IL RACCONTO DELLA BALENA (quando e perché) (6)

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Quando, da ragazzo, studiavo il greco, imparai che hippos voleva dire

‘cavallo’ e che ‘potamos’ voleva dire ‘fiume’.

Gli ippopotami erano i ‘cavalli del fiume’.

In seguito, quando abbandonai il greco per la zoologia, non mi stupì troppo

apprendere che gli ippopotami non erano imparentati con i cavalli, ma erano

della stessa classe dei maiali, fra gli ungulati paradigitati, o artiodattili. Ora ho

saputo una cosa incredibile a cui stento ancora a credere, ma a cui pare proprio

debba rassegnarmi a credere: per gli ippopotami, i cugini viventi più prossimi

sono le balene!

Naturalmente, siccome le balene non hanno zoccoli e nemmeno dita, pari o

dispari che siano, sarà meglio adottare il termine scientifico ‘artiodattili’ (che

in greco, però significa appunto ‘paradigitati’, per cui siamo al punto di

partenza). Per amore di completezza, dovrei aggiungere che il nome scientifico

per gli ungulati come i cavalli è perissodattili. Da numerose prove molecolari

le balene risultano essere artiodattili, ma poiché in precedenza erano state messe

nell’ordine Cetacea e poiché gli artiodattili sono un ordine ormai consolidato,

è stato coniato un nuovo ibrido: Cetartiodactyla, cetartiodattili.

Le balene sono meraviglie della natura; nel loro novero rientrano le creature

più grandi che si siano mai mosse su questa Terra. Nuotano con movimenti

dall’alto verso il basso della spina dorsale, che derivano dal galoppo dei

mammiferi, e tale movimento si contrappone a quello ondulatorio dei pesci

che nuotano o di una lucertola che corre. Gli arti anteriori sono usati per

navigare e mantenere la stabilità. Non vi sono arti posteriori visibili,

ma alcune balene hanno piccole ossa vestigiali della pelvi e delle zampe

nascoste in profondità nel corpo.

Non si fatica a credere che le balene siano strette cugine degli artiodattili

che di qualsiasi altro mammifero. Può sembrare strano, ma non certo

incredibile che la ramificazione a sinistra di un remoto antenato abbia

dato origine a un trasferimento in mare e alle balene, e una ramificazione

a destra a tutti gli ungulati artiodattili. Sbalordisce invece apprendere che,

secondo le prove molecolari, le balene sono incluse negli artiodattili.

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Gli ippopotami sono più imparentati con le balene che con qualsiasi

altro animale. Proprio alla balena mi riferivo, presentando i cetartiodattili,

ho detto che questo gruppo riservava una sorpresa.

E’ chiamata ‘ipotesi Whippo’, da whale e hippo, ‘balena’ e ‘ippopotamo’.

Tutto questo, naturalmente, se crediamo alle prove molecolari.

Che cosa dice la documentazione fossile?

All’inizio mi sono stupito di vedere che pareva confermare la nuova teoria.

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La maggior parte dei grandi ordini di mammiferi risalgono all’epoca dei

dinosauri, come si è visto a proposito della grande catastrofe del Cretaceo.

Ma all’epoca, che i loro discendenti fossero destinati  a diventare topi o

ippopotami, i mammiferi erano tutti piccoli come toporagni.

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Cominciarono realmente a diversificarsi subito dopo l’estinzione dei

dinosauri, 65,5 milioni di anni fa: solo allora presero a prosperare nelle

nicchie rimaste vacanti. Poterono raggiungere dimensioni corporee

ragguardevoli solo dopo la scomparsa dei dinosauri. Il processo di

evoluzione fu rapido e una vasta gamma di mammiferi di ogni forma

e dimensione vagò per la Terra durante cinque milioni di anni di

‘leberazione’. Dai cinque ai dieci milioni di anni dopo, in un’epoca

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compresa fra il tardo Paleocene e il primo Eocene, abbondano i

fossili di ungulati artiodattili. Altri cinque milioni di anni dopo,

tra l’inizio e la metà dell’Eocene, troviamo un gruppo chiamato

archeoceti, ossia ‘antichi cetacei’.

Gli scienziati perlopiù convengono che al suo interno si trovino gli

antenati delle odierne balene. Uno dei più antichi, il Pakicetus del

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Pakistan, trascorreva parte del tempo sulla terra. Tra gli archioceti

successivi si conta un esemplare dal nome infelice di Basilosaurus,

aveva un corpo lunghissimo e, se solo non fosse stato da tempo

estinto, avrebbe recitato a meraviglia il ruolo del gigantesco serpente

marino delle leggende. All’epoca in cui le balene erano rappresentate da

creature come Basilosaurus, gli antenati dell’ippopotamo erano forse membri

di un gruppo chiamato antracoteri, che in alcune ricostruzioni appaiono

molto simili agli ippopotami.

Tornando al problema delle ‘origini’, quali erano gli antenati delle balene

precedenti gli archioceti, prima del ritorno in mare?

(continua…)

(R. Dawkins, Il racconto dell’antenato)

Da  giulianolazzari.myblog.it

www.giulianolazzari.com

 

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PARENTESI DELLA CACCIA (mar dei massacri) (5)

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Verso la fine del 700, quasi tutte le balene delle ‘qualità migliori’ erano

state allontanate dagli approdi nordorientali dell’America. Ciò non toglie

che quelle acque fossero ancora piene delle varie specie che i primi

balenieri chiamavano ‘di qualità peggiore’ perché questi animali erano

in genere troppo veloci e agili per lasciarsi prendere, dopo la morte

difficilmente ricuperabili o irrecuperabili, in quanto andavano a

fondo, oppure poveri di olio in paragone alle balene franche.

La qualità inferiore comprendeva l’animale più grande mai

esistito sul pianeta: la balenottera azzurra. Certe balenottere

azzurre senz’altro eccezionali arrivavano a lunghezze di circa 30

metri e più e pesavano oltre un centinaio di tonnellate. Oggi ne

sopravvivono probabilmente alcune, lunghe più di 24 metri.

Ma poi, le superstiti sono così poche…

Benché di dimensioni quasi inimmaginabili, la balenottera azzurra

è un gigante gentile. Si nutre di Krill, piccoli organismi simili a

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gamberetti che l’animale filtra dall’acqua con l’aiuto di uno schermo

di 300-400 fanoni contenuti in una bocca enorme. Di forme

idrodinamiche perfette, la balenottera azzurra possiede un vigore

fisico quasi incredibile. Si sposta nonostante l’enorme corpo a

una velocità media di 8 o 9 nodi, ma può raggiungere, accellerando

l’andatura, di 20 nodi.

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La balenottera azzurra è il membro più eminente della famiglia delle

balenottere. La rassomiglianza tra le singole specie di balenotteri si

confonde a tal punto che gli scienziati sono riusciti solo recentemente

a mettersi d’accordo sulla suddivisione del genere. Di esso fanno

parte le balenottere azzurre, seguite dalle balenottere comuni che

raggiungono una lunghezza di circa 24 metri, e due specie quasi

identiche, le banenottere boreali e le balenottere di Byrde che

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arrivano fino a 18 metri. Infine abbiamo la relativamente piccola

balenottera minke, detta anche balenottera minore o rostrata, di

circa 10 metri.

Le balenottere rappresentano il gruppo più recente (cioè più

evoluto) di tutte le balene in possesso di fanoni. Ci sono tutti

i motivi per sospettare che la capacità del loro cervello non

sia molto lontana da quella del cervello umano, benché

sicuramente le balenottere non se ne servano per gli scopi ai

quali lo riserviamo noi. E prima di subire la nostra condanna a

morte, le balenottere furono anche la specie più abbondante delle

balene di grandi dimensioni. A prescindere dalle dimensioni e

dal colore, le varie specie di balenottere sono quasi indistinguibili

da un osservatore superficiale. Effettivamene, la balenottera minke

ebbe questo nome quando un baleniere norvegese chiamato Meincke

scambiò un gruppo vicino di queste balene di dimensioni piuttosto

ridotte con un branco di balenottere azzurre, molto lontane, un

equivoco che conferì al distratto personaggio un’immortalità non

desiderata.

Anche il comportamento e le vicissitudini di tutte le balenottere

sono essenzialmente simili, solo che la balenottera azzurra si nutre

esclusivamente di krill, mentre le altre possono anche mangiare certi

pesci piccoli come capelan, aringhe e così via se si presenta l’occasione.

Vivono molto a lungo, talvolta anche oltre gli 80 anni, sono eccezionalmente

veloci e graziose nei movimenti quando nuotano. Le balenottere boreali

sono capaci di raggiungere sott’acqua velocità prossime ai 25 nodi.

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Si aggirano un po’ dappertutto nel mare aperto, trascorrono l’inverno in

acque temperate o tropicali e migrano in primavera verso climi più freddi,

persino polari. A causa della loro estrema adattabilità alle condizioni dei

vari mari, non hanno bisogno di acque particolarmente protette per la

prole, e la loro prole, e le loro femmine partoriscono quasi tutte in mare

aperto. Molte, comunque, si avvicinano alla terraferma durante la primavera

e l’estate per approfittare della grande abbondanza di cibo esistente sui

banchi continentali e su quelli racchiusi nelle insenature. Quando il loro

destino era ancora roseo, erano molto socievoli e così si mostravano spesso.

Ancora nell’ultimo ventennio del secolo scorso, branchi di balenottere comuni

composti da oltre mille esemplari erano una vista abbastanza usuale.

Un certo Milne, comandante di un transatlantico della Cunard, che

attorno al 1880 ebbe la ventura di incontrare una simile assemblea di balenottere

nell’Atlantico del Nord, parogonò lo spettacolo a uno ‘spazio di mezza

contea pieno di locomotive tutte sbuffanti nubi di vapore come se ne

andasse della vita’.

Come accadde in molte famiglie unite da saldi vincoli, anche quella delle

balenottere conta tra i suoi membri un personaggio eccentrico. Si tratta della

balenottera o megattera nodosa, la balenottera gobba, l’humpback dei balenieri

anglosassoni, una creatura fuori del comune non solo per l’aspetto, ma anche

per il comportamento. Questo, che è uno degli animali più giocherelloni

esistenti al mondo, ha subito probabilmente nel corso dei tempi notevoli

mutazioni fisiche perché predilige evoluzioni complicate. La megattera

nodosa è anche celebre per la capacità addirittura di comporre e CANTARE

MELODIE INDIVIDUALI ABBASTANZA COMPLESSE E CON UN ACCENTO

CHE COMMUOVE. Il suo corpo è un tantino tozzo sembra un po’ troppo

corto in confronto alle forme squisitamente idrodinamiche delle altre balenottere.

(continua…)

(F. Mowat, Mar dei massacri)

un sito

www.seashepherd.org

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LA CACCIA (4)

E così attraverso le serene tranquillità del mare, fra onde i cui applausi

erano sospesi per l’estasi estrema, Moby Dick proseguiva, ancora celando

alla vista la pienezza dei terrori del tronco sommerso, nascondendo per

intero il tristo orrore della sua mascella.

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Ma presto la parte anteriore emerse lentamente dall’acqua; per un’attimo

tutto qunto il corpo marmoreo formò un grande arco come quello del ponte

naturale della Virginia, e ondeggiando ammonitrice la coda nell’aria come una

bandiera, il grande Dio si rivelò, si tuffò e sparì. Smettendo di volare e scivolando

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d’ala, i bianchi uccelli marini indugiarono bramosi sullo specchio d’acqua agitato

che esso lasciò. Con i remi alzati e le pagaie abbassate, le scotte delle vele alla

deriva, le tre lance galleggiavano calme, in attesa che Moby Dick riapparisse.

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– Un’ora, disse Achab, piantato a poppa della sua lancia, e gettò lo sguardo

oltre il luogo della balena verso i foschi spazi azzurri e gli ampi vuoti affascinanti,

a sottovento. Fu solo un istante, poiché nuovamente gli occhi parvero girarglisi

nel capo, come una vertigine, mentre sfiorava con lo sguardo il cerchio dell’

acqua.

La brezza ora si levava, e il mare cominciò a ingrossare.

– Gli uccelli! Gli uccelli!, gridò Tashtego.

In lunga fila indiana, come quando gli aironi prendono il volo, i bianchi uccelli

volano ora tutti verso la lancia di Achab, e quando furono a distanza di pochi

metri, cominciarono a sbattere le ali sull’acqua lì intorno, roteando tutto in

giro, con grida gioiose, d’attesa.

La loro vista era più acuta di quella dell’uomo:

‘Achab non poteva scorgere più nel mare alcun segno’.

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Ma a un tratto, mentre scrutava sempre più in fondo, negli abissi, vide laggiù

una bianca macchia vivente, non più grande di una donnola bianca che saliva

con una prodigiosa velocità, e salendo cresceva, finché si voltò e allora si

rivelarono due lunghe file sbieche di denti bianchi e brillanti, che venivano

su fluttuando dal fondo impenetrabile. Era la bocca aperta di Moby Dick e

la sua curva mascella, mentre la massa smisurata era ancora celata dall’

ombra quasi confusa con l’azzurro del mare. La bocca lucente si spalancò

sotto la lancia come una tomba marmorea aperta, e con un colpo di fianco

del remo da governo Achab allontanò l’imbarcazione da questa apparizione

tremenda. Poi, chiamando Fedallah perché scambiasse con lui il proprio

posto, andò avanti a prua e, afferrato il rampone di Perth, ordinò all’

equipaggio di agguantare i remi e star pronti ad arretrare.

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Ora, per via di questo tempestivo girare della lancia su se stessa, la prua

fu condotta in anticipo a fronteggiare la testa della balena, mentre questa

era ancora sott’acqua. Ma come se avesse avvertito lo stratagemma,

Moby Dick, con quella malvagia intelligenza che le si attribuiva, si trasportò

di fianco, per dir così, in un baleno, lasciando per il lungo sotto la lancia

la sua testa. Dappertutto, per ogni tavola e ogni costura, l’imbarcazione

per un momento fremette, e la balena, distesa obliquamente sulla schiena

come un pescecane che sta per mordere, lentamente a tastoni prese tutta

la prua in bocca, cosicché la lunga, stretta mascella ricurva si drizzò alta

nell’aria, e un dente si infilò in uno scalmo.

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L’azzurrino perlaceo dell’interno della mascella stava a meno di sei pollici

dal capo di Achab, e andava anche più in alto. In questa attitudine, la Balena

Bianca scosse ora il cedro leggero, come un gatto morbidatamente crudele

il suo topo. Con gli occhi impassibili Fedallah guardò e incrociò le braccia;

ma gli uomini dell’equipaggio giallo-tigrato ruzzolarono gli uni sulla testa

degli altri, per raggiungere l’estremità della poppa.

E ora, mentre entrambi gli elastici parabordi balzavano avanti e indietro, e

la balena si trastullava con la lancia condannata in questa maniera diabolica,

dato che, avendo il corpo sommerso sotto l’imbarcazione, non poteva essere

colpita da prua, perché la prua quasi l’aveva dentro, per dir così, e mentre

le altre lance si fermavano senza volerlo, come dinanzi ad una rapida crisi

cui sia impossibile opporsi, fu allora che il pazzo Achab, inferocito per questa

torturante vicinanza del nemico, che lo poneva, vivo e impotente, proprio

dentro quella mandibola che egli odiava, fu allora che Achab, in delirio per

tutto questo, afferrò con tutt’e due le mani nude il lungo osso, e come un

fosennato cercò di strapparne la presa.

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Ora, mentre così si accaniva invano, la mandibola gli sfuggì, i fragili parabordi

si piegarono in dentro, ricaddero e si ruppero, mentre le due mandibole, come

cesoie, insinuandosi ancora più verso poppa, divisero il legno perfettamente

in due, e si richiusero ermeticamente in mare, esattamente in mezzo ai due

relitti fluttuanti.

(Melville, Moby Dick)

…..Puoi aiutare se vuoi contro la ferocia del baleniere (giapponese e non)

Achab, in tutti i mari della vita, dove la natura è sempre presente e

viva, contro la falsità, l’ingordigia, l’inganno e la meschina ottosità di

ogni nave da lui comandata, …tutte le specie ‘animali’ (e non) in via di estinzione….

Segnalo una valida associazione…

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