare al generale. L’aiutante di campo l’introdusse nel gabinetto
di quest’ultimo. Dieci minuti dopo, Usarov passava innanzi a noi, coll’aria scontenta.
L’ufficiale che l’aveva accompagnato ritornò verso noi, e ridendo ci raccontò il momento
della visita di Usarov a Saken. Egli era venuto a dirgli di proporre agli inglesi un torneo
a scacchi avente come posta di gioco la prima trincea situata innanzi al quinto bastione,
che molte volte era passata da un campo all’altro ed era costata qualche centinaio di vite.
Evidentemente, sarebbe stato preferibile giocare la trincea agli scacchi che uccidere
degli uomini; ma Saken non accettò la proposta di Usarov, comprendendo benissimo
che, per giocare la trincea agli scacchi, sarebbe bisognato soprattutto che vi fosse stata
confidenza reciproca nell’esecuzione della clausola.
Ora, la presenza degli eserciti schierati innanzi la trincea e i cannoni diretti su di essa
mostravano che questa cofidenza non esisteva. Finché vi erano delle truppe dall’una
e dall’altra parte, era chiaro che l’affare si doveva decidere, non cogli scacchi, ma colla
punta delle baionette.
Lo stesso avviene per ciò che riguarda le questioni internazionali.
Perché esse possano essere regolate da una corte arbitrale, deve esistere fra gli Stati
una confidenza intera e reciproca nell’esecuzione delle decisioni della corte.
Se questa confidenza esiste, gli eserciti sono inutili, se esistono degli eserciti la
confidenza non v’è più, e le questioni internazionali non possono essere regolate che
dalla forza.
Finché vi saranno degli eserciti, essi saranno impiegati, non solo ad acquistare nuovi
territori, come fanno ora tutte le nazioni, sia in Asia, sia in Africa, sia in Europa, ma
ancora a conservare con la forza ciò che è stato acquistato con la forza.
Ora, non si potrebbe fare delle conquiste e conservarle che trionfando degli altri; i
trionfi non si acquistano che mediante ‘grossi battaglioni’. E’ per questo che se il
governo ha un esercito deve averlo il più che possibile potente: e questo è per esso
un dovere. Se non adempie, esso è inutile come governo. Può fare molto nell’
amministrazione interna: liberare, istruire, arricchire il popolo; costruire strade,
canali, rendere abitabili dei paesi deserti, eseguire lavori di utilità pubblica, ma
vi è una sola cosa che il governo non può fare, proprio quella per cui si riunisce
la Conferenza: RIDURRE LE FORZE MILITARI.
(Lev Tolstoj, Una rondine fa primavera)
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