Nominò un comiatato, nel quale ero compreso anch’io, per stilare il comunicato.
Nella stesura definitiva, il testo era il seguente:
“Lunedì 5 dicembre non pendete l’autobus per andare a lavorare, per andare in
centro, a scuola, o in qualsiasi altro luogo.
Un’altra donna negra è stata arrestata e incarcerata per aver rifiutato di cedere il
posto in autobus.
Lunedì non usate l’autobus per andare a lavorare, a scuola, in città, o per qualsiasi
altra destinazione.
Se lavorate, prendete un tassì, fatevi accompagnare in macchina
da qualcuno, o andate a piedi. Per sapere come comportarvi in seguito, lunedì
sera venite a un’assemblea che si terrà nella chiesa battista di Holt Street alle 19″.
Ero così emozionato che quella notte quasi non dormii, e la mattina dopo molto
presto andai alla chiesa per distribuire i volantini. Entro le 11 un esercito di donne
e di giovani aveva preso i settemila volantini per distribuirli a mano.
La questione degli autobus era uno dei punti dolenti di Montgomery.
Chi fosse venuto a Montgomery prima del boicottaggio degli autobus, avrebbe
sentito i conducenti rivolgersi ai passeggeri negri con appellativi come ‘negracci’,
‘scimmioni neri’, ‘vacche nere’. Avrebbe osservato come in molti casi i passeggeri
di colore salissero dalla porta anteriore, pagassero il biglietto e poi fossero costretti
a discendere, e risalire dalla porta posteriore, avrebbe visto come spesso, prima
che il passeggero negro avesse raggiunto la porta posteriore, l’autobus ripartisse,
dopo aver incassato il prezzo del biglietto. Ma peggio ancora: il visitatore avrebbe
visto passeggeri negri in piedi, accanto ai sedili vuoti. Non importava che non
salisse nessun passeggero bianco e che l’autobus fosse pieno di passeggeri di
colore: a questi ultimi era vietato occupare i primi quattro posti a sedere, che
erano riservati ai soli passeggeri bianchi.
Ma si arrivava ancora più in là.
Se il settore riservato ai bianchi era tutto occupato, da bianchi, e salivano in vettura
altri bianchi, spesso il conducente diceva ai passeggeri negri, seduti nel settore
non soggetto a restrizioni, di alzarsi e cedere il posto ai bianchi. Se si rifiutavano
venivano arrestati.
Nel tardo pomeriggio della domenica, dopo una dura giornata di lavoro, tornai a
casa e mi sedetti per leggere il gionale del mattino. C’era un lungo articolo che
parlava del progetto di boicottaggio. Mi accorsi che nel testo era implicita l’idea
che i negri si disponevano ad affrontare il loro problema nello stesso modo
adottato dai White Citizens Councils.
La lettura dell’articolo ebbe l’effetto di obbligarmi per la prima volta a riflettere
davvero sulla natura del metodo del boicottaggio. Fino a quel momento lo avevo
accettato in modo acritico, ritenendolo il mezzo migliore di cui potessimo disporre.
Adesso cominciavo a nutrire qualche dubbio.
Il nostro modo di agire era consono all’etica?
Il metodo del boicottaggio è fondamentalmente contrario alla morale cristiana?
Non è forse un modo negativo di impostare la soluzione del del problema?
Era vero che avremmo imitato il comportamento seguito da alcuni dei Consigli
dei cittadini bianchi?
Se anche da un simile boicottaggio avessimo ottenuto risultati pratici di carattere
durevole, poteva un mezzo immorale giustificare un fine morale?
Ognuna di queste domande esigeva una risposta onesta.
Dovetti riconoscere che il metodo del boicottaggio poteva essere usato per fini
contrari all’etica e contrari alla dottrina cristiana.
Per di più dovetti ammettere che proprio questo metodo era stato adottato in molti
casi dai Consigli dei cittadini bianchi per privare numerosi negri, oltre che persone
bianche di buona volontà, dei mezzi essenziali al sostentamento.
Certo però, dissi a me stesso, l’azione che noi progettiamo non potrebbe essere
interpretata nella stessa luce; i nostri scopi erano del tutto diversi.
Noi ci saremmo serviti del boicottaggio PER DARE VITA ALLA GIUSTIZIA E
ALLA LIBERTA’, E ANCHE PER PREMERE IN MODO DA OTTENERE I NOSTRI
DIRITTI.
(M.L. King, I have a dream)