RIDERE DEL MALE

Precedente capitolo:

perché ride

Una lettera di Giuliano…(in):

gli occhi dell’anima &

il tuo malessere

Foto del blog:

Dio ride &

perché ride

Da:

i miei libri &

Frammenti in rima






 

– Perché? Mi batterei, la mia arguzia                                                 89786756.jpg

contro l’arguzia altrui. Sarebbe un mondo

migliore di quello in cui il fuoco e il

ferro rovente di Bernardo Gui

umiliano il fuoco e il ferro rovente

di Dolcino.

– Saresti preso ormai tu stesso nella

trama del demonio.

Combatteresti dall’altra parte del

campo dell’Armageddon, dove dovrà

avvenire lo scontro finale.

Ma per quel giorno la chiesa deve saper imporre ancora una volta

la regola del conflitto.

Non ci fa paura la bestemmia perché anche nella maledizione di Dio

riconosciamo l’immagine stranita di Geova che maledice gli angeli

ribelli.

Non ci fa paura la violenza di chi uccide i pastori in nome di qualche

fantasia di rinnovamento, perché è la stessa violenza dei principi che

cercano di distruggere il popolo di Israele.

Non ci fa paura il rigore del donatista, la follia suicida del circoncellione,

la lussuria del bogomilio, l’orgogliosa purezza dell’albigese, il bisogno

di sangue del flagellante, la vertigine del male del fratello del libero

spirito: li conosciamo tutti e conosciamo la radice dei loro peccati che è

la radice stessa della nostra santità.

Non ci fanno paura e soprattutto sappiamo come distruggerli, meglio,

come lasciare che si distruggano da soli portando protervamente allo

zenit la volontà di morte che nasce dagli abissi stessi del loro nadir.

Anzi, vorrei dire, la loro presenza ci è preziosa, si iscrive nel disegno

di Do, perché il loro peccato incita la nostra virtù, la loro bestemmia

incoraggia il nostro canto di lode, la loro sregolata penitenza regola

il nostro gusto del sacrificio, la loro empietà fa risplendere la nostra pietà,

così come il principe delle tenebre è stato necessario, con la sua ribellione

e la sua disperazione, a far meglio rifulgere la gloria di Dio, principio

e fine di ogni speranza.

Ma se un giorno – e non più come eccezione plebea, ma come ascesi

del dotto, consegnata alla testimonianza indistruttibile della

scrittura – si facesse accertabile, e apparisse nobile, e liberale,

e non più meccanica, l’arte dell’irrisione, se un giorno qualcuno

potesse dire (ed essere ascoltato): io rido dell’incarnazione

…..Allora non avremmo armi per arrestare quella bestemmia,

perché essa chiamerebbe a raccolta le forze oscure della materia

corporale, quelle che si affermano nel peto e nel rutto, e il rutto

e il peto si arrogherebbero il diritto che è solo dello spirito, di

spirare dove vuole!

– Licurgo aveva fatto ereggere una statua al riso.

– Lo hai letto sul libello di Clorizio, che tentò di assolvere i mimi

dalla accusa di empietà, che dice come un malato fu guarito da un

medico che lo aveva aiutato a ridere.

Perché bisognava guarirlo, se Dio aveva stabilito che la sua giornata

terrena era giunta alla fine?

– Non credo lo abbia guarito dal male. Gli ha insegnato a ridere

del male.

– Il male non si esorcizza. Si distrugge.

– Col corpo malato.

– Se è necessario.

– Tu sei il diavolo, disse allora Guglielmo.

Jorge parve non capire. Se fosse stato veggente direi che avrebbe

fissato il suo interlocutore con sguardo attonito.

– Io?  disse.

– Sì, ti hanno mentito. Il diavolo non è il principe della materia, il

diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità

che non viene mai presa dal dubbio.

Il diavolo è cupo perché sa dove va, e andando va sempre da dove

è venuto.

Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre.

Se volevi convincermi, non ci sei riuscito.

Io ti odio, Jorge, e se potessi ti rincodurrei giù, per il pianoro,

nudo con penne di volatili infilate nel buco del culo, e la faccia

dipinta come un giocoliere e un buffone, perché tutto il monastero

ridesse di te, e non avesse più paura.

Mi piacerebbe cospargerti di miele e poi avvoltolarti nelle piume,

portarti al guinzaglio nelle fiere, per dire a tutti: costui vi annunciava

la verità e vi diceva che la verità ha il sapore della morte, e voi non

credevate alla sua parola, bensì alla sua tetraggine.

E ora io vi dico che, nella infinita vertigine dei possibili, Dio vi

consente anche di immaginarvi un mondo in cui il presunto interprete

della verità altro non sia che un merlo goffo, che ripete parole apprese

tanto tempo fa. 

– Tu sei peggio del diavolo, minorita, disse allora Jorge.

– Sei un giullare, come il santo che vi ha partoriti. Sei come il tuo

Francesco che teneva sermoni dando spettacoli come i saltimbanchi,

che confondeva l’avaro mettendogli in mano monete d’oro, che umiliava

la devozione delle suore recitando il ‘Miserere’ invece della predica,

che mendicava in francese, e imitava con un pezzo di legno i movimenti 

di chi suona il violino, che si travestiva da vagabondo per confondere

i frati ghiottoni, che si gettava nudo sulla neve, parlava con gli animali

e le erbe, trasformava lo stesso mistero della natività in spettacolo

da villaggio, invocava l’agnello di Berthlehem imitando il belato

della pecora….Fu una buona scuola…Non era minorita quel frate

Diotisalvi da Firenze?

– Sì, sorrise Guglielmo.

– Quello che andò al convento dei predicatori e disse che non avrebbe

accettato cibo se prima non gli avessero dato un pezzo della tunica

di fra Giovanni, onde conservarla come reliquia, e quando l’ebbe vi

si pulì il sedere e poi la gettò nel letamaio e con una pertica la rotolava

nello sterco gridando: ahimè, aiutatemi fratelli perché ho perso nella

latrina le reliquie del santo!

– Ti diverte questa storia, mi pare. Forse vorrai raccontarmi anche

quella dell’altro minorita, frate Paolo Millemosche, che un giorno

è caduto lungo disteso sul ghiaccio e i suoi cittadini lo dileggiavano

e uno gli chiese se non avrebbe voluto aver qualcosa di meglio sotto

di sé, ed egli rispose a quello: sì, tua moglie…. Così voi cercate la verità.

– Così Francesco insegnava alla gente a guardare le cose da un’altra

parte.

– Ma vi abbiamo disciplinati. Li hai visti ieri, i tuoi confratelli.

Sono rientrati nelle nostre file, non parlano più come i semplici.

I semplici non debbono parlare. Questo libro avrebbe giustificato

che la lingua dei semplici sia portatrice di qualche saggezza.

Questo occorreva impedire, questo io ho fatto.

Tu dici che io sono il diavolo: non è vero. Io sono stato la mano

di Dio.

– La mano di Dio crea, non nasconde.

– Ci sono dei confini al di là dei quali non è permesso andare.

Dio ha voluto che su certe carte fosse scritto: ‘hic sunt leones’. 

– Dio ha creato anche i mostri. Anche te. E di tutto vuole che si parli.

Jorge allungò le mani tremule e trasse a sé il libro. Lo teneva aperto,

ma capovolto, in modo che Guglielmo continuasse a vederlo per

il verso giusto.

– Allora perché, disse, ha lasciato che questo testo andasse perduto

lungo il corso dei secoli, e se ne salvasse solo una copia, che la copia

di quella copia, finita chissà dove, rimanesse seppellita per anni nelle

mani di un infedele che non conosceva il greco, e poi giacesse

abbandonata nel chiuso di una vecchia biblioteca dove io, non tu, io fui

chiamato dalla provvidenza a trovarla, e a portarla con me, e a nascon-

derla per altri anni ancora?

Io so, so come se lo vedessi scritto a lettere di diamante, coi miei occhi

che vedono cose che tu non vedi, io so che questa era la volontà del

Signore, interpretando la quale io ho agito.

NEL NOME DEL PADRE, DEL FIGLIO, E DELLO SPIRITO SANTO.

(U. Eco, Il nome della rosa)





 

uikjmnkjk.jpg

 

RIDERE DEL MALEultima modifica: 2012-10-09T00:00:00+02:00da giuliano106
Reposta per primo quest’articolo