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Oggi che il nostro predominio sulla natura sembra quasi totale,
un gran numero di commentatori sono pronti a riandare con
nostalgia a periodi precedenti in cui esisteva un miglior equili-
brio nella natura.
Ma in Inghilterra sotto i Tudor e gli Stuart l’atteggiamento tipi-
co era di esaltazione per quel predominio sulla natura tanto fa-
ticosamente conquistato.
La dominazione dell’uomo sulla natura era l’ideale orgogliosa-
mente proclamato dagli scienziati dell’inizio dell’età moderna.
Eppure, nonostante il linguaggio figurato aggressivamente di-
spotico dei loro discorsi sul ‘possesso’, il ‘dominio’, la ‘conquista’,
essi, grazie a generazioni d’insegnamento cristiano, erano con-
vinti che il loro compito, sotto il profilo morale, fosse assoluta-
mente innocente.
“Non ha mai fatto del male a nessuno”, – affermava Bacone –
“non ha mai gravato di rimorsi nessuna coscienza”.
(……) Le inibizioni relative al trattamento inflitto alle altre spe-
cie venivano respinte dal pensiero che esisteva una differenza
fondamentale tra l’uomo e le altre forme di vita.
La giustificazione di questa convinzione risaliva, di là del cri-
stianesimo, ai greci.
Secondo Aristotele, l’anima comportava tre elementi: un’anima
nutritiva, comune all’uomo e ai vegetali, un’anima sensitiva, co-
mune all’uomo e agli animali, e un’anima intellettuale o raziona-
le, peculiare dell’uomo.
Questa dottrina fu ripresa dalla scolastica medievale e si fuse
con l’insegnamento giudaico cristiano secondo il quale l’uomo è
fatto a immagine e somiglianza di Dio (Genesi, 1.27).
Anziché presentare l’uomo come un puro e semplice animale su-
periore, essa lo innalzava a uno stato completamente diverso, a
mezza strada tra la bestia e l’angelo. All’inizio dell’età moderna
questa dottrina non era priva di una buona dose di autocompia-
cimento.
L’uomo, si diceva, era più bello e il più perfettamente formato
degli animali. C’era ‘più maestà divina nel suo aspetto’ e ‘una
più squisita simmetria nelle sue parti’.
(……..) Questa particolare attitudine dell’uomo al libero arbitrio e
alla responsabilità morale sfociavano in un’altra differenza, se-
condo i teologi la più decisiva. Non si trattava della ragione che,
dopo tutto, le creature inferiori, in qualche misura, condivideva-
no con l’uomo, ma della religione.
Diversamente dagli animali, l’uomo era dotato di coscienza e
d’istinto religioso. Egli aveva anche un’anima immortale, men-
tre gli animali perivano e la vita futura era loro negata.
Non era il caso di dolersene: ‘La vita di una bestia’, secondo un
predicatore del 600, era effettivamente ‘abbastanza lunga per
una vita da bestia’.
L’idea che gli animali possano essere immortali, diceva nel 1695
un altro predicatore, è ‘di un’assurdità sconvolgente’.
Nel 600 il tentativo più notevole di accentuare al massimo gra-
do questa differenza fu una dottrina formulata originariamente
da un medico spagnolo, Gomez Pereira, nel 1554, ma sviluppata
indipendentemente e resa famosa, a partire dagli anni 30 del se-
colo, da Renato Cartesio. Secondo tale dottrina gli animali sono
delle semplici macchine o automi, simili a degli orologi, capaci
di un comportamento complesso ma totalmente incapaci di par-
lare, di ragionare o, secondo alcune interpretazioni, addirittura
di avere sensazioni.
Per Cartesio anche il corpo umano è un automa; dopo tutto esso
compie numerose funzioni involontarie, come quella della dige-
stione.
La differenza è che, all’interno della macchina uomo, c’è una
mente, e quindi un’anima separabile, mentre le bestie brute sono
degli automi senza mente né anima. Soltanto nell’uomo materia
e intelletto si combinano insieme. Questa dottrina anticipava gran
parte della psicologia meccanicistica successiva e conteneva in
germe il materialismo di La Mettrie e di altri pensatori del 600.
A tempo debito avrebbe consentito agli scienziati di sostenere
che la coscienza poteva essere spiegata meccanicisticamente, e
che la totalità della vita psichica di un individuo era il prodotto
della sua organizzazione fisica.
Un giorno si sarebbe detto dell’uomo ciò che Cartesio diceva de-
gli animali.
Nel frattempo però, la dottrina cartesiana ebbe l’effetto di declas-
sare ulteriormente gli animali nei confronti degli esseri viventi.
Cartesio negava che gli animali avessero l’anima poiché essi non
mostrano nessun comportamento che non si possa spiegare in ter-
mini di puro e semplice impulso naturale.
Ma i suoi seguaci andarono ben oltre.
Essi sostenevano che gli animali non sentono il dolore; l’urlo di
un cane picchiato non è segno della sofferenza dell’animale, non
più di quanto il suono di un organo indichi che lo strumento sen-
te dolore quando se ne percuote la tastiera.
Che l’animale gema e si dibatta è semplicemente un riflesso ester-
no, senza alcun rapporto con una sensazione interna.
D’altronte Cartesio si era limitato a portare alle sue estreme con-
seguenze una distinzione già implicita nella dottrina scolastica.
Tommaso d’Aquino, dopo tutto, aveva insegnato che quella che
si chiamava la prudenza degli animali non era altro che l’istinto,
posto in essi da Dio.
Inoltre il cartesianesimo pareva un eccellente strumento per la
difesa della religione.
(……) Tuttavia l’argomento più forte in favore della posizione
cartesiana era che essa forniva la migliore spiegazione raziona-
le possibile del modo in cui l’uomo trattava realmente gli anima-
li.
L’altra posizione, ammettendo che gli animali potessero soffrire
e soffrissero, avrebbe lasciato spazio alla colpevolezza dell’uomo
e a interrogativi inquietanti: quali erano le ragioni per cui Dio
poteva permettere che le bestie subissero delle sofferenze immeri-
tate e in così larga scala?
Il cartesianesimo, invece, assolveva Dio dall’accusa di provocare
ingiuste sofferenze a delle bestie innocenti tollerando che gli uma-
ni le maltrattassero; esso giustificava altresì la supremazia degli
uomini, liberandoli, secondo le parole di Cartesio, da ‘ogni sospet-
to di crimine, per quanto volte mangino carne o uccidano animali’.
(Keith Thomas, L’uomo e la natura)