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Consideriamo senz’altro assurda la convinzione di quanti affermano che l’uso
di mangiare la carne abbia un’origine naturale. Che l’uomo non sia carnivoro per
natura, è provato in primo luogo dalla sua struttura fisica. Il corpo umano infatti
non ha affinità con alcuna creatura formata per mangiare la carne: non possiede
becco ricurvo, né artigli affilati, né denti aguzzi, né viscere resistenti e umori caldi
in grado di digerire e assimilare un pesante pasto a base di carne.
Invece, proprio per la levigatezza dei denti, per le dimensioni ridotte della bocca,
per la lingua molle e per la debolezza degli umori destinati alla digestione, la natura
esclude la nostra disposizione a mangiare la carne.
Se però sei convinto di essere naturalmente predisposto a tale alimentazione, prova
anzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona,
con le tue mani, senza ricorrere a un coltello, a un bastone o a una scure. Fa’ come i
lupi, gli orsi e i leoni, che ammazzano da sé quanto mangiano: uccidi un bue a morsi
o un porco con la bocca, oppure dilania un agnello o una lepre, e divorali dopo averli
aggrediti mentre sono ancora vivi, come fanno le bestie. Ma se aspetti che il tuo cibo
sia morto e se la vita presente in quelle creature ti fa vergognare di goderne la carne,
perché continui a mangiare contro natura gli esseri dotati di vita?
Eppure, neanche quando l’animale è morto lo si potrebbe mangiare così come si
trova, ma si lessa, si arrostisce, si modifica la sua carne per mezzo del fuoco e
delle spezie, alterando, trasformando e mitigando con innumerevoli condimenti
il sapore del sangue, affinché il sapore del sangue, affinché il sapore del gusto,
tratto in inganno, possa accettare quanto gli è estraneo.
Davvero spiritosa è la battuta dello Spartano, che comprò in un’osteria un piccolo
pesce e lo diede da preparare all’oste; quando costui gli chiese formaggio, aceto e olio,
lo Spartano replicò:’Ma se avessi tutto ciò, non avrei comprato un pesce’.
Noi invece, viviamo così mollemente sprofondati nella nostra sete di sangue da
chiamare la carne una prelibatezza; ma poi abbiamo bisogno di intincoli prelibati per
la carne stessa, mescolando olio, vino, miele, garo e aceto a spezie siriane e arabiche,
come se preparassimo effettivamente un cadavere per la sepoltura. Dopo che le carni
sono state così macerate, ammorbidite e, in un certo senso, fatte imputridire prima
del tempo, è realmente arduo per la digestione avere la meglio; e una volta che
quest’ultima ha perduto la battaglia, le carni sono fonte di fastidi terribili e di
malsane indigestioni.
(Plutarco, Del mangiar carne)
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