NELLA FATTORIA INDUSTRIALE

Prosegue in:

industriale.html &

la-bestia-feroce.html


 

nella fattoria









Il progresso della civiltà porta con sé il germe di una regressione 

nella misura in cui trova il proprio fondamento nel dominio sulla

natura, invece che nell’impegno a comprenderla.

Questa è una tesi fondamentale della Scuola di Francoforte che

comprende anche la critica del dominio sugli animali.

Secondo Marcuse, occorre ‘dirigere il dominio verso la liberazio-

ne’. La trasformazione tecnica della natura e le risultanti storiche

del ‘duplice dominio sulla natura’ evocherebbero infatti una 

doppia liberazione della stessa: la liberazione della ‘natura inter-

na’ dell’uomo dalle costruzioni repressive della società – che gli

appaiono come una ‘seconda natura’ – e la liberazione della ‘na-

tura esterna’ all’uomo – il che implica, ovviamente, anche la libe-

razione degli animali.

 

nella fattoria


Nella Teoria critica di Adorno, la liberazione esige la volontà

di negare spiritualmente l’esistente,  uno spirito in contraddi-

zione in grado di smascherare l’inganno con cui la società ir-

razionale sacrifica per i propri fini individuali animali & uma-

ni.

L’inganno consiste nel fatto che il dominio sulla natura non si

sottrae al cieco contesto naturale per conciliare la natura con

se stessa attraverso il lavoro sociale; al contrario, la società

umana si adatta alla naturalità, la imita e la razionalizza.

 

nella fattoria


Dal punto di vista di Adorno e Marcuse, il progresso inteso

come dominio sulla natura sembra aver razionalizzato anche

il dominio e il sacrificio animale: è, infatti, ‘come mero esem-

plare, che il coniglio percorre la via crucis del laboratorio’.

Che sia coniglio, pollo, maiale, non vi è gran differenza.

L’istituzione del sacrificio, una ‘catastrofe storica, un atto di

violenza subìto insieme dagli uomini e dalla natura’, viene

tuttavia accettato come un’ovvietà dalla società attuale.

Secondo i rappresentanti della Scuola di Francoforte, le azio-

ni violente nei confronti degli animali ricevono la benedizio-

ne della Ragione, intesa come Progresso o Necessità, in quanto

l’individuo – prodotto storico del dominio sulla natura – spera

di trovare nella morte dell’animale la propria auto-conservazio-

ne o, addirittura, la possibilità di aggirare la sua stessa morte.

 

nella fattoria


Il sogno del Dott. Frankestein.

I laboratori dove si sperimenta sugli animali, così come i mat-

tatoi, sono i vecchi e nuovi luoghi in cui si perpetua un rito

sacrificale. Ciò che c’è di storto nel diritto che la società umana

si arroga, perpetrando la violenza contro gli animali al fine

della propria conservazione, fa però apparire stupida e asocia-

le quella speranza.

La ‘solidarietà universale’ richiesta dalla Teoria critica viene

infatti sempre limitata alla solidarietà tra umani – e anche lì

non si dà che come illusoria parvenza.

Gli esclusi dalla comunità vengono stigmatizzati come estranei,

poiché la loro eventuale inclusione nell’idea di una solidarietà

universale metterebbe in pericolo i limiti esterni della società

repressiva.

Chi solidarizza con chi sta fuori dai confini, con coloro che sono

stati resi estranei diventa egli stesso ‘irrazionale’, ‘estraneo’, ‘pe-

ricoloso’, un novello lupo sociale.

La semplice esistenza dell’altro è pericolosa, poiché porta con

sé l’altro-possibile che il sistema assoluto nega al fine di stabi-

lizzare se stesso: 


L’esistenza di una singola irrazionalità illumina l’infamia dell’-

intera nazione. La sua esistenza testimonia della relatività del

sistema dell’autoconservazione radicale, che invece viene posto

come assoluto.


I sistemi per abbattere la ‘presunta irrazionalità’ conosciuta con

i soliti appellativi della storia (prima e dopo il Medioevo) sono

uguali ed invariati. Le sistematiche procedure, siano essi ‘dotto-

ri di Chiesa o (poi) di laboratorio seguono medesimo schema

comportamentale, indistintamente invariato nella cosiddetta socie-

tà …civile. 

(prosegue in industriale.html)






 

nella fattoria


RACCONTI DEL MERCOLEDI’: PHYSIOLOGUS E IL ‘PAZZO’ LUPO (cronache dal Medioevo)

 

Il mio ultimo libro:

 

racconti della domenica 1

 

frammenti-in-rima.html &

imieilibri.myblog.it

Precedente capitolo:

stubbe.html

Prosegue in:

racconti-del-mercoledi-2.html &

si-racconto-poi.html

Foto del blog:

peeter.html

Un sito:

www.giulianolazzari.com

 

 

racconti della domenica 1

 

 

 

 

 

 



Esiste una vecchia storia su un lupo di Gubbio che vede coinvolto

San Francesco.

Il lupo minacciava da qualche tempo gli abitanti del paese e San

Francesco cercava di farlo desistere. L’uomo e il lupo si incontra-

rono un giorno fuori dalle mura cittadine e, in presenza di un no-

taio, strinsero il seguente patto: gli abitanti di Gubbio avrebbero

nutrito l’animale e l’avrebbero lasciato libero di vagare a suo piaci-

mento per il paese (si narra però che solo un allevatore, che soste-

neva aver sfamato in passato il lupo, si rifiutasse alle disposizio-

ni notarili…), mentre il lupo, da parte sua, non avrebbe dovuto

aggredire né uomini né animali all’interno delle mura, dove era

ubicato.

 

racconti della domenica 1

 

Dietro l’attrattiva popolare e aneddotica della storia si cela un’

allegoria diffusa: la natura bestiale e incontrollata del lupo viene

trasformata dalla santità e, per esttensione, coloro che sono identi-

ficati con il lupo, vale a dire gli eretici, sono redenti dalla grande

compassione e dalla grazia di San Francesco.

Nel Medioevo gli uomini credevano di vedere nel lupo un rifles-

so della loro natura bestiale; l’uomo cerca di pacificarsi con la

bestia che è in sé; e ciò rende questa storia del Lupo di Gubbio

una delle più intense dell’epoca.

Avere compassione per il lupo, che l’uomo aveva ridotto alle

sue stesse pulsioni, equivaleva ad agognare il perdono per se

stesso.  

 

racconti della domenica 1

 

L’uomo giunse a tali costruzioni concettuali principalmente at-

traverso il dialogo con la Chiesa romana, che predicava sia la

compassione sia l’odio per i peccatori, o i semplici ed umili ere-

tici, identificando ciò che era bestiale, per il lupo in seno all’uomo.

Eppure, quando il laico arrivò a chiedere: ‘Che cos’è questo …

animale, solo, e come vive nell’universo?’ la Chiesa rispose senza

troppa compassione. 

Quando il secolare disse: ‘Consideriamo il lupo come un’entità

biologica, ben distinta dal Diavolo, dal culto pagano, dal male e

dal simbolismo della natura bestiale dell’uomo’ la Chiesa, sede 

di appello per tali questioni nel Medioevo, replicava: ‘No, sareb-

be inopportuno persino prendere in considerazione un fatto simile’.

Se, nel momento in cui San Francesco accettava la promessa del

lupo alle porte di Gubbio, foste entrati nella farmacia locale, avreste

trovato estratti di numerosi parenti di quel lupo conservati in …

giare e scatole.

 

racconti della domenica 1

 

Ci sarebbero stati escrementi di lupo per la cura di coliche e della

cataratta, fegato di lupo in polvere per lenire i dolori del parto, zan-

ne anteriori destre per ridurre gonfiori alla gola, denti di lupo per

la dentizione e, se il proprietario era abbastanza aperto a aveva

avuto un visitatore dall’Est, avreste anche potuto ottenere carne

secca del povero lupo (tanto lui non sa che farsene…), in omaggio

alla credenza beduina che fosse utile contro i dolori agli stinchi.

Ed il poveero lupo….

Lui a malapena può entrare nelle ore del giorno nel glorioso

borgo…

(la cronaca dal Medioevo…prosegue….)

 

 

 

 

 

 

racconti della domenica 1

  

PEETER STUBBE

Precedente capitolo:

processi-comunali.html

Prosegue in:

stubbe.html

Foto del blog:

peeter.html


 

peeter stubbe








…..Spesso avveniva che mentre si aggirava lontano dalla città,

scorgesse nei campi una compagnie di giovinette che giocava-

no tra loro; ed allora, sotto l’aspetto di lupo, si lanciava in mez-

zo ad esse con il fallo retto ed eccitato; e mentre tutte le ragazze

scappavano di qua e di là, afferratane una e soddisfatti i suoi

turpi desideri, la uccideva immediatamente; anzi, se ne cono-

sceva una in particolare o aveva qualche preferenza per una di

quelle ragazze, inseguiva quella sola, e isolata dalle altre com-

pagne, la afferrava, perché quando era trasformato ed eccitato

in lupo era estremamente veloce, tanto che avrebbe superato

nella corsa il più veloce levriero del paese.

 

peeter stubbe


Aveva dato prove della sua malvagità che tutta la provincia

era terrorizzata dalla crudeltà di quel lupo sanguinario e divo-

ratore. Continuando le sue atroci e diaboliche imprese, nel giro

di alcuni anni uccise tredici bambini di carne tenera e due gio-

vani donne incinte, strappando loro i feti nel modo più sangui-

nario e selvaggio e mangiando i cuori caldi, crudi e palpitanti,

che considerava i bocconi più delicati e più adatti al suo atroce

ed inappagato appetito.

Non solo, ma si narra che uccise nelle montagne agnelli e capret-

ti e animali di questo genere, dopo averli offerti in sacrificio al

Diavolo. Li divorava crudi e sanguinolenti, proprio come se fos-

se stato un vero lupo, tanto che nessuno avrebbe mai osato pen-

sare che si trattasse di un’opera di stregoneria.

 

peeter stubbe


In quel periodo, con lui viveva sua figlia, una ragazza giovane

e bella proprietaria di una locanda, verso la quale nutrì il più

innaturale dei sentimenti, commettendo con lei un abominevole

incesto, peccato turpe e contro natura, di gran lunga più terribi-

le dell’adulterio e della fornicazione, anche se il minore di questi

tre peccati già può condannare l’anima al fuoco dell’inferno, sal-

vo il pentimento dell’anima e la grande misericordia di Dio.

Conobbe questa sua figlia quando non era ancora dedito total-

mente al male: si chiamava Beel Stubbe e la sua grazia e la sua

bellezza erano tali da destare l’ammirazione di tutti coloro che 

la conoscevano.

La sua brama e i suoi turpi desideri nei suoi riguardi erano tali

che egli ne abbe un figlio e aveva rapporti quotidiani con lei

come concubina.

Quella immonda e insaziabile bestia, ormai completamente de-

dita al male, mostrò la sua lussuria giacendo anche con la pro-

pria sorella, avendo rapporti con lei per lungo tempo, perché a

questo lo spingeva la malvagità del suo animo.

 

peeter stubbe


Una volta che la donna era andata da lui a fare quattro chiacchiere,

prima che andasse via, era riuscito ad ammaliarla coi suoi discorsi

dolci e lusinghieri e ad annullarne la volontà a un punto tale da

giacere con lei, e in seguito l’ebbe sempre pronta ai suoi voleri.

Aveva, anche, un figlio giovane e bello, nato quando era ancora

giovane, il primo frutto del suo corpo, cosa per cui provava grande

gioia, tanto che spesso lo chiamava conforto del suo cuore: eppure

il piacere dell’assassinio prevalse sull’amore che provava per quel 

suo unico figlio. 

Assetato del suo sangue, un giorno lo invitò a seguirlo in campa-

gna; si appartò in una vicina foresta con la scusa di fare i propri

bisogni e, mentre il giovinetto lo precedeva, si nascose assumendo

l’aspetto di lupo e si avventò su di lui dilaniandolo con atroce cru-

deltà. 

Fatto ciò, ne divorò il cervello estratto dalla testa, come se questo

fosse il modo più raffinato per calmare il suo appetito. Fu questo

l’atto più mostruoso di cui si abbia memoria, perché mai fu udito

parlare di un uomo malvagio la cui natura fosse così degenerata.

Poi dopo questi misfatti, correva libero per i suoi boschi…..






 

peeter stubbe


LA VITA NON SI PUO’ DESCRIVERE

 

 Prosegue in:

in-termini-puramente-razionali.html &

 

la vita non si può descrivere


go-west-baby.html

ventanni-fa.html

trentanni-fa.html

sessantanni-fa.html

novantanni-fa.html

nel-nome-del-buddha-nella-sacra-abbazia.html


Foto del blog:

il-vagabondo.html



 

la vita non si può descrivere






     



Ripresi conoscenza nella mia cella di rigore, attorniato dal

solito quartetto.

– Tu, infame calunniatore ed anche ‘direttore’ di San Quentin,

tu creatura infernale…immonda, ciarlatano….!

dissi in tono di scherno, dopo aver bevuto avidamente l’acqua

che mi era stata offerta. 

– Trionfino pure i carcerieri e i detenuti di fiducia!

Il loro tempo sta per finire. Quando verrà la fine dei tempi, per

essi sarà la fine.

– Gli ha dato di volta il cervello,

disse il direttore Atherton in tono convinto.

– Si sta prendendo gioco di voi,

fu la più ponderata risposta del dottor Jackson.

 

la vita non si può descrivere


– E però rifiuta il cibo,

osservò il capobraccio Jamie.

– Mm… potrebbe resistere quaranta giorni senza risentirne,

rispose il dottore.

– Proprio così,

dissi io,

– e anche quaranta notti. Ora per cortesia, stringetemi un po’ di

più la camicia di forza e andatevene.

Il detenuto di fiducia cercò di infilare l’indice nell’allacciatura.

– Anche a tirarla con un verricello,

assicurò

– non si guadagnerebbe neanche un quarto di pollice.

– Hai qualche reclamo da fare, Standing?

chiese il direttore.

 

la vita non si può descrivere


– Sì,

risposi

– ho due cose di cui lamentarmi.

– E cioè?

– Primo,

dissi

– questa camicia di forza è allantata in maniera abominevole.

Hutchins è un somaro. Se volesse, la potrebbe stringere di al-

meno un palmo.

– E qual’è l’altra cosa?

– Che siete stato concepito dal diavolo, dal male, Atherton.

Il capobraccio Jamie e il dottor Jackson abbozzarono un sog-

ghigno. Poi il direttore, sbuffando, aprì la marcia e i quattro

uscirono dalla cella.

 

la vita non si può descrivere


Ma a questo punto caro lettore, devo interrompere il racconto

e spiegare alcune cose che ti renderanno più agevole la com-

prensione del tutto.

Sono costretto a farlo, perché il tempo che mi resta per comple-

tare la storia di quello che mi è successo quando ero nella camicia

di forza è limitato.

Fra non molto, anzi fra pochissimo tempo, mi condurranno fuori

per impiccarmi. Del resto, anche se potessi disporre di mille vite,

non potrei mai ricostruire nei dettagli quelle esperienze.

 

la vita non si può descrivere


Pertanto, debbo accorciare il racconto.

Voglio dire innanzitutto che Bergson ha ragione . La vita non si

può descrivere in termini puramente razionali. 

Come ha detto Confucio tanto tempo fa : ‘Se della vita conosciamo

così poco possiamo sapere della morte ?’.

Proprio così, visto che non riusciamo a descrivere l’esistenza in

termini razionali. La conosciamo fenomenicamente, allo stesso

modo in cui un selvaggio può conoscere una dinamo, ma non

sappiamo nulla della sua essenza noumenica, nulla della natura

ultima della vita.

Ha inoltre torto Marinetti quando sostiene che l’unica realtà, l’uni-

co mistero è la materia. 

Io affermo, e tu, lettore, sai che ho l’autorità per farlo – che la ma-

teria altro non è che illusione.

 

la vita non si può descrivere


Comte chiamò il mondo, che è l’equivalente della materia, il

grande feticcio, e io sono d’accordo con lui.

E’ la vita a costruire l’unica realtà e il vero mistero.

La vita è molto di più che semplice materia chimica, che nelle

sue fluttuazioni assume quelle forme elevate che ci sono note. 

La vita persiste, passando come un filo di fuoco attraverso tutte

le forme della materia.

Lo so.

Io sono la vita.

Sono passato per diecimila generazioni, ho vissuto per milioni

di anni, ho posseduto numerosi corpi.

Io, che ho posseduto tali corpi, esisto ancora, sono la vita, sono

la favilla mai spenta che tuttora divampa, colmando di meravi-

glia la faccia del tempo, sempre padrone della mia volontà,

sempre sfogando le mie passioni su quei rozzi grumi di mate-

ria che chiamano corpi ( di silicio…)  e che io ho fuggevolmente

abitato. 

(J.London, Il vagabondo delle stelle, Adelphi ed.)





 

la vita non si può descrivere

                             

L’ARTE DELLA FAME (dedicata ad Arturo Frizzi, Mantova 1864, Cremona 1940) (1)

Prosegue in:

l-arte-della-fame-2.html &

il-tramonto-della-cuccagna.html


 

l'arte della fame 1

 

 





Zingara di un Rozzo recitata da un contadino

in ottava rima.

 

                                                  

                                      Canzona

 



Zingar siamo sfortunati

  che patiamo  affanni e stento,

  sempre stiamo all’acqua e ‘l vento

  e per tutto siam scacciati,

  zingar siamo sfortunati.

  

Non avià casa né tetto,

  né villaggi né contrade;

  paglia e fieno è ‘l nostro letto,

  acqua e pan per povertade,

  regn’ in noi poca bontade

  questo ci è maggior dispetto;

  di far mal aviam diletto

  ma siam spesso castigati,

  zingar siamo sventurati.

 

   Il villano comincia.

 

Chi fece il Cielo, e ‘l mondo tutto quanto

  salvi e mantenga la nostra sciellentia

  e la faccia salir di grado tanto

  quant’è maggior d’ognun nostra prudenza

  che d’ingegno et valor portate il vanto

  Signor benignio e Padre di crementia,

  governatore e general pregiato

  ch’ illustre sete a sì felice stato.

 

l'arte della fame 1

 

Voi siate tutti quanti e ben trovati

  uomini, donne, citole e garzoni

  e anco tutti chiesti innamorati

  stien sempre in feste in canti balli e suoni,

  e certi ch’ al dir mal sono sempre usati

  gli sie cotte le lengue in su’ carboni

  certe lenguacce che filan capechio

  siegli ogni sempre bruciato il parechio.

 

l'arte della fame 1

 

So’ de Rozzi Strillozzo da Scanzano

  che vo’ cercando il mondo in ogni parte

so’ fatto delli zincari capitano

  per far girar mia fama in mille carte,

  e perché il lagorar mi pare strano

  io vo’ provar un poco a far chest’arte

  potrò con loro furar alla sicura

  senza aver delle scope paura.

 

l'arte della fame 1

 

Or sì ch’io sguazzo com’un beraiuolo

  et ho sempre un biancon nel mio borsello

  posso far ora il furbo e ‘l mariolo

  tagliar le borse quand’io veggo il bello

  ma chest’arte so ch’io non so’ solo

  ch’apro le casse senza grimaldello

  e perché io non vo’ far tante ruine

  lasso i pollai e furo le galline.

 

l'arte della fame 1

 

E se venir con noi donne volete

  v’insegnaremo a far nostri lagori

  a furbachiar le genti impararete

  e certi incanti da trovar tesori

  e poi all’altre insegnar potarete

  cose da far corsire gli amadori

  e insegniaremvi per maggior contento

  a fare a che gli è fuore, a che è dentro.

 

l'arte della fame 1

 

Noi andarem, potta di guinci, a valle

  per case come le golpi e faine,

  furarem porci, troie, asine, cavalle,

  votiarem forni e scassarem cantine;

  e quand’arem po’ ben carche le spalle

  darem gambe per cheste colline

  scorrendo sempre, acciò che ognun tarpi,

  a Mirandola il dì, la notte a Carpi. 

 

l'arte della fame 1

 

Or se venir con noi pigliate cura,

  farete delle nostre mascalcie,

  potrete dar a gli uomini la ventura

  e far incanti, fatture e malie;

  ladroncelle voi sete di natura

  avvezze a gabbar altri e dir bugie

  ch’embroglierete altrui per parer belle

  e votiarete a gli uomini le scarselle.

(Biblioteca comunale degli Intronati, Siena, Raccolta di diverse

rime delli più dotti Rozzi)



 

 

 

 

l'arte della fame 1

  

 

IL VIAGGIO

Precedente capitolo:

sul-sentiero-degli-indiani-morti.html

Prosegue in:

nell-al-di-la.html

Foto del blog:

frammenti-di-un-sogno.html

Appunti, viaggi, dialoghi e …frammenti…

imieilibri.myblog.it

Blog…

i-miei-blog.html

Un sito…

www.giulianolazzari.com


 

il viaggio





IL VIAGGIO NELL’AL DI LA’




Un indiano goajiro pianse a lungo,

così a lungo,

la sua sposa morta,

ch’ella ebbe pietà di lui.


Una notte venne a lui,

un sogno.

Aveva sembianze umane.

E a lui sembrava viva.


Avanzava verso di lui.

– Mia sposa! Mia sposa! Fermati!

Sono qua! Non lasciarmi!

gridò il goajiro, alzandosi.

Ella non rispose.

Incrociando, ella accellerò il passo.


Il goajiro l’inseguì.

Correva,

ma non poteva raggiungerla…

Le era vicino,

ma non riusciva ad afferrarla….


L’indomani, all’alba, egli parlò.

– Perché mi insegui?

Sono perduta, ho raggiunto la fine.

Sono ombra nella notte…

Ma vieni con me se lo desideri!

Vieni con me poiché tu piangi…


Lo prese sulle spalle

e partirono per molto lontano,

verso il centro del mare,

in direzione di Jepìra,

la terra dei goajiro morti.


Ella avanzava sull’acqua,

molto velocemente,

come un pellicano.

Presto raggiunsero l’altra sponda.

– Seguimi presto!

Ho sete! ella disse.

Il goajiro si affrettò.


Trovarono allora Butor,

il guardiano dell’acqua.

– L’acqua che bevono gli yoluja è in un terreno cintato.

Butor ne sorveglia l’ingresso.


Butor era là in piedi.

– Tu devi rimanere qui!

disse la donna al suo sposo.

Il goajiro assetato guardava l’acqua.

Si precipitò.

Butor lo fece bere per primo.

La donna bevve dopo.


Continuarono il loro cammino….


 

il viaggio



– E’ questo che avevo sognato,

disse più avanti il goajiro vedendo una porta.

La porta si aprì da sola.

Il goajiro si precipitò per entrare per primo.

La sua sposa corse per tentare di impedirglielo.

– Resta dietro di me!

gridò.

Ma lui era già entrato.


Continuarono a camminare…..


All’alba,

erano arrivati ai piedi di una montagna.

E’ là che la donna abitava.

Prima di raggiungere la cima,

attraversarono un terreno mobile e fangoso.


Si sentivano delle persone ebbre parlare.

Mangiati durante la sepoltura di un morto,

un toro muggiva,

alcune capre bevevano…..

E su alcuni cavalli morti,

galoppavano degli yoluja ebbri.

Quando giunsero laggiù,

quando il sole fu sorto,

coloro che erano morti da molto tempo salutarono il goajiro.

– Cognato! disse l’uno.

– Come stai amico?

domandò l’altro.

– Cugino!

gridò un terzo….

Erano tutti yoluja.


Solo,

il goajiro aveva conservato l’aspetto di un essere vivente.


Laggiù egli mangiava melone e anguria.

Ogni mattina,

una pentola e del cibo cucinato l’attendevano.


Così per numerosi giorni restò con lei….


La notte,

quando suo moglie voleva dividire il suo giaciglio con lui,

appendeva l’amaca.


Ma quando egli le si avvicinava,

pronto a prenderla,

ella scompariva.

Cadeva a terra supino

e la ritrovava in piedi,

accanto a lui.

(M. Perrin, Il sentiero degli Indiani morti)







 

il viaggio

 

FRAMMENTI DI UN SOGNO (3)

Precedente capitolo:

frammenti-di-un-sogno-2.html

Prosegue in:

sul-sentiero-degli-indiani-morti.html &

i-nuovi-maghi.html

Foto del blog:

frammenti-di-un-sogno.html

 

 

 

 

 

 

 

 

Continuai per venti minuti a raccogliere delle frasi sconnesse.

– …gru bianca conficcare quella cosa nella terra. E gru bianca lui

andare a sedere su quella roccia. Canguro, sai? Avuto osso fermo

nella sua gola. Colpire i suoi occhi.

– Sìì?

– Sìì! E lui colpire lui nel cuore. una volta lui diventare Wandjina.

– Cos’è, chiesi. Ha detto Wandjina?

– No, disse Mike. Non credo. Che cos’è diventato, Danny?

– Lui diventare un uccello. Tuto diventare uccello.

– Quale uccello?

– I vecchi. Lui diventare uccello. Aquila reale, sai?

– Capisco, disse Mike.

– Perciò, tutti loro ancora là, su quella collina. I vecchi, gli uccelli.

Loro diventare uccelli.

Tutto quel Tempo del Sogno. Loro ancora viaggiando. Sempre

viaggiando, vecchi di una volta.

Danny sorrise e fece ampi cenni con il capo, contento per avere

finalmente trasmesso il suo pensiero.

Mike mi guardò. Ricambiai lo sguardo, un Aootore frustrato.

– Cos’è che era? chiesi.

– Non ne ho la minima idea, Harv.

Senza dubbio Danny, cercando di capire il nostro pensiero, stava

provando la stessa difficoltà che stavamo provando noi nel capire

i suoi.

Sin dall’inizio, la nostra conversazione si era trascinata in maniera

fantasmagorica dentro e fuori il Tempo del Sogno.

Quando Danny parlava dei ‘vecchi che viaggiavano’ non c’era alcun

modo di capire se lui stava parlando dei vecchi della comunità nei

dintorni, di alcuni Uomini della Legge che stavano passando per

delle ‘faccende di Legge’, o degli antenati del Tempo del Sogno

come l’aquila reale o l’airone bianco, i quali assumevano sia forme

umane sia animali. 

Per lui, la realtà e il Tempo del Sogno erano intercambiabili, e potevi

viaggiare da una parte all’altra con la stessa facilità con la quale si

cammina tra due stanze.

Poi la conversazione diventò più chiara.

– Danny sei nato in questa terra?,

chiesi.

– Sono qui da ragazzino, sai? Sono nato nel Territorio del Nord.

Auvergne Ranch. Sono venuto quaggiù quando ero un piccolo

ragazzo. Sono cresciuto in questa terra.

– Qual’è la tua gente, Miriwoong?

– Noo, non Miriwoong. Ngarinyin, quella è la mia terra.

– Ci torni mai lì?

– Sìì, ci torno sempre. Ho tutti i miei fratelli laggiù.

– Hai un Dreaming, Danny?

(H. Arden, Custodi del sogno)

 


 

 

 

 

frammenti di un sogno (3)


 

FRAMMENTI DI UN SOGNO (2)

Precedente capitolo:

frammenti-di-un-sogno.html &

lo-spavento-dell-antropologo.html &

dialoghiconpietroautier2.blogspot.com

Prosegue in:

frammenti-di-un-sogno-3.html

 

 

 

 

 

 

 

 

– Allora quello è un posto speciale, quella collina?

– Sìì. Speciale. Nessuno può toccare quel posto. Thompson Spring.

– Tu andato a vedere quel posto?

– Sì una volta sono andato lassù a piedi, disse Mike.

– Cosa sta dicendo?

chiesi, completamente confuso.

– Sta dicendo, credo, che c’è un posto molto speciale lassù: Thompson

Spring. Lo stesso posto di cui parlava Jim Ward, dove gli Uomini della

legge non gli hano fatto fare il so accampamento.

– E, cos’è che stai dicendo, Danny? ….C’era quest’aquila reale, che conti-

nuava a catturare i rock wallabies?

– Sìì….lui cattura solo lui rock wallaby.

– E che cosa ha fatto il rock wallaby?

– Uccidere quel canguro con i loro piedi, sai?

– Sìì? Il wallaby ha fatto questo? L’ha ucciso solamente con i suoi piedi?

– No, l’uccello. Aquila reale ha sposato la sua sorella.

– Chi era quella con cui era sposato?

– La sorella della gru bianca. Lui ha sposato aquila reale.

– Ripetilo, supplicai.

– Allora la sorella della gru bianca era sposata con aquila reale?,

chiese Mike.

– Sìì. Due bambine, entrambe. Quella moglie appartenere all’aquila

reale. Il wallaby, sai? L’aquila reale lui aveva denti lunghi. L’aquila

lui e la gru bianca litigano. Lui trafigge quelle due ragazze. Uccidere

lei con una lancia. Gru bianca lui dire, …

– Oh, hai ucciso mie due sorelle. Per che cosa? Comunque l’aquila

reale lui mangiare la due sorelle che appartenere alla gru bianca.

– E questo è quando un ossicino si fermò nella gola? chiese Mike.

Ero stupito dal fatto che egli riuscisse a seguire la storia così bene da

poter fare una domanda.

Danny continuò gesticolando con energia mentre parlava, indicando

in direzione della distante montagna.

Sapevo che non stavo vedendo quello che lui vedeva. Lui stava ve-

dendo dentro il Tempo del Sogno, ed io….

IO RIMANEVO CIECO COME AL SOLITO. …..

(H. Arden, Custodi del sogno)







Uluru-Kata_Tjuta_National_Park-2.jpg

PROCESSI INQUISITORIALI (2)

Precedente capitolo.

processi-inquisitoriali.html

Prosegue in:

processi-inquisitoriali-3.html

Foto del blog:

processi-inquisitoriali.html


 

processi inquisitoriali 2








(precedente processi-inquisitoriali.html) Il giorno in cui si

eseguiva tale cerimonia vedevasi comparire in mezzo ad

un cerchio un caprone tutto nero, intorno al quale, quando

faceva udire la sua voce rauca, si ponevano a danzare tutte

le streghe; indi gli baciavano la coda, ed in appresso aveva-

no un banchetto servito di pane, vino e formaggio.

Terminata la festa, tutte si accompagnavano col loro vicino

trasformato in caprone, e dopo essersi unto il corpo collo

sterco d’un rospo, d’un corvo e di una lupa e di molti rettili,

volavano per l’aria, recandosi ne’ luoghi in cui volevano

commettere qualche maleficio.

Di loro propria confessione avevano fatti perire di veleno

tre o quattro persone per ubbidire agli ordini di Satanasso.

Dicevano di tenere generali adunanze la notte avanti Pasqua

e nelle maggiori solennità dell’anno, nelle quali commetteva-

no molte cose contrarie all’onestà ed alla religione.

Quando assistevano alla messa vedevano l’ostia nera; ma se

avevano desiderio di rinunciare alle diaboliche loro pratiche,

loro si mostrava nel suo natural colore.

Soggiugne lo storico che, volendo il commissario accertarsi

della verità colla propria esperienza, fece venire una vecchia

strega e le promise il perdono a condizione che facesse in

sua presenza tutte le sue pratiche, permettendole inoltre di

fuggire durante il suo lavoro, se ne aveva il modo. 

La vecchia accettò la proposta, chiese un’ampolla di unguen-

to che le si era trovata a dosso e salì col commissario sopra

una torre e colà si pose con lui presso ad una finestra.

Cominciò in presenza di molte persone ad ugnersi le artico-

lazioni, indi gridò ad alta voce:

Sei tu là?

E tutti gli spettatori udirono per l’aere una voce che rispon-

dea:

Sì, eccomi!

In allora la donna cominciò a discendere lungo la torre col

capo verso terra e, giunta a metà dell’altezza, si spiccò dal

muro e prese a volare, togliendosi alla vista degli spettatori

quand’ebbe oltrepassato l’orizzonte.


(prosegue in: processi-inquisitoriali-3.html)


(P. Tamburini, Storie dell’Inquisizione)







 

processi inquisitoriali 2

 

I LIBRI (proibiti)

Precedente capitolo:

negromanti.html

Prosegue in:

proibiti.html

Foto del blog:

negromanti-e-i-libri-proibiti.html

….Libri proibiti…..

imieilibri.myblog.it

….L’ultimo libro proibito….et in rima ‘acerba’

 

i libri


frammenti-in-rima.html

blog et Siti:

i-miei-blog.html


 

i libri









I primi poeti del lago……


Fra i poeti, risponde per primo all’appello Fazio degli Uberti

col suo ‘Dittamondo’, composto, a più riprese, tra il 1346 e il

1367.

Fazio immagina una fantastica ‘tournée intorno alle tre parti

del mondo, compiuta per incitamento della Virtù e in compa-

gnia dell’antico geografo Solino.

Descrive paesi e contrade, ricorda storie e personaggi in una

sequenza di allegorizzazioni moraleggianti che raggelano il

suo verso, descrittivo e sciolto, ma senza un intimo movimento

lirico.

 

i libri


Ebbene, Fazio, da buon toscano che punzecchia volentieri i 

‘marchisani’, come Boccaccio e il Sacchetti – perché i toscani 

hanno sempre un po’ sul naso i marchigiani, fino a Michelan-

gelo che si avvelenava il sangue contro Raffaello e più contro

il suo conterraneo ‘protettore’ Bramante – fa della Marca niente-

meno che la patria di Giuda:


Entrai nella Marca, com’io conto,

Io vidi Scariotto, onde fu Giuda,

Secondo il dir d’alcun, di cui fu conto. (38)


Gli studiosi hanno voluto cercare veramente qualche paese

delle Marche che suonasse come ‘Scariotto’, e il Crocioni pensa

a Montecarotto, che al genetivo latino suona ‘Montiscarotti’. 

Fazio, più attento alle favole strane che alle vere bellezze del

Piceno, subito dopo, in alcuni versi ascrivibili al 1360 circa, ri-

corda anche la fama negromantica del Lago di Pilato:


La fama qui non vo’ rimanga nuda

Del Monte di Pilato, ov’è un lago

Che si guarda la state a muda a muda,

Perché, quale s’intende in Simon Mago,

Per sacrar il suo libro là si monta,

Ond’è tempesta poi con grande smago,

Secondo che per quei di là si conta   (libro III, cap.I)

(prosegue in proibiti.html)








 

i libri