Precedente capitolo:
(Fu davvero un genocidio culturale e non solo quello che successe nel 330 a.C.
in Iran. La brutalità, che secoli dopo userà in Iran anche Tamerlano, sarà stata
nulla al confronto di questa apocalisse. La perdita di sicuri riferimenti linguistici,
la distruzione dei manoscritti avestici e le immani rovine per ogni dove in
Iran, si possono considerare il vero monumento al bieco egocentrismo di Alessandro
il Macedone. La campagna terroristica di Alessandro aveva raggiunto il
suo culmine quando il clero achemenide, che poteva essere di osservanza
zarthushtrica o no, gli aveva rifiutato il titolo di ‘re dei re’. Ci sono
pochi dubbi sul fatto che la furia devastatrice a Persepoli abbia avuto inizio
quando Alessandro ricevette tale rifiuto. Come testimonia il documento
storico che segue questa breve premessa, il saccheggio, poi l’indiscriminato
incendio, sono frutto e motivo dell’insensato per quanto irreparabile gesto.
La frattura. Con questa distruzione Alessandro si macchiò della indelebile
colpa di aver separato da allora l’Occidente dall’Oriente e di aver distrutto
una civiltà che si stava volgendo verso l’Europa, coinvolgendosi nella grande
cultura greca. Ma i motivi della guerra ed i suoi notevoli guadagni, prosperano
ancor oggi in questo triste primato ed inutile confronto fra due distinte
civiltà. Solo con le armi della cultura, e giammai con il bieco calcolo dell’
interesse economico – o politico – frutto della cultura bellica, si possono ottenere
i risultati voluti e sperati per l’uomo detto evoluto. Solo con la conoscenza
e il reciproco scambio culturale si possono sperare nei traguardi falliti per
secoli. Paradossalmente, infatti, le Storie occidentali esaltano Alessandro, ed
i suoi successivi fac-simili, come eroi della lotta Occidentale contro l’Oriente,
perché, per l’appunto, fu il grande condottiero che per primo tentò di
soggiogare l’Oriente (Iran e India). Soggiogare senza alcuno scambio di
civiltà. Ma un solo bieco egocentrismo spacciato…per eroismo.)
…..Pure, queste grandi qualità di carattere, quell’indole che lo rese superiore
a tutti i re, quella decisione nell’affrontare i pericoli, la prontezza dell’
iniziativa e della esucuzione di un’impresa, la lealtà verso chi gli si era
arreso, la clemenza verso i prigionieri, la temperanza perfino nei piaceri
consentiti e abituali, Alessandro le macchiò con un desiderio del bere
non tollerabile. Mentre il suo nemico e rivale nel dominio del mondo si
dava tanto da fare per una ripresa della guerra, mentre i popoli da lui
battuti, sottomessi troppo di fresco, ancora riluttavano alla nuova
signoria, Alessandro celebrava in pieno giorno banchetti con la presenza
di donne, alle quali peraltro non era illecito attentare, trattandosi di
meritrici abituate a vivere in mezzo ai soldati con maggior licenza del
convivente. Una di queste, Taide, anch’essa in preda all’ebrezza, dichiara
che Alessandro si guadagnerà l’estrema gratitudine della Grecia intera
se darà l’ordine di bruciare la residenza regale dei Persiani: era questo
che si aspettavano i popoli dei quali i barbari avevano distrutto la città.
Mentre la cortigiana ubriaca esprimeva la sua deliberazione su una
cosa tanto importante, ecco che prima uno, poi un’altro, tutti saturi
di vino anche loro, danno il proprio assenso. La sfrenatezza del re
superò anch’essa ogni sua capacità di controllo:‘Perché allora non
vendicare la Grecia e non dare fuoco a Persepoli?’. Tutti erano scaldati
dal vino: ubriachi, urlano, gridano, poi saltano su per incendiare
quella città che in armi avevano risparmiato. Fu il re per primo ad
appiccare fuoco alla reggia, quindi i convitati, la servitù e le cortigiane.
Il palazzo era stato costruito con abbondanza di legno di cedro che,
afferrato rapidamente dalla fiamma, propagò un incendio di vasta
estensione. Quando l’esercito, che stava attendendo non lontano dalla
città, lo ebbe avvistato, si precipitò in soccorso ritenendolo accidentale.
Ma come giunsero al vestibolo della reggia, videro il re in persona andare
ancora ammassando tizzoni ardenti. Lasciata quindi l’acqua che avevano
portato, i soldati stessi si misero a gettare legname asciutto in mezzo
al fuoco. Questa fu la fine della capitale di tutto l’Oriente, a cui prima
tante popolazioni chiedevano leggi, patria di tanti monarchi, unico
terrore un tempo della Grecia, capace di allestire una flotta di mille navi
e tanti corpi d’armata da inondare l’Europa, dopo avere pavimentato di
tavole il mare e traforato montagne per incanalarvi le sue acque.
I Macedoni si vergognavano che una città così insigne fosse stata
distrutta da un re (e la sua ebbrezza alcolica) in un giorno di stravizi.
Così fabbricarono una versione seria dell’accaduto e si, e… costrinsero,
a credere che era stato assolutamente essenziale distruggerla in quella
maniera.
(Ma nella realtà dei fatti non fecero altro quello che i nazisti dopo la
loro sbronza alcolica di birra, ripeteranno, a danno della sola cultura,
secoli dopo….)
(Curzio Rufo)