Nel Rinascimento la granata, che sotto
la sua scorza raccoglie
armonicamente i grani
color del rubino, era
considerata sacra a
Giunone come
‘conservatrice dell’
unione dei popoli’,
visti come tanti chicchi,
e suscitatrice di concordia
nella grande famiglia
sociale. Perciò, spiegava
alla fine del XVI secolo Cesare
Ripa nella sua ‘Iconologia’, si raffigurava la Concordia come ‘una bella donna che mostra gravità
e tiene nella mano destra una tazza con un pomo granato, nella sinistra uno scettro che in
cima abbia fiori e frutti di varie sorti, in capo haverà una ghirlanda di mele granate con le
foglie e i frutti’. A sua volta l’Accademia, come congregazione di molte persone riunite per
perseguire un fine intellettuale comune, era simboleggiata dalla mela granata, la quale
infine concorreva a formare l’immagine della Conversazione: un uomo giovane, allegro e
ridente, vestito pomposamente con un abito verde, il capo cinto da una ghirlanda di alloro
e nella mano sinistra un caduceo che, invece delle due serpi allacciate, presenta un ramo
di mirto e uno di melograno, entrambi fioriti; e sopra le alette una lingua umana. Il giovane
è ritratto nell’atto di far riverenza, con una gamba sospinta indietro, mentre sul braccio
destro, teso in avanti come per abbracciare o ricevere un abbraccio, pende un nastro che
reca il motto ‘Veh soli’.
‘Il ramo della mortella e del pomo granato’, spiega il Ripa ‘ambidue fioriti con bei rivolgimenti
intrecciati insieme, significano che nella Conversatione conviene che vi sia unione e vera
amicizia e che anche le parti rendano di sé scambievolmente buonissimo odore e pigliare
insieme dalle dette piante, essendo tra di loro si amano tanto che, quantunque posti lontanetti
l’una dall’altra radice, si vanno a trovare e si avviticchiano insieme a confusione di chi sfugge
la Conversatione’. L’uomo è giovane perché secondo l’iconografia i giovani si diletterebbero
più degli anziani a vivere insieme. E’ ridente e vestito di verde perchè questo colore indurrebbe
all’allegria. L’alloro ammonisce a rendere ogni conversazione virtuosa e mai viziosa. La lingua
sopra le alette ci ricorda che la natura ha dato parola all’uomo non perchè parli con sé
medesimo, ma perché esprima amore e affetto agli altri. L’atto di far riverenza e il braccio
aperto dimostrano a loro volta che conversando occorre essere cortesi e benigni verso chi è
degno della ‘vera e virtuosa conversatione’.
Anche un poeta del Novecento volle ispirarsi al melograno.
Nel vestibolo della Priora, al Vittoriale degli Italiani, una colonna di pietra dono di Assisi a
Gabbriele d’Annunzio, sostiene un canestro colmo di melograne. Quei frutti, che in vetro, in
pietra, in rame, disseccati o dipinti, sono sparsi in ogni stanza, non sono una decorazione
causale: molti anni prima infatti, nel 1898, egli aveva voluto intitolare ‘I romanzi del melograno’
un ciclo narrativo di cui scrisse soltanto la prima opera, ‘il fuoco’, per trarre delle melegrane,
che in autunno, schiudendosi, lasciano intravedere i grani rossi, il simbolo della fecondità del
poeta.
(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)