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Da http://giulianolazzari.myblog.it
” Noi siamo contrari a un matrimonio postumo. Anche se Betty rinunciasse a ogni
pretesa sull’eredità di Willy, noi continueremmo a trovare estremamente singolare
un matrimonio postumo con nostro figlio, deceduto 15 mesi fa. Giacché celebrare un
matrimonio con una persona morta da così tanto tempo sarebbe un’azione inaudita e
anche un atto contrario alla pietà. Vi troveremmo una mancanza di tatto e tutto ciò
offende i nostri sentimenti. In fin dei conti, un matrimonio è una cosa sacra, attraverso
la quale due persone si scambiano una promessa di eterna vita comune”.
Questo caso sopra riportato sembra confermare l’opinione popolare, ampiamente
riflessa nel rapporto del SD, secondo cui il matrimonio postumo lascia il campo libero
all’avidità delle giovani nubili che, incuranti delle sofferenze del popolo e dell’onore,
desiderano ‘godere della pensione di vedova e dell’eredità del morto’.
Lo stato esita, tuttavia, a scontentare la fetta di opinione pubblica femminile da cui
dipendono a un tempo l’industria degli armamenti e, a più lungo termine, il futuro
biologico del popolo.
Per meglio conservare il suo ruolo di arbitrio tra le famiglie, il REICH si pone nel ruolo
del defunto e si autodesigna esecutore della sua presunta volontà, non esitando a
sostituirsi d’autorità ai genitori vivi dell’eroe. Lo scambio di ruoli, operato dallo stato
in nome del defunto considerato come temporaneamente incapace, viene spinto fino al
suo termine ‘logico’ ultimo con l’istituzione, il 18 marzo 1943, del divorzio dei morti.
Questa volta i giuristi procedono rispettando scrupolosamente le forme.
Il soldato morto è autorizzato a divorziare dalla vedova ‘infedele o indegna’ del marito e
del popolo tedesco. La nuova disposizione è contenuta nel regolamento di attuazione
della ‘legge sul matrimonio’.
Il comando supremo della WEHRMACHT, la cancelleria del Reich e il quartier generale
del Fuhrer sottolineano, in perfetto accordo, che le ‘mogli senza onore le quali, mentre il
marito si trovava al fronte, si sono date all’adulterio in condizioni abiette non devono
potersi fregiare, dopo la morte da soldato del marito, del titolo di vedove di guerra’.
La norma elimina l’ambiguità dello stato giuridico della donna che ha sposato un soldato
morto. Il matrimonio è considerato concluso 24 ore prima della morte del marito, e ciò
implica, in via di principio, che la donna che esce dall’ufficio di stato civile è già vedova.
Ma si può divorziare da una vedova? Oppure bisogna considerare che la vedova indegna,
nel momento in cui lo stato avvia, in nome di suo marito, una pratica di divorzio contro
di lei, è ancora, per il tempo di una finzione giuridica, ‘MOGLIE’?
Il 28 ottobre 1942, al ministero della Giustizia si tiene una riunione per affrontare il problema
da un punto di vista ‘pratico’: COME CONSTATARE LA VOLONTA’ DI DIVORZIO DEL
MORTO?
Difficoltà meno inestricabile di quanto non sembri, dal momento che lo stato sembra conoscere
i sentimenti di ognuno dei ‘CAMERATI UCCISI CHE MARCIANO IN SPIRITO NEI SUOI
RANGHI’. La sua ‘volontà verrà considerata come certa, dal momento che il morto avrebbe
espresso quella volontà nel caso in cui avesso preso conoscenza delle circostanze se si
può essere certi che il defunto avrebbe chiesto il divorzio ma vi è stato impedito unicamente
in ragione della sua morte’.
Il divorzio viene allora pronunciato con efficacia retroattiva e considerato effettivo dal
giorno precedente la morte del marito. Ciò facilita la discussione sulla legittimità dei
figli della donna nati più di 9 mesi dopo l’ultimo permesso del defunto.
La ‘vedova di eroe indegna del sostegno della collettività’ viene quindi considerata alla
stregua di una divorziata, ritenuta colpevole della rottura, e si vede pertanto privata
di tutti i diritti in fatto di pensione e di eredità. Si spera così di contenere al tempo stesso
l’avidità e la promiscuità di queste donne spregevoli.
(Conte/Essner, Culti di sangue, Antropologia del nazismo)