UN DIO SUSSURRA UN NUOVO SEGRETO

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La stella risplende

brucia la propria materia

lasciando nell’ombra un’incerta visione. (11)

 

Misurata nel Tempo

del suo Universo

dicono infinito….ma solo costretto. (12)

 

un dio sussurra un nuovo segreto

 

 

Una riunione capitale, quel venerdì 11 gennaio alla Royal Astronomical

Society presso la Burlington House, a due passi da Piccadilly.

Bastarono tre quarto d’ora perché le vite di due uomini fossero cambiate

per sempre e lo sviluppo dell’astrofisica bloccato per oltre trent’anni.

Eppure, del centinaio di eminenti soci che in fila uscivano dalla sala,

chiacchierando eccitati, nessuno fu davvero in grado di cogliere la

portata di quanto era appena accaduto. 

un dio sussurra un nuovo segreto

Sicuro è che alle sei e un quarto del pomeriggio, un astrofisico

ventiquattrenne di Cambridge, Subrahmanyan Chandrasekhar, con

la sua aria timida da ragazzino, presentò una scoperta eclatante che

sarebbe stata ignorata per quasi cinque anni.

Ciò che Chandra aveva da dire era completamente nuovo e andava

contro tutti i dogmi consolidati della scienza. Era consapevole che

avrebbe potuto essere accolto da perplessità e critiche, anche da una

categorica opposizione.

La posta era alta, sia sul piano scientifico sia su quello personale.

La grande scoperta di Chandra concerneva niente meno che il destino

ultimo dell’universo. Che cosa accadeva alle stelle una volta giunte

al termine della loro vita, una volta esaurito tutto il loro combustibile? 

un dio sussurra un nuovo segreto

Gli astrofisici supponevano che esse andassero contraendosi fino 

a diventare delle nane bianche, piccole e dense al punto che una

stella della massa del Sole potesse ridursi a una dimensione non

più grande di quella della Terra.

Ma che cosa succedeva in seguito?

Alcuni anni prima, nel 1931 e nel 1932, Chandra aveva già pubblicato

due saggi sulle nane bianche, inerenti a un problema sollevato da

Eddington in un suo autorevole saggio del 1926. Tuttavia il lavoro

del giovane indiano era stato del tutto ignorato.

Nel 1931, quando il suo primo contributo fu pubblicato, Chandra 

aveva appena vent’anni. Lo aveva scritto imbarcandosi, letteralmente,

verso il suo dottorato a Cambridge, senza il tempo di apportare

correzioni né migliorarlo. 

un dio sussurra un nuovo segreto

Non gli provenivano incoraggiamenti di sorta: non da Eddington,

né dal suo supervisore di tesi Ralph Fowler. Stavano cercando di

proteggere un giovane innocente dalla sua folle idea di pubblicare

concetti stravaganti?

O c’era sotto qualcos’altro, qualcosa di più bieco, che aveva a che 

fare con il colore della pelle, e le origini di Chandra? Queste vecchie

guardie dell’impero potevano ritenere di certo inaccettabile di 

essere surclassati da un giovincello proveniente da una delle colonie,

rifiutando così il fatto che costui avesse qualcosa da insegnare loro?

La scienza del XIX secolo riteneva che le stelle si formassero quando

la compressione della gravità verso l’interno era compensata 

dalla pressione verso l’esterno delle particelle di gas delle stelle

stesse e dalla pressione radiattiva che emettono.

Mano a mano però che una stella invecchiava e bruciava il suo

combustibile, diventava più flebile, e la gravità iniziava a prendere

il sopravvento, comprimendo la stella e rendendola una sfera densa.

Poteva darsi che, alla fine, le stelle collassassero del tutto?

Era un mistero tormentoso, che Eddington aveva fatto del tutto

per sminuire. 

un dio sussurra un nuovo segreto

Questo dilemma sembrava suggerire che almeno alcune stelle non

concludessero la loro vita come rocce inerti. E questa era davvero

un’idea molesta. Di certo era assolutamente impossibile per qualcosa

di tanto grosso come una stella scomparire nel nulla.

Che diamine di fine avrebbe potuto fare, se fosse stato davvero così?

Quell’11 Gennaio, il giovane Chandra si allentò un poco il colletto e

asciugò una goccia di sudore dalla fronte. La sala priva di finestre

era calda e senz’aria, sigillata contro il vento di gennaio che sibilava

all’esterno del venerabile edificio.

Gettando un’occhiata all’orologio, giunse all’ultima pagina della sua

relazione e lesse le conclusioni con tono sicuro:

 

“La vita di una stella di massa ridotta deve essere essenzialmente

diversa da quella di una stella di massa elevata….Per una stella

di massa esigua la fase naturale di nana bianca, è uno stadio iniziale

verso la completa estinzione. Una stella di massa elevata non può 

passare attraverso la fase di nana bianca, e non ci rimane quindi 

che ipotizzare altre possibilità”. 

(A. Miller, L’impero delle stelle)

 

 

un dio sussurra un nuovo segreto

 

PRIMA POESIA

seconda poesia in:

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Oh, che in santo volo egli a questa mia soglia ritorni,

e a me che son vecchio la vita trascorsa ritorni.

In queste mie lacrime simili a pioggia confido, che ancora

il lampo perduto di sorte propizia al mio sguardo ritorni.

La terra che lui calpestava era quale corona al mio capo:

io chiedo al Signore che sopra quel capo ritorni!

Certo lo seguirò, e se a tutti i compagni a me cari

la mia persona non torna, di me pur notizia ritorni.

Se non la dilapido ai piedi di quell’amico prezioso,

a qual altro utile vuoi che la perla di questa mia vita ritorni?

E’ il brusio del roseto, è il dolcissimo sonno dell’alba

a far sì che ai miei lai mattutini egli no, non ritorni.

Farò rullare tamburi di nuova prosperità dal mio tetto felice,

sol ch’io scorga avvisaglia di luna che appena partita ritorni.

A me la gota del re che è tal quale una luna, poeta!

Un po’ di fervore, sì che sano e salvo alla soglia ritorni.

(Hafez)

 

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UN FIORENTINO CON UN PO’ DI COSCIENZA

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un fiorentino con un po' di coscienza

 

 

1594 Capo Verde.

Ieri, Serenissimo Principe, promessi a Vostra Altezza Serenissima di

raccontarli il modo di negoziare che tenemmo nell’isola di Capo Verde,

dove sbarcati che fummo in terra pigliammo una casa, e cominciammo

a dar voce di voler comprare schiavi: onde quelli portughesi, che li tengono

alla campagna nelle loro ville, a branchi come il bestiame ordinorno

che fossero condotti alla città per farceli vedere.

Vistone alcuni, e domandando de’ prezzi, trovammo che non ci riusciva

l’incetta di tanto guadagno, quanto con la penna stando in Spagna avevamo

calculato, e ciò avveniva perché ne chiedevamo molto più del solito

per causa della quantità delle nave che erano venute quivi, e tutte

volevano caricare schiavi per le Indie, il che causò tanta alterazione

né prezzi, che dove si voleva vendere un schiavo per cinquanta scudi,

al più sessanta, fu forza comprarli per cento scudi l’uno e beato

a chi ne poteva avere per spedirsi, essendo un gran cimento il dire

conviene bere o affogare; al qual prezzo ne comprammo settantacinque,

li dua maschi e l’altro terzo femmine, mescolatamente vecchi e

giovani, grandi e piccoli tutti insieme, secondo l’uso di quel paese,

in un branco come tra di noi si compra un armento di pecore, con

tutte quelle avertenze e circostanze di vedere se siano sani e ben

disposti e senza difetto alcuno della persona loro. 

un fiorentino con un po' di coscienza

Poi ciascun padrone li fa segnare o, per dire più propriamente,

marcare della sua marca che si fa fare d’argento e poi infocata al

lume della candela di sego, con il quale si unge la scottatura e

segno che si fa loro sopra il petto overo sopra un braccio o dietro

le spalle per riconoscerli.

Cosa veramente, ch’a ricordarmi di averla fatta per comandamento

di chi poteva in me, mi causa una certa tristezza e confusione di

coscienza, perché veritieramente, Serenissimo Signore, questo mi

parve sempre un traffico inumano e indegno della professione e

pietà cristiana; non è dubbio alcuno, che si viene a fare incetta d’

uomini o, per dire più propriamente, di carne e sangue umano,

e tanto più vergogna, essendo battezzati, che se bene sono differenti

nel colore e nella fortuna del mondo, nulladimeno hanno quella

medesima anima formatali dall’istesso Fattore che formò le nostre.

Io me ne scuso appresso a Sua Divina Maestà, non stante che io

sappia molto bene che, sapendo Quella la mia intenzione e

volontà esser stata sempre repugnante a questo negozio, non

occorra.

Ma sappialo ogn’uno e sìane Vostra Altezza Serenissima certificata,

che a me questo negozio non piacque mai: pure, come si sia, noi lo

facemmo e forse ancora per questo, insieme la penitenza.

(Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al Mondo)

 

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CAMMINARE

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camminare

 

Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel

corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore

al giorno – e generalmente sono di più – vagabondando per i

boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni

preoccupazione terrena.

Potete tranquillamente chiedermi ‘un penny per i tuoi pensieri’,

o mille sterline. Quando poi penso che artigiani e mercanti se ne

stanno nelle loro botteghe non solo l’intera mattina, ma anche

tutto il pomeriggio, magari seduti con le gambe accavallate,

come fanno in molti – quasi che le gambe fossero fatte per

sedervisi sopra e non per mettersi eretti o camminare -, mi

sembra  che meritino una certa considerazione per non essersi

suicidati già da tempo.

Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno

senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre

la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio,

troppo tardi per riscattare quel giorno, nell’ora in cui le ombre

notturne iniziano a fondersi con la luce del giorno, sento di aver

commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce

sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale,

per meglio dire, dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane,

per mesi e per anni, in botteghe e in uffici, come se ne facessero

parte.  

camminare

Non so di che stoffa siano fatti, là seduti alle tre del pomeriggio,

come se fossero le tre del mattino. Buonaparte parla del coraggio

delle tre del mattino, ma esso non è nulla in confronto al coraggio

che alle tre del pomeriggio si accampa con allegria e decisione

dinanzi alla nostra volontà, che pure abbiamo tenuto a bada per

tutta la mattina, prendendo per fame una guarnigione alla quale

siamo legati da così forti vincoli di simpatia.

Mi sorprende che all’incirca a quest’ora, o diciamo tra le quattro

e le cinque del pomeriggio, troppo tardi per i giornali del mattino

e troppo presto per quelli della sera, non si avverta per le strade

un’esplosione generale che disperda ai quattro venti, per una

boccata d’aria, una moltitudine di idee stantie e di fantasie coltivate

tra quattro mura; in tal modo il male porrebbe rimedio a se stesso.

…Posso agevolmente camminare per dieci, quindici, venti e più

miglia, partendo da casa, senza incontrare alcuna abitazione,

senza attraversare alcuna strada se non dove lo fanno la volpe e

il visone: prima lungo il fiume, e poi il ruscello, e poi i campi e

i boschi.

Per miglia e miglia intorno non vi sono abitanti.

Da alcune colline appaiono in lontananza le dimore dell’uomo e

la sua civiltà. Gli agricoltori e le loro opere sono appena più

visibili delle marmotte e delle loro tane.

L’uomo con le sue faccende, Chiesa e Stato e scuola, e i suoi traffici

e i suoi commerci, le sue fabbriche e la sua agricoltura, e la sua

politica, la più pericolosa di tutte: mi rallegra vedere quanto poco

spazio accupino nel paesaggio.

La politica è un campo assai angusto, e quella strada, ancora più

angusta, è a essa che conduce.

E’ là che a volte dirigo il viaggiatore.

Se volete andare verso il mondo della politica (ed il suo teatrino….),

seguite la strada maestra, seguite quel mercante, e la polvere e gli

escrementi dei suoi passi vi condurrà direttemante a esso; perché

anche quel mondo ha semplicemente un suo spazio, non occupa

(per nostra consolazione) l’intero spazio.

L’oltrepasso, come oltrepasso un campo di fagioli, dirigendomi

verso la foresta, e subito lo dimentico.

In una mezz’ora raggiungo punti della superficie terrestre dove

non è possibile all’uomo mettere radici, e dove dunque non può

esservi politica, che è per l’uomo come il fumo del suo sigaro.

(Thoreau, Camminare)

 

 

camminare

 

 

LA DANZA DEGLI SPETTRI

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orrore di altri mondi

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Io stavo vivendo pacificamente con la mia famiglia, avevo

cibo a sufficienza, dormivo bene, avevo cura della mia gen-

te e stavo benissimo.

Non so chi fu il primo a mettere in giro quelle brutte storie.

Ci stavamo comportando bene; e il mio popolo stava bene.

Io mi comportavo bene.

Non avevo ucciso né un cavallo né un uomo.

Essi sapevano come stavano le cose e tuttavia dissero che io

ero un uomo cattivo:

l’uomo peggiore del posto; ma che cosa avevo fatto?

Io stavo vivendo pacificamente qui con la mia famiglia sotto

l’ombra degli alberi, facendo proprio ciò che il generale Crook

mi aveva detto di fare e cercando di seguire il suo consiglio.

Io voglio sapere ora chi ha ordinato di arrestarmi.

Io stavo pregando la luce e l’oscurità.

Dio e il sole, di lasciarmi vivere tranquillamente qui con la mia

famiglia.

Non so per quale ragione quella gente parlava male di me.

Molto spesso si raccontano storie sui giornali che io sto per esse-

re impiccato.

Io non voglio che lo si dica più.

Quando un uomo cerca di fare il giusto, simili storie non dovreb-

bero apparire sui giornali.

Ora sono rimasti pochissimi dei miei uomini.

Essi hanno fatto alcune cose cattive, ma io non voglio che ven-

gano tutti cancellati e non si parli più di loro.

Sono rimasti così pochi di noi.

Goyathlay

(Dee Brown, Seppelite il mio cuore a Wounded Knee)






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ESAMI DI COSCIENZA (2)

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L’autista del tassì indossava un cappotto di pelle nera,        berlin-darkest-chapter.jpg

e aveva la nuca tonda e rosea.

‘Una testa tedesca’ pensavo.

Chiacchierava volentieri, rideva con facilità.

– Per me Hitler è vivo…spiegava.

– Ogni volta che arrestano qualche pezzo grosso del partito,

gli trovano in tasca una decina di passaporti.

Il furbacchione ne avrà avuti almeno quaranta.

Passavamo davanti a case dai tetti rossi, a silenziose

villette nascoste dagli abeti.

– Niente male, è vero?…diceva

– Appartenevano a camerati di Himmler e di Gobbels; adesso ci stanno gli americani.

Il Waldfriedhof, il cimitero del bosco, è vicino allo stadio Olimpia.

– Ricordate?

Qui il negro Jesse Owens corse, provocando l’ira del Fuhrer,   default_riefenstahl_africa_interv_04_0706281504_id_60435.jpg

i cento metri in poco più di dieci secondi; qui Leni Riefenstahl

esaltò, con la macchina da presa, il culto della bellezza pagana.

Non cercavo parenti, no. Ecco, forse un amico.

– Vorrei vedere, dissi, la tomba di George Grosz.

Il cimitero era invaso dal sole; fischiava qualche merlo

sui rami spogli dei faggi, fra le siepi di sempreverde.

I becchini fumavano seduti su un sarcofago che raccoglieva

le ossa di un compianto ingegnere Mayer.

– Come si chiamava il ragazzo? domandò l’autista.

– Grosz, George Grosz.

Andò a chiedere informazioni.

Una sera, in un caffè dalle parti della Kurfurstendamm,   Leni.jpg

vidi una signorina che sfoggiava un abito di seta gialla,

dall’ampia scollatura, beveva cognac, e faceva ridere un grosso

signore dall’impermeabile sporco, molto occupato ad accarezzarle

una mano.

– Piacerebbero a Grosz, pensavo.

Sarebbe piaciuto a Grosz il gentiluomo che, al vagone ristorante,

sul rapido che mi portava ad Amburgo, ordinava un bicchierone di

birra riscaldata, aveva i capelli tagliati molto corti, doveva essere un

principe o un generale, gli mancava solo il monocolo.

Sarebbe piaciuto al vecchio George anche il conducente del tassì, quella nuca tonda,

quella pelle rosea.

Ricordava le teste degli affaristi di Grosz, di quella folla che Henry Miller ‘da mendicanti,

trafficanti al mercato nero, prostitute, ruffiani, ubriachi, ghiottoni, vagabondi, morti

di fame, seduttori e sedotti, TUTTI INDAFFARATI AD UCCIDERE, BERE, GODERE,

FORNICARE, IN UNA NAUSEA PERENNE’.

(Enzo Biagi, Germania)

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ESAMI DI COSCIENZA (in difesa della cultura)

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Anche Buchenwald è diventato un museo, un museo tedesco, razionale,

tutto spiegato, tutto chiaro, come funzionava, come si viveva, si moriva.

Solo a una domanda nessuno risponde, nessuno può rispondere:

– Perché Weimar dista da Buchenwald soltanto 4 chilometri.

– Perché?

Sulla porta del campo c’è un motto stampato nel ferro battuto, lo misero le

camicie brune, e dice: ‘JEDEM DAS SEINE’, a ciascuno il suo.

Già, a ciascuno il suo Goethe, a ciascuno il suo BUCHENWALD, a ciascuno,

si sa, il suo destino.

C’è un Goethe per tutte e due le Germanie, e c’è un Buchenwald e una Dachau,

come è giusto, per Berlino Est e per Bonn. Anche da Francoforte a Dachau la strada,

per chi volesse fare un sopralluogo, un po’ d’arte e un po’ di cronaca, non è poi

tanto lunga.

Scrive Paul Schalluck:” La Germania è un enigma…..E’ la terra dei paradossi e del

rimorso”. Ama l’arte, la bellezza, ma spesso rende impossibile la vita degli intellettuali.

Non ha mai avuto una rivoluzione borghese-liberale; e i suoi artisti sono stati,

tendenzialmente apolitici.

Quando si compromettono con la realtà, la Patria li spinge, o li condanna, ALL’ESILIO.

Se ne andarono Marx e Heine; e dopo il 1933, scrittori, pittori, scienziati: tra tanti,

undici premi Nobel.

– Quando sento la parola cultura, carico la mia rivoltella, aveva detto il nazista Hanns Johst.

Il 10 maggio 1933, nella Piazza dell’Opera, a Berlino (e in molti altri luoghi), bruciarono

opere di Mann, Freud, Ludwig, Remarque.

Erano libri dei ‘KULTURBOLSCHEWISTEN”, degli autori di sinistra, od ebrei della

repubblica di Weimar. Pochi capirono quello che stava accadendo: solo George Grosz,

conversando con Thomas Mann, gli disse che Hitler sarebbe stato il padrone non per

6 mesi, ma per 10 anni, i liberali lo avevano votato e se lo meritavano, e un giorno le

croci uncinate e il comunismo staliniano, ‘due sistemi fondati sul terrore e sull’

asservimento’, si sarebbero anche alleati.

Aveva capito tutto.

Pochi credevano al pessimismo di Grosz; Lion Feuchtwanger, Brecht e Mann si erano

anzi comprati una casa nella capitale o nei dintorni.

Dopo poco dovettero fuggire.

Fu messa all’indice, ma non cancellata, una certa scienza: Einstein, Planck, e anche la

psicanalisi, che partita da Vienna si era affermata a Berlino, filosofi e teologi come

Heidegger, Jaspers, Barth, Buber figuravano nelle liste nere, e musicisti e architetti.

(Enzo Biagi, Germania)

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MENTI ASSENNATE: IL PROF. WEISMANN

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Il biologo August Weismann (1834-1914) può essere considerato padre del

paradigma dell’uguaglianza biologica dei sessi, concetto che si trova al centro

del pensiero eugenetico tedesco di cui lo stato nazista intende farsi erede.

I fautori dell’eugenetica partono dal presupposto che la civiltà ha pervertito

il processo di selezione naturale. A loro avviso, gli aiuti forniti dallo stato assistenziale

ai più deboli accrescono artificialmente il numero degli ‘esseri inferiori’, dal

momento che lasciano a costoro la libertà di riprodursi.

L’eugenetica si richiama all’ipotesi della ‘continuità del plasma germinale’

per mostrare fino a che punto una giudiziosa scelta del coniuge condizioni l’efficacia

della battaglia contro la ‘degenerazione’ biologica e sociale.

Davanti al congresso internazionale di scienze demografiche, riunito a Berlino

nell’estate del 1935, il ministro degli Interni Frick dichiarò che ‘l’obiettivo ultimo

di ogni politica demografica nazionale è un popolo liberato da disposizioni ereditarie

patologiche, geneticamente sano e valido da un punto di vista razziale’.

La politica tedesca di igiene razziale, alquanto ben accolta negli Stati Uniti e in

Scandinavia, incontrò, in quell’occasione, una vasta approvazione internazionale.

Lo stato nazista, confortato nelle sue mire, avvia, a partire dal 1935, un lungo

lavoro di classificazione. L’obiettivo della ‘purezza del sangue tedesco’ presuppone

una vera e propria cartografia sanguigna GENETICA e PSICOLOGICA del

Reich, realizzata individuo per individuo, famiglia per famiglia, località per

località, regione per regione. Si tratta di un ‘censimento totale’: definire, classificare

e gerarchizzare gli ‘elementi del corpo del popolo’ per meglio isolare, separare,

neutralizzare e in seguito espellere quanti sono percepiti come INDESIDERABILI.

‘Secondo il significato primordiale attribuito dalla concezione del mondo

nazionalsocialista al sangue e alla razza’, precisa la nuova legge sullo stato

civile del novembre 1937, ‘gli intrecci del sangue tedesco devono essere resi più

visibili di quanto sia avvenuto finora nel quadro dell’amministrazione dello stato

civile’.

Questa concezione, che sottende le legislazioni matrimoniale nazista rinvia a

un vecchio sogno eugenetico: il criterio di salute ereditaria – e non l’amore romantico –

deve regolare, in ultima istanza, la scelta del coniuge. Giacché, se uno dei coniugi,

considerato sano in virtù del suo fenotipo, è portatore e veicolo, a sua insaputa,

di una malattia ereditaria – o di una identità razziale ‘allogena’ – nascosta,  egli

INFETTA l’eredità, il genotipo, del patner e della loro discendenza comune.

Questo perverso pensiero biologizzante trasforma il caso in necessità: la ‘cattiva

eredità’, il ‘cattivo sangue’ riaffiorano inevitabilmente, secondo le leggi di

Mendel, e accresceranno per le generazioni future la probabilità di accoppiamenti

tra ‘portatori di malattie occulte’.

La scelta del coniuge si impone dunque come un atto decisivo nella vita dell’

individuo: essa determina o, al contrario, compromette l’ ‘immortalità’ di due

lignaggi ancestrali, contribuendo così a improntare il destino genetico del popolo.

Si tratta di un atto senza appello: la ‘cattiva’ eredità non può essere cancellata o

rivalorizzata da una successiva ‘ipergamia genetica’, mentre quella ‘buona’

può essere corrotta dall’ ‘ipogomia genetica’.

(Conte/Essner, Culti di sangue Antropologia del nazismo)

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INTANTO IN GERMANIA…LA FARSA DIVENTA DELIRIO

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” Noi siamo contrari a un matrimonio postumo. Anche se Betty rinunciasse a ogni

pretesa sull’eredità di Willy, noi continueremmo a trovare estremamente singolare

un matrimonio postumo con nostro figlio, deceduto 15 mesi fa. Giacché celebrare un

matrimonio con una persona morta da così tanto tempo sarebbe un’azione inaudita e

anche un atto contrario alla pietà. Vi troveremmo una mancanza di tatto e tutto ciò

offende i nostri sentimenti. In fin dei conti, un matrimonio è una cosa sacra, attraverso

la quale due persone si scambiano una promessa di eterna vita comune”.

Questo caso sopra riportato sembra confermare l’opinione popolare, ampiamente

riflessa nel rapporto del SD, secondo cui il matrimonio postumo lascia il campo libero

all’avidità delle giovani nubili che, incuranti delle sofferenze del popolo e dell’onore,

desiderano ‘godere della pensione di vedova e dell’eredità del morto’.

Lo stato esita, tuttavia, a scontentare la fetta di opinione pubblica femminile da cui

dipendono a un tempo l’industria degli armamenti e, a più lungo termine, il futuro

biologico del popolo.

Per meglio conservare il suo ruolo di arbitrio tra le famiglie, il REICH si pone nel ruolo

del defunto e si autodesigna esecutore della sua presunta volontà, non esitando a

sostituirsi d’autorità ai genitori vivi dell’eroe. Lo scambio di ruoli, operato dallo stato

in nome del defunto considerato come temporaneamente incapace, viene spinto fino al

suo termine ‘logico’ ultimo con l’istituzione, il 18 marzo 1943, del divorzio dei morti.

Questa volta i giuristi procedono rispettando scrupolosamente le forme.

Il soldato morto è autorizzato a divorziare dalla vedova ‘infedele o indegna’ del marito e

del popolo tedesco. La nuova disposizione è contenuta nel regolamento di attuazione

della ‘legge sul matrimonio’.

Il comando supremo della WEHRMACHT, la cancelleria del Reich e il quartier generale

del Fuhrer sottolineano, in perfetto accordo, che le ‘mogli senza onore le quali, mentre il

marito si trovava al fronte, si sono date all’adulterio in condizioni abiette non devono

potersi fregiare, dopo la morte da soldato del marito, del titolo di vedove di guerra’.

La norma elimina l’ambiguità dello stato giuridico della donna che ha sposato un soldato

morto. Il matrimonio è considerato concluso 24 ore prima della morte del marito, e ciò

implica, in via di principio, che la donna che esce dall’ufficio di stato civile è già vedova.

Ma si può divorziare da una vedova? Oppure bisogna considerare che la vedova indegna,

nel momento in cui lo stato avvia, in nome di suo marito, una pratica di divorzio contro

di lei, è ancora, per il tempo di una finzione giuridica, ‘MOGLIE’?

Il 28 ottobre 1942, al ministero della Giustizia si tiene una riunione per affrontare il problema

da un punto di vista ‘pratico’: COME CONSTATARE LA VOLONTA’ DI DIVORZIO DEL

MORTO?

Difficoltà meno inestricabile di quanto non sembri, dal momento che lo stato sembra conoscere

i sentimenti di ognuno dei ‘CAMERATI UCCISI CHE MARCIANO IN SPIRITO NEI SUOI

RANGHI’. La sua ‘volontà verrà considerata come certa, dal momento che il morto avrebbe

espresso quella volontà nel caso in cui avesso preso conoscenza delle circostanze se si

può essere certi che il defunto avrebbe chiesto il divorzio ma vi è stato impedito unicamente

in ragione della sua morte’.

Il divorzio viene allora pronunciato con efficacia retroattiva e considerato effettivo dal

giorno precedente la morte del marito. Ciò facilita la discussione sulla legittimità dei

figli della donna nati più di 9 mesi dopo l’ultimo permesso del defunto.

La ‘vedova di eroe indegna del sostegno della collettività’ viene quindi considerata alla

stregua di una divorziata, ritenuta colpevole della rottura, e si vede pertanto privata

di tutti i diritti in fatto di pensione e di eredità. Si spera così di contenere al tempo stesso

l’avidità e la promiscuità di queste donne spregevoli.

(Conte/Essner, Culti di sangue, Antropologia del nazismo)

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