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‘Al cinquantasettesimo minuto secondo la porta del salone si aprì
e il pendolo non aveva battuto il sessantesimo secondo, che Phileas
Fogg comparve, seguito da una folla delirante che aveva forzato l’
ingresso del Club, e con la sua voce calma:
– Eccomi, o signori – diss’egli.
Tutto questo avveniva alle 10 e 35 del 21 dicembre 1872, sotto la cupola
con i vetri azzurri sorretta da venti colonne ioniche di porfirio rosso del
Reform Club di Londra.
L’imperturbabile gentiluomo londinese ritornava dopo 80 giorni esatti
ad annunciare di aver vinto l’audacissima scommessa in cui aveva
arrischiato metà della sua fortuna, contro i banchieri John Sullivan e
Samuel Fallentin, l’ingegner Andrew Stuart, Gualtiero Ralph,
amministratore della Banca d’Inghilterra e il birraio Tommaso Flanagan.
O almeno si immagina avvenisse nell’episodio conclusivo del celebre
romanzo di Jules Verne che era uscito appunto in quell’anno.
E lo spiritoso e avvincente racconto del Verne non era tanto sorprendente
per le prodezze del signor Phileas Fogg esquire e del suo domestico
parigino Gianni Gambalesta, ex sergente dei pompieri, quanto per il
fatto che il piano di viaggio proposto dal Morning Chronicle era, più
o meno, praticamente realizzabile: da una dozzina di anni era aperto
alla navigazione il Canale di Suez, nel 1867 era stato inaugurato il
collegamento ferroviario transamericano dell’Atlantico al Pacifico,
nello stesso 1872 era stato realizzato il collegamento dei due tronchi
del ‘Great Indian Peninsular Railway’ da Bombay a Calcutta, regolari
servizi marittimi celeri con i moderni ‘pacchetti a elice’ univano l’
Europa all’America, l’America all’Asia, l’Asia all’Europa.
Il vapore e il telegrafo avevano unificato il mondo.
Se oggi possiamo sorridere dell’entusiasmo di Verne e dei suoi
contemporanei per i Cunarder che valicavano l’Atlantico alla velocità
di 11 miglia marine all’ora, o degli espressi con carrozze-letto che
attraversavano l’America in una settimana, v’è da dubitare se il passo
più grande in materia di celerità di comunicazioni, con tutto quel che
consegue nell’assetto del mondo e della vita, l’umanità l’abbia fatto
dall’epoca del viaggio di Phileas Fogg alla nostra dell’aereo supersonico,
o non piuttosto nei trenta o quarant’anni che precededettero e che
videro l’instaurarsi della civiltà del vapore.
In quegli anni la macchina del progresso tecnico ha iniziato una fase
di movimento a velocità progressivamente crescente. E il momento
della partenza è sempre quello che richiede le maggiori energie e
suscita le più intense emozioni.
Ecco perché l’eccentrico gentiluomo inglese che non viaggiava,
descriveva soltanto una circonferenza, era un corpo grave che
percorreva un’orbita intorno al globo terrestre secondo le leggi
della meccanica razionale più che un remoto antenato, ci sembra
un nostro fratello, di poco più anziano, con le idee un pochino
antiquate e soprattutto dotato di una dose di ottimismo superiore
alle nostre abitudini.
Questo educato gentiluomo, nel romanzo stesso più simbolo che
personaggio, che parte per il giro del mondo armato soltanto d’un
‘makintosh’, del ‘Bradshaw’ (orario e guida generale delle ferrovie
continentali e dei battelli a vapore), di un fascio di banconote della
Banca d’Inghilterra e della serena certezza che l’impreveduto non
esiste, rappresenta bene l’entusiastico ottimismo del suo tempo, la
convinzione che il mondo camminasse con l’ordinata regolarità di un
espresso transcontinentale, su una linea verso l’avvenire, che bastava
prolungare all’infinito, aggiungendo con concorde operosità sempre
nuovi tratti di binari rilucenti…..
(continua…)