LA CACCIA (3)

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Come silenziose conchiglie nautili, le prue leggere filavano sul mare, ma

solo lentamente si avvicinavano al nemico. Mentre guadagnavano terreno,

l’oceano diventava sempre più liscio, pareva stendere un tappeto sopra le

onde, pareva un prato a mezzodì, tanto serenamente si estendeva.

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Alla fine il cacciatore ansante venne così vicino alla preda, apparentemente

senza sospetto, che fu distintamente visibile la sua gobba, abbagliante che

scivolava sul mare come alcunché di isolato, continuamente circondata da

un anello ondeggiante della spuma più bella, lanosa e verdestra.

Egli vide le grandi rughe involute della testa leggermente sporgente in

avanti. Innanzi a essa, lontano, sulle morbide acque che parevano un tappeto

turco, procedeva la bianca ombra brillante dell’ampia fronte lattea, un musicale

sciacquio accompagnandone scherzosamente l’onda; dietro, le acque azzurre

rifluivano mescolandosi nella mossa vallata della sua scia, mentre di lato,

bolle splendenti si levavano e le danzavano intorno sui fianchi. Ma queste

bolle erano rotte dai piedi leggeri di centinaia di allegri uccelli, che ornavano

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il mare di piume leggere, e si alternavano nel loro volo irregolare. E come

un’asta di bandiera che si levi dalla chiglia dipinta di una galea, l’asta lunga

da poco spezzata di una lancia sporgeva dalla schiena della Balena Bianca

e, a intervalli, uno del nugolo di uccelli dai piedi leggeri, che svolazzavano

lì intorno, e passava sul pesce sfiorandolo come un baldacchino, uno di

questi, si appolaiava in silenzio dondolandosi su questo palo, le lunghe

penne della coda sventolanti come pennoni.

Un’allegrezza gentile, una forte dolcezza di riposo nella rapidità rivestiva

la balena nella sua corsa. Non il bianco toro, Giove, fuggendo a nuoto con

la rapita Europa aggrappata alle belle corna, con gli occhi amorosi e

ammiccanti fissi da canto alla ragazza, con costante velocità affascinante

correva dritto al recesso nuziale, a Creta; nemmeno Giove, non la sua

grande suprema maestà!, superò la gloriosa Balena Bianca mentre così

divinamente nuotava.

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Su ogni morbido fianco, in coincidenza con l’onda divisa che, lambendola

solo una volta, scorreva via via così lentamente su ogni fianco lucente, la

balena spandeva seduzioni.

Nessuna meraviglia allora che qualche cacciatore, indicibilmente trasportato

e attratto da tutta questa serenità, abbia osato assalirla, ma abbia fatalmente

scoperto che quella quiete non era che il rivestimento di uragani.

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Eppure tranquilla, seducemente tranquilla, oh, Balena, tu continui a nuotare,

per tutti coloro che per la prima volta ti vedono, non importa quanti tu ne

abbia prima in quello stesso modo beffati e sterminati.

(Melville, Moby Dick)

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LA CACCIA (2)

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Achab apparve, in tutta la sua statuaria presenza,

ordinò in fretta di modificare leggermente la rotta e di

restringere le vele. L’acuta sagacia che dettava questi movimenti fu più

che giustificata, allo spuntar del giorno, dallo spettacolo di una lunga

striscia lucida sul mare, proprio davanti alla prua, levigata con olio,

e simile, nelle piegate increspature d’acqua che l’orlavano, al liscio

segno metallico di qualche veloce ribollimento della marea presso

la foce di un corso d’acqua rapido e profondo.

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– Armate le teste d’albero! Fuori tutti!

Facendo frastuono con le estremità di tre pesanti manovelle sul ponte

del castelletto di prua, Daggoo svegliò i dormienti con colpi così da

Giudizio Universale che quelli parvero esalare dal boccaporto, tanto

fulmineamente apparirono con i vestiti in mano.

– Che cosa vedete?, urlò Achab, spianando la faccia al cielo.

– Nulla, nulla, sinore!, fu il suono che echeggiò in risposta.

– Il pappafico e i coltellacci. E da tutt’e due le parti.

Levate tutte le vele, sciolse la corda di sicurezza che serviva ad issarlo

alla testa d’albero di controvelaccio, e in pochi istanti ve lo sollevarono;

se non che, quando era soltanto due terzi del percorso, e scrutava innanzi,

nel vuoto orizzontale tra le vele di gabbia e quella di velaccio, levò nell’aria

un grido da gabbiano:”Soffia! soffia! La gobba come una collina di neve!

E’ Moby Dick!”.

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Accesi dal grido che parve riecheggiare contemporaneamente dalle tre

vedette, i marinai in coperta corsero alle attrezzature per vedere la famosa

balena che da tanto tempo inseguivano. Achab aveva ormai raggiunto il

suo posatoio finale, piedi al di sopra delle altre vedette, dato che Tashtego

gli stava proprio sotto, sulla testa dell’albero di velaccio, sicché la testa

dell’indiano era quasi al livello del calcagno di Achab. Da quell’altezza

si vedeva ora la balena distante qualche miglio da prora che rivelava,

a ogni rollio del mare, la sua alta gobba scintillante, e lanciava regolarmente

nell’aria il suo getto silenzioso. Ai creduli marinai parve la stessa sfiatata

silente che per tanto tempo avevano visto sotto la luna, negli Oceani

Atlantico e Indiano.

– E nessuno di voi l’ha vista prima?, gridò Achab rivolto ai marinai appollaiati

tutt’intorno a lui.

– L’ho veduta quasi nello stesso istante del capitano Achab, signore, e l’ho

gridato, disse Tashtego.

– Non nello stesso istante, non nello stesso….No, il doblone è mio, il Fato

riservò a me il doblone. Io solo, nessuno di voi avrebbe potuto avvistare

prima di me la Balena Bianca.

Laggiù soffia!

Laggiù soffia!

Ecco, di nuovo! Di nuovo!, gridò in toni strascicati e metodici, in sintonia con

i graduali prolungamenti dei getti invisibili della balena.

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– Sta per scandagliare! Dentro i coltellacci! Pronti alle tre lance.

Signor Starbuck, tu resti a bordo e tieni la nave. Timone, là! A sopravvento, a

sopravvento di un punto! Così: fermo, marinaio, fermo! Laggiù, le pinne si

muovono! No, no, soltanto acqua scura! Tutto pronto, là, con le lance? Pronti,

pronti! Calami, Starbuck, calami calami; svelto, più svelto!

E scivolò nell’aria fino al ponte.

– Va difilato a sottovento, signore, gridò Stubb – proprio dritto davanti a noi.

Non può aver visto la nave.

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– Sta’ zitto, marinaio. Pronti ai bracci! Giù il timone! Bracciare in su! Sbatte,

sbatte! Così: bene! Le lance, le lance!

Ben presto tutte le lance, eccetto quella di Starbuck, furono ammainate,

tutte le vele issate, tutte le pagaie al lavoro con una velocità che increspava

le onde, e scattarono sottovento, conducendo Achab all’assalto.

Un pallido chiarore di morte illuminò gli occhi incavati di Fedallah, un

orribile movimento gli rose la bocca.

(Melville, Moby Dick)

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