E così attraverso le serene tranquillità del mare, fra onde i cui applausi
erano sospesi per l’estasi estrema, Moby Dick proseguiva, ancora celando
alla vista la pienezza dei terrori del tronco sommerso, nascondendo per
intero il tristo orrore della sua mascella.
Ma presto la parte anteriore emerse lentamente dall’acqua; per un’attimo
tutto qunto il corpo marmoreo formò un grande arco come quello del ponte
naturale della Virginia, e ondeggiando ammonitrice la coda nell’aria come una
bandiera, il grande Dio si rivelò, si tuffò e sparì. Smettendo di volare e scivolando
d’ala, i bianchi uccelli marini indugiarono bramosi sullo specchio d’acqua agitato
che esso lasciò. Con i remi alzati e le pagaie abbassate, le scotte delle vele alla
deriva, le tre lance galleggiavano calme, in attesa che Moby Dick riapparisse.
– Un’ora, disse Achab, piantato a poppa della sua lancia, e gettò lo sguardo
oltre il luogo della balena verso i foschi spazi azzurri e gli ampi vuoti affascinanti,
a sottovento. Fu solo un istante, poiché nuovamente gli occhi parvero girarglisi
nel capo, come una vertigine, mentre sfiorava con lo sguardo il cerchio dell’
acqua.
La brezza ora si levava, e il mare cominciò a ingrossare.
– Gli uccelli! Gli uccelli!, gridò Tashtego.
In lunga fila indiana, come quando gli aironi prendono il volo, i bianchi uccelli
volano ora tutti verso la lancia di Achab, e quando furono a distanza di pochi
metri, cominciarono a sbattere le ali sull’acqua lì intorno, roteando tutto in
giro, con grida gioiose, d’attesa.
La loro vista era più acuta di quella dell’uomo:
‘Achab non poteva scorgere più nel mare alcun segno’.
Ma a un tratto, mentre scrutava sempre più in fondo, negli abissi, vide laggiù
una bianca macchia vivente, non più grande di una donnola bianca che saliva
con una prodigiosa velocità, e salendo cresceva, finché si voltò e allora si
rivelarono due lunghe file sbieche di denti bianchi e brillanti, che venivano
su fluttuando dal fondo impenetrabile. Era la bocca aperta di Moby Dick e
la sua curva mascella, mentre la massa smisurata era ancora celata dall’
ombra quasi confusa con l’azzurro del mare. La bocca lucente si spalancò
sotto la lancia come una tomba marmorea aperta, e con un colpo di fianco
del remo da governo Achab allontanò l’imbarcazione da questa apparizione
tremenda. Poi, chiamando Fedallah perché scambiasse con lui il proprio
posto, andò avanti a prua e, afferrato il rampone di Perth, ordinò all’
equipaggio di agguantare i remi e star pronti ad arretrare.
Ora, per via di questo tempestivo girare della lancia su se stessa, la prua
fu condotta in anticipo a fronteggiare la testa della balena, mentre questa
era ancora sott’acqua. Ma come se avesse avvertito lo stratagemma,
Moby Dick, con quella malvagia intelligenza che le si attribuiva, si trasportò
di fianco, per dir così, in un baleno, lasciando per il lungo sotto la lancia
la sua testa. Dappertutto, per ogni tavola e ogni costura, l’imbarcazione
per un momento fremette, e la balena, distesa obliquamente sulla schiena
come un pescecane che sta per mordere, lentamente a tastoni prese tutta
la prua in bocca, cosicché la lunga, stretta mascella ricurva si drizzò alta
nell’aria, e un dente si infilò in uno scalmo.
L’azzurrino perlaceo dell’interno della mascella stava a meno di sei pollici
dal capo di Achab, e andava anche più in alto. In questa attitudine, la Balena
Bianca scosse ora il cedro leggero, come un gatto morbidatamente crudele
il suo topo. Con gli occhi impassibili Fedallah guardò e incrociò le braccia;
ma gli uomini dell’equipaggio giallo-tigrato ruzzolarono gli uni sulla testa
degli altri, per raggiungere l’estremità della poppa.
E ora, mentre entrambi gli elastici parabordi balzavano avanti e indietro, e
la balena si trastullava con la lancia condannata in questa maniera diabolica,
dato che, avendo il corpo sommerso sotto l’imbarcazione, non poteva essere
colpita da prua, perché la prua quasi l’aveva dentro, per dir così, e mentre
le altre lance si fermavano senza volerlo, come dinanzi ad una rapida crisi
cui sia impossibile opporsi, fu allora che il pazzo Achab, inferocito per questa
torturante vicinanza del nemico, che lo poneva, vivo e impotente, proprio
dentro quella mandibola che egli odiava, fu allora che Achab, in delirio per
tutto questo, afferrò con tutt’e due le mani nude il lungo osso, e come un
fosennato cercò di strapparne la presa.
Ora, mentre così si accaniva invano, la mandibola gli sfuggì, i fragili parabordi
si piegarono in dentro, ricaddero e si ruppero, mentre le due mandibole, come
cesoie, insinuandosi ancora più verso poppa, divisero il legno perfettamente
in due, e si richiusero ermeticamente in mare, esattamente in mezzo ai due
relitti fluttuanti.
(Melville, Moby Dick)
…..Puoi aiutare se vuoi contro la ferocia del baleniere (giapponese e non)
Achab, in tutti i mari della vita, dove la natura è sempre presente e
viva, contro la falsità, l’ingordigia, l’inganno e la meschina ottosità di
ogni nave da lui comandata, …tutte le specie ‘animali’ (e non) in via di estinzione….
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