Devo parlarvi dell’asino vero e invece mi viene da pensare a l’Asino, il mensile satirico e
anticlericale che nacque a Roma alla fine dell’Ottocento. Ma un perché c’è. Il suo fondatore,
Podrecca, aveva coniato uno slogan che così stabiliva: ‘Il popolo è come l’asino, sempre
bastonato, sempre contento’.
Frase su cui meditare, ma io non so né voglio dirvi del popolo, so però dell’asino.
So che di bastonate ne ha prese tante da quando gli è capitata la disgrazia, sei o settemila
anni fa, di divenire ‘servitore dell’uomo’. Infatti non sempre è un guadagno, per un animale,
essere addomesticato; almeno non l’è sotto il punto di vista, come si dice oggi, della qualità
della vita.
Sì, occorre distinguere.
Gli animali addomesticati hanno tutti guadagnato quanto a sopravvivenza della specie.
Loro, i domestici, sono numericamente esplosi hanno conquistato il mondo; i selvatici
progenitori sono invece andati quasi sempre estinguendosi. Non esistono più, o quasi,
gli antenati dei nostri bovini, equini, polli e così via. Ma che vita fa un pollo da batteria?
E un vitello da ingrasso? E fin qui il discorso è generale. Se poi si parla dell’asino, e proprio
di lui voglio parlare, allora davvero ci si accorge che il suo addomesticamento l’ha tirato giù
molto, come modo di vita. Se guardo indietro alla sua storia un po’ di pena la sento.
E mi chiedo: perché proprio a lui è capitato d’essere il più maltrattato?
Perché la sua sorte è stata, tanto per fare un paragone, così più dura di quella del cugino
cavallo?
Credo che, per avere una risposta, occorra tornare alle origini, all’asino selvaggio che ormai,
e anche qui la storia si ripete, quasi non esiste più.
E’ del Nordafrica l’antenato.
Qualche piccolo gruppo galoppante – costituito da un po’ di giumente, uno stallone focoso
e possessivo, i puledri – fortunatamente ancora esiste, e così può servirci da pietra di paragone.
Inoltre, rifacendoci al gruppo selvaggio, possiamo finalmente ammirare l’asino in tutta la
sua bellezza. E scopriamo un’animale elegante, sensibile, coraggioso. Ma scopriamo anche
altro: l’asino è animale quasi deserticolo, vive in zone aride, sa gettarsi giù per pendii
scoscesi senza mai farsi male; inoltre gli bastano, per nutrimento, rade mimose, cespugli
irti di spine, poca erba coriacea. Sopporta a lungo il digiuno e la sete, e non gli nuoce né
il gran caldo né il gelo. L’adattamento a quell’ambiente difficile l’ha insomma fatto una
stupenda macchina economica e resistente. E qui, proprio qui sta il guaio.
Il guaio sta qui perché l’uomo presto se ne accorse. Puledri selvaggi, figli verosimilmente
di giumente cacciate per procurarsi carne, vennero imbrigliati e portati vivi a casa. Poi
assoggettati, ammansiti, domati. Mi immagino la difficile caccia, l’aiuto consistente dei
cani, i bei cani egizi di colore fulvo, alti e slanciati, dalle lunghissime orecchie dritte e
puntute. Mi immagino la difesa della mandria facente fronte comune, collo stallone
sparante calci cogli arti anteriori, coi posteriori. E mi immagino la giovane età dei puledrini
catturati, indispensabile per la socializzazione coll’uomo. Così quei prigionieri, seppure
selvaggi di nascita e per genetica caratterizzazione, crebbero sviluppando uno specifico
attaccamento per il padrone, una generica confidenza per la specie umana.
Erano la generazione numero uno degli asini domestici.
(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)