LA CATASTROFE (17)

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Non ci può essere altra spiegazione….

alle aberrazioni disumane che vengono perpetrate sistematicamente giorno

dopo giorno, per fare un esempio, nei campi di concentramento voluti dai

totalitarismi.

E’ letteralmente un ritorno alle barbarie.

A meno che uno non si renda conto che gli esseri umani sono creature talmente

sociali, talmente civilizzate (anche se, presi uno per uno, può capitare che siano

persone spregevoli come marinai, rinnegati e reietti) che soltanto la più atroce delle

barbarie può reprimerli, non resta altro che la teoria secondo cui il male è insito

nella natura umana; questo atteggiamento, però, porta alla sfiducia e allo sconforto

che, al giorno d’oggi, sono sentimenti imperanti.

Totalitarismo e barbarie sono inscindibili, due facce della stessa medaglia: ecco

perché Melville fa sì che Fedallah e Achab siano inseperabili.

Il selvaggio sa con certezza che Achab è destinato a fallire, così come lo è il suo

tentativo di adattare l’industria e la scienza alla natura dell’uomo.

Fedallah attende il giorno in cui l’uomo si inchinerà di nuovo davanti al fuoco,

con un atto totalmente passivo come quello degli aborigeni che lo adorano.

E’ proprio questa l’essenza che Achab ha abbandonato.

Fedallah aspetta: Achab, ne è certo tornerà da lui.

Profetizza che sarà una corda a uccidere il capitano, il quale nel frattempo è

diventato incapace di fermare il pensiero su qualsiasi cosa si opponga al suo

progetto. L’ipotesi più ovvia è che la corda vada intesa come la sagola dell’

arpione ma Achab, pensando che si tratti della forca, ride della profezia.

Fedallah predice inoltre che la bara del capitano potrà essere fatta esclusivamente

di legno americano.

Intende la nave.

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Achab seppellirà se stesso nel naufragio della società industrializzata americana,

simboleggiata dalla sagola e dalla baleniera. Il capitano deride anche questa profezia

ma ben presto si zittisce, e i due ritornano a guardarsi in silenzio, giorno dopo

giorno.

L’interpretazione del personaggio di Fedallah dipende esclusivamente dalla

capacità di vedere Achab per quello che è. Soltanto se si parte dal presupposto che

Achab è un individuo singolo affetto da megalomania, da una crisi o da un disturbo

legato alla sfera personale, un distrurbo simbolico nel senso che è simbolo della

natura umana in genere, si può allora interpretare la figura del selvaggio come

spirito del Male, come il lato diabolico della personalità di Achab o cose del

genere. Questo porterebbe sì ad una lettura simbolica, ma soltanto della natura

umana a livello generale.

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Se al contario si considera Achab come un tipo specifico di essere umano, che

vive in un determinato momento storico e che è il prodotto di dinamiche storiche

particolari, allora Fedallah diventa lo spettro della barbarie, l’immagine dell’uomo

moderno in ginocchio di fronte ai piani economici, alle quote di produttività e a

tutto il corredo multiforme della civiltà moderna.

L’uomo, che pure sta al centro di questa macchina, si deve inchinare al suo cospetto,

cieco e impotente, mortificandosi come i selvaggi che si inchinano di fronte al fuoco

cinquemila anni fa.

(C.L.R. James, Marinai, rinnegati e reietti)

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LA CACCIA (16)

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La prua del ‘Pequod’ fu puntata e rompendo il cerchio incantato, separò

davvero la Balena Bianca dalla sua vittima. Mentre essa si allontanava

cupamente, le lance volarono in soccorso.

Tirato su Achab nella lancia di Stubb, con gli occhi accecati, iniettati di sangue,

il bianco salmastro rappreso nelle rughe, la lunga tensione della sua forza fisica

si spezzò, ed egli cedette disfatto all’accasciamento del corpo, giacendo per un

po’ tutto pesto sul fondo della lancia di Stubb, come uno schiacciato sotto i

piedi di mandrie di elefanti.

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Dal suo io più profondo uscivano lamenti senza nome, come suoni desolati

da burroni. Ma questa intensità della sua prostrazione fisica non fece che

abbreviargliela. Nello spazio di un istante, i grandi cuori talvolta concentrano

in un’angoscia abissale la somma totale di quelle sofferenze superficiali più

fortunatamente disperse sull’arco di tutta la vita a uomini più deboli. E così

simili cuori, quantunque assommino tanta sofferenza ogni volta, se gli dei

lo decretano, accumulano nella loro vita un secolo intero di dolore, tutto

fatto delle intensità di istanti, poiché proprio nel loro centro senza punto

queste nobili nature contengono l’intera circonferenza delle anime inferiori.

Il rampone, disse Achab alzandosi a mezzo, e appoggiandosi a fatica su un

braccio piegato ‘è salvo?’

– Sì signore, perché non è stato lanciato; eccolo, disse Stubb mostrandolo.

Allungalo davanti a me: marinai perduti?

– Uno, due, tre, quattro, cinque, c’erano cinque remi, signore, e qui ci sono cinque

marinai.

– Bene. Aiutami, marinaio. Voglio mettermi in piedi. Così, così, la vedo! Laggiù!

Laggiù! Va ancora a sottovento. Che getto scattante! Giù le mani da me! La linfa

eterna scorre di nuovo nelle ossa di Achab! Mettete la vela, fuori i remi, il timone!

Accade spesso che quando una lancia viene sfondata, il suo equipaggio,

raccolto da un’altra imbarcazione, aiuta il lavoro di questa seconda, e la

caccia viene così continuata con quelli che sono chiamati remi a doppio

banco. Ora fu così. Ma la forza accresciuta della lancia non uguagliò la

forza accresciuta della balena, poiché pareva che essa avesse triplicata

la forza di ogni sua pinna, nuotando a una velocità che chiaramente

mostrava come la caccia, se proseguita in queste circostanze, si sarebbe

prolungata indefinitivamente, se non disperatamente, e nessun equipaggio

avrebbe potuto reggere per un periodo così lungo a uno sforzo ai remi

tanto intenso e continuato, cosa appena tollerabile in qualche breve

momento. La nave stessa, allora, come talvolta accade, affriva il mezzo

mediato più favorevole per ricominciare la caccia. Di conseguenza, le

lance ora le si fecero incontro e presto furono issate alle gru, essendo

già state precedentemente assicurate dalla nave le due parti della

lancia distrutta; poi, issando ogni cosa ai suoi lati, levando le vele e

ampliandole di fianco con vele di caccia, come le ali doppiamente

articolate dell’albatro, il ‘Pequod’ si gettò a sottovento, nella scia di

Moby Dick.

A intervalli ben noti, metodici, la sfiatata scintillante della balena fu

regolarmente annunciata dalle teste d’albero guarnite di uomini, e

quando riferivano che era appena sparita, Achab prendeva il tempo,

poi, passeggiando sul ponte, con l’orologio della chiesuola in mano,

non appena scoccava l’ultimo secondo dell’ora prevista, faceva udire

la sua voce:‘Di chi è, adesso, il doblone? La vedete?’, e se la risposta era:

No signore!’, immediatamente dava l’ordine di issarlo al suo posatoio.

In questo modo il giorno trascorse, con Achab ora arriva e immobile,

ora inquieto, misurando coi passi le tavole.

(Melville, Moby Dick)

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