Che il tempo
che debba essere
gestito,
controllato,
organizzato in
vista dell’
acquisizione di
beni materiali,
della
saggezza
filosofica o della
salvezza
dell’anima;
che, viceversa,
la pigrizia e l’imprevidenza siano da condannare – ecco una serie di convinzioni che si
affermano in proporzione diretta all’instaurarsi delle costrizioni costitutive della civiltà.
A seconda delle circostanze, tali costrizioni hanno riguardato a volta a volta l’aspetto
morale dell’organizzazione del tempo o del suo aspetto materiale e, in qualche caso,
insieme, sia l’uno che l’altro settore, in cui una regolare assiduità era allora richiesta
in vista di un doppio profitto.
Non fare, del proprio tempo, l’impiego migliore possibile, equivaleva a perdere i
propri beni, la propria vita, la propria anima.
Questa prima constatazione ne introduce una seconda: più l’esigenza di una disciplina
del tempo si è fatta imperiosa, più l’individuo ad essa sottoposto è parso incline a
proiettare su spazi immaginari l’idea di una esistenza libera da ogni costrizione.
Parallelamente, dunque, alle regole della vita civile e all’obbligo di fare buon uso del
proprio tempo, si costruisce l’immagine antinomica di un ozio non ancora colpevole
o quella di un riposo futuro, riservato come ricompensa a coloro che non si saranno
dati riposo nella lotta contro le forze ostili alla salvezza; o, infine, quella di una vita
pastorale, in cui la necessità del lavoro e dell’organizzazione del tempo sia meno
pesante. Si potrebbe giungere sino ad affermare che, nella storia della cultura, il
privilegio dell’atemporalità riconosciuto ai fittizi giardini della felicità – paradisi,
‘paesi di nessun luogo’, Arcadie – ha corrisposto, in forma inversa e simmetrica,
alla costrizione che sottoponeva il tempo della vita quotidiana all’obbligo di un
uso scrupoloso. E, paradossalmente, sembra che lo sforzo volto a scongiurare
l’improduttività della pigrizia e dell’imprevidenza abbia contribuito a rendere
desiderabile un ozio liberato dal tempo, offerto in un orizzonte che trascendesse
la necessità delle occupazioni pratiche e della misura del tempo.
(Jean Starobinski, L’ordine del giorno)