sulla scelta della macchina, per
procedere prontamente e con
piena sicurezza verso quel
misteroso polo australe, che
fino allora aveva opposto le
sue immense barriere di
ghiaccio agli arditi tentativi
delle navi di tanti esploratori.
Si poteva dire, quasi con
certezza, che egli stava per
sciogliere felicemente la
secolare questione sui
mezzi meglio adatti per
poter raggiungere quel
punto, fino allora mai veduto
da alcun essere umano.
Se le navi avevano fatto cattiva prova, se le spedizioni pedestri erano terminate quasi tutte
con un completo disastro, quella macchina leggiera ma solida, che poteva filare sopra gli
immensi campi di ghiaccio con una velocità superiore a quella dei più agili od ai più
rapidi steamers moderni, poteva riuscire nell’ardua impresa e trionfare pienamente sulla
spedizione inglese che non disponeva che dei mezzi ordinari e assolutamente insufficienti
in quelle regioni del freddo.
Era bensì vero che gli esploratori americani avevano appena allora cominciato il viaggio
e che forse gravi pericoli li attendevano sull’immenso continente polare, il quale poteva
preparare a loro delle tremende sorprese, ma pel momento dvevano essere soddisfatti
ed anche sperare nella buona riuscita della spedizione.
Infatti il velocipede funzionava perfettamente bene e divorava la via procedendo senza
scosse e senza slittamenti, quantunque rimontasse la costa che era erta assai. Le gomme
dentellate pareva che si aggrappassero alla liscia superficie dei ghiacciai e guadagnavano
terreno con tale velocità, che in pochi minuti i tre esploratori si trovarono sulla cima delle
colline.
Volsero gli sguardi verso la costa e scorsero, fermi dinanzi alla capanna, Bisby ed i sei
marinai, che li salutarono per l’ultima volta agitando i loro berretti.
– Addio amici! gridò Wilkye.
Un hurrà fragoroso fu la risposta, poi quei sette uomini scomparvero.
Il velocipede superata la cima, scendeva l’opposto versante, seguendo un burrone ricoperto
di ghiaccio, muovendo diritto verso le immense pianure che si estendevano verso il sud,
fino ai piedi della lontana catena di montagne scorta il giorno innanzi.
In tre velocipedisti, mettendo in opera i freni per impedire qualche pericoloso scivolamento
che poteva produrre dei guasti al motore, giunsero felicemente nella pianura, la quale
scintillava sotto i raggi dell’astro diurno, come un immenso specchio.
La temperatura non era più rigida come sula costa: oscillava fra i 3° ed i 5° centigradi
sotto lo zero, accennando a rialzarsi allo zero, e qua e là si vedevano le tracce d’un
imminente sgelo. Infatti dalle alture cominciavano già a scendere dei piccoli torrentelli
che andavano a perdersi nella pianura e sotto al crostone di ghiaccio che copriva la terra,
si udivano di quando in quando dei muggiti, che parevano prodotti dallo scorrere dei
grossi torrenti. Qua e là s’aprivano poi delle fessure, dei lunghi crepacci che dovevano
però rinchiudersi durante la brevissima notte, e dovunue si udivano crepitii e detonazioni.
Quella pianura o meglio quel deserto di ghiaccio, era però affatto spopolato. Non si
vedeva, su quella candida superficie, alcuna macchia oscura che indicasse la presenza
di qualche foca o di qualsiasi altro animale. Solamente in aria volavano pochi Aenops
aura, puzzolenti uccelli che cadendo vomitavano una tale quantità di sterco, da infettare
l’aria per parecchio tempo.
– Ebbene amici, cosa dite di questo viaggio? chiese Willkye ai due velocipedesti.
– Che se non sopraggiungono delle disgrazie, noi vedremo ben presto il polo, disse
Peruschi.
– Ed io dico che non ho mai viaggiato così comodamente, disse Blunt. Un viaggio di
3000 miglia sui ghiacci!…..Tenterebbe molte persone, signor Wilkye.
(E. Salgari, Al Polo Australe in velocipede)
Da http://giulianolazzari.splinder.com