VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan) (3)

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Ai primi dischi registrati                                           mulligan1.jpg 

col quartetto nell’estate

del 1952, ne seguirono

subito altri incisi per la

Fantasy e ancora per la

Pacific Jazz.

Molti dei pezzi erano

composti dallo stesso

Mulligan, come ‘Bernie’s

tune’, ‘Line for Lyons’,

‘Barksdale’, Nights at the

turntable’, ‘Walkin’ shoes’,

‘Soft shoe’; altri erano basati su standards, come ‘Carioca’, ‘Lullaby of the leaves’, ‘The lady

is a tramp’ e ‘My funny Valentine’ che fu il primo successo del quartetto. Tutti i brani

avevano comunque, nell’esecuzione, lo stesso ineffabile profumo.

Fin dalle prime incisioni col quartetto, Mulligan rivelò infatti la sua spiccata personalità,

esponendo il suo credo musicale. La musica del complessino è quieta e apparentemente

dimessa (‘ciò che voglio è un JAZZ DA PIPA E PANTOFOLE: PROPRIO PIGRO’, disse

in quei giorni…’), e tuttavia molto elegante e piena di scatto: le linee melodiche sono

cantabili e garbate. E’ una musica casta eppure frizzante, austera e al tempo stesso

carezzevole; talvolta marziale e più spesso beffarda, caricaturalmente dinoccolata.

E’ una musica, inoltre da cui è bandita ogni ridondanza: che si compiace di apparire

disadorna, rigorosamente essenziale. Apparentavano la musica del quartetto al cool

jazz nelle sue forme più tipiche per i toni sommessi e per l’illusione sottile, la 

grazia delle linee melodiche, la squisita musicalità degli assoli e del variato gioco 

dei fiati, che spesso improvvisavano in contrappunto. Ma il jazz di Mulligan era

più semplice e nitido del cool jazz, meno intellettualistico, ritmicamente più 

elastico, più rilassato e vigoroso, e, quel che più conta, orecchiabile. Per questo

piacque a quel più vasto pubblico che aveva fatto fatica a seguire la severa musica

di Tristano e quella, troppo ricca di sottigliezze, di Miles Davis.

Quanto allo stile strumentale di Mulligan, parve subito molto originale, e assai musicale

e raffinato di quello di Serge Chaloff, che fino allora aveva dettato legge fra i 

baritonsassofonisti moderni. Si trattava comunque della scarnificata espressione di un

mondo musicale che solo attraverso la polifonia si esprime compiutamente.

Il 1953 fu il primo anno trionfale del quartetto di Gerry Mulligan, che tornò molte

volte negli studi d’incisione californiana, in un’occasione avendo anche come 

solista aggiunto Lee Konitz. All’inizio di quell’anno risalgono pure due sedute

di registrazione con un tentette, un complessino di dieci elementi, in cui Mulligan

diede un nuovo convincente saggio delle sue capacità di compositore e di 

arrangiatore, sviluppando per mezzo di una più ricca strumentazione quanto

era già contenuto ‘in nuce’ nella musica del quartetto. Cominciato col vento in 

poppa, il 1953 si chiuse però molto male: in settembre il sassofonista fu 

arrestato, perché trovato in possesso di stupefacenti, e non fu rilasciato che a

Natale. Con discutibile tempismo, Baker gli chiese un cospicuo aumento di

retribuzione e si giocò così il posto nel quartetto. Fu rimpiazzato da Bob

Brookmeyer, uno specialista del trombone a pistoni, la cui pastosa voce 

strumentale si fondeva in modo ammirevole con quella di Mulligan.

Il nuovo quartetto fu presto inviato a Parigi per partecipare ai concerti organizzati,

alla Salle Pleyel, nel giugno 1954, in concomitanza col terzo Salon du Jazz, e

l’attenzione con la quale il pubblico francese, di solito turbolento e tutt’altro

che ben disposto nei confronti dei jazzmen bianchi, ne seguì le esecuzioni,

dimostrò quanto vasto fosse ormai l’uditorio della musica mulliganiana, al cui

successo si dovette in buona misura la ripresa della fortuna popolare del jazz

dopo un non breve periodo di crisi.

(A. Polillo, Jazz)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

mulligan2.jpg

 

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