IN FONDO ALL’OCEANO (il viaggio prosegue)

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Qualsiasi viaggio al centro della Terra terminerebbe inevitabilmente

con l’incenerimento!

Il sogno d Verne che potesse esistere la vita sotto la superficie terrestre

sembrava ridicolo. I biologi sapevano bene che gli strati superficiali del

suolo contengono batteri e che le caverne calcaree possono essere popolate

da organismi dotati di specifici adattamenti, ma al di là di queste eccezioni

il pianeta era stato dichiarato morto dal suolo in giù.


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Un’opinione molto  simile era diffusa riguardo agli abissi oceanici.

Non c’era granché che potesse sopravvivere – si pensava – al di sotto della

zona fotica, cioè degli strati superficiali dell’acqua illuminati dalla luce solare.

La scoperta degli ecosistemi dei ‘black smokers’ ha stravolto completamente

il quadro. Ma se i supermicrobi riescono a vivere a parecchi chilometri di

profondità sotto i mari, perché non possono esistere anche a diversi chilometri

nel sottosuolo dei continenti?

In realtà gli indizi dell’attività biologica che si svolge a grandi profondità

sarebbero stati tutt’intorno a noi, se solo i geologi avessero saputo cosa

cercare.


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Nonostante i crescenti segni di vita sotterranea, l’opinione dominante secondo

cui la crosta terrestre è sterile non è davvero mutata fino alla fine degli anni

70. A quell’epoca i governi sovvenzionavano le ricerche sullo smaltimento

dei rifiuti nucleari. Il materiale radioattivo era stato seppellito negli strati

profondi nella convinzione che lì potesse giacere inerte, ma gli studi sulle

acque sotterranee avevano già segnalato che nelle falde freatiche potevano

vivere batteri, mentre i campioni di roccia estratti dai carotaggi recavano

segni rivelatori dell’attività batterica.

A poco a poco agli scienziati è apparso chiaro che, se i microbi erano in

grado di invadere le falde acquifere profonde, potevano anche introdursi

nei rifiuti nucleari seppelliti, corrodere il contenitore e liberare il materiale

radioattivo nell’ambiente. Preoccupazioni analoghe cominciavano a emergere

nell’industria petrolifera, quando ci si è resi conto che i batteri possono

anche infiltrarsi nei depositi di petrolio e degradarlo.

Ma ancora alla fine degli anni 80 la maggior parte degli scienziati era restia

ad ammettere che la vita potesse prosperare ben al di sotto della superficie

terrestre.

Per convincere gli scettici c’è voluto il recupero i microrganismi vivi.

In pozzi di trivellazione di tre chilometri scavati in sedimenti del Triassico

a Taylorsville, in Virginia, sono stati scoperti bacilli ipertermofili unici,

uno dei quali ha ricevuto il fantasioso nome di ‘Bacillus infernus’.

I microbi localizzati più in superficie tendevano a essere mesofili, cioè

capaci di crescere in ambiente molto caldo, ma non rovente; sotto

i 2 chilometri prevalgono invece i termofili. I responsabili del progetto

hanno stimato che il sito di Taylorsville sia popolato dai microbi di

almeno 140 milioni di anni.

Alcune aree, come la dura roccia della miniera di Stripa in Svezia,

sono dominate da una manciata di specie, mentre i friabili sedimenti

costieri del South Carolina ospitano comunità formate da centinaia

di varietà diverse. L’inventario complessivo delle specie microbiche

di profondità ne conta attualmente alcune migliaia, e si sono ottenuti

campioni con dieci milioni di batteri per grammo.

Le rocce sotto i nostri piedi cominciano ad apparire brulicanti di

minuscole forme di vita.

Ora che l’esistenza degli estremofili sotterranei è stata accettata,

gli studiosi si stanno precipitando a riscrivere i libri di testo.

(P. Davies, Da dove viene la vita)





 

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IL VIAGGIO COMINCIA

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La Nasa ha da tempo inaugurato un programma di ‘esobiologia’, la

ricerca della vita altrove nell’universo. Tra i suoi ben noti interessi

spiccano il programma Seti, cioè la ricerca di vita extraterrestre, e

le sonde inviate su Marte.

Negli ultimi tret’anni, una profusione di energie è stata dedicata a

una serie di esperimenti mirati a scoprire le origini abiotiche delle

molecole organiche che fungono da mattoni dei sistemi viventi per

come li conosciamo noi.

Nell’estate del 1997, la Nasa era impegnata a formulare i principi

di quella che oggi chiamiamo ‘astrobiologia’: un tentativo di comprendere

l’origine, l’evoluzione e le caratteristiche della vita in qualunque luogo

nell’universo.

Un indizio del potenziale impatto dell’astrobiologia risale nell’agosto

del 1997, con le notizie provvisorie ma cariche di eccitazione del ritrovamento

in Antartide di un meteorite di Marte, che, annunciavano gli scienziati

della Nasa, avrebbe potuto recare le prove di una primitiva forma di

vita microbica marziana.


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La Casa Bianca organizzò la ‘Space Conference’, un convegno di un giorno

a cui ebbi il piacere di essere invitato, presediuto dal vicepresidente Al

Gore. Egli diede inizio all’incontro rivolgendo al gruppo una domanda

piuttosto inattesa: ‘se si rivelasse vero che la roccia marziana ha realmente

ospitato vita microbica fossile, quale sarebbe il risultato meno interessate?’.

Per un attimo sulla sala calò il silenzio.

Poi, Stephen Jay Gould diede la risposta che molti di noi devono aver considerato:

‘La vita di Marte si rivela sostanzialmente identica alla vita terrestre: stesso

DNA e RNA, stesse proteine, stesso codice’.


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Se così fosse, tutti noi immagineremo la vita che svolazza di pianeta in pianeta

nel nostro sistema solare. Sembra che il tempo di transito minimo affinché

un granello di suolo marziano proiettato nello spazio arrivi sulla Terra sia

di circa 15.000 anni. Le spore possono sopravvivere così a lungo in condizioni

di essiccamento.

– E quale sarebbe, proseguì il vicepresidente,

– il risultato più interessante?

– Be’, molti di noi esclamarono a più voci nella sala,

– la vita di Marte è radicalmente differente dalla vita terrestre.

– Se è radicalmente differente, allora la vita non deve essere improbabile.

– Se è radicalmente differente, allora la vita potrebbe abbondare tra la miriade

di stelle e di sistemi solari, su pianeti lontani suggeriti dalla nostra astronomia

attuale.

– Se è radicalmente differente e abbondante, allora non siamo soli.

– Se è radicalmente differente e abbondante, allora abitiamo in un universo gravido

di creatività che crea vita.

(S. Kauffman, Esplorazioni evolutive)







 

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