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Significativamente, per quanto infondatamente gli ‘Acta
Archelai’, scritto antimanicheo del quarto secolo attribu-
ito a Egemonio, presentano Basilide come precursore , do-
po Sciziano, di Mani.
Il maestro alessandrino interpretava la parabola del ric-
co e del povero come attestante l’universale presenza del
mondo del male.
Del male Basilide conosce una inquietante definizione, lo
chiama ‘NATURA PRIVA DI FONDAMENTO E DI LUO-
GO’, vale a dire ‘principio’ (a cui niente e nessuno può
confrontarsi).
Il male costituisce dunque per Basilide un’origine.
Del tutto analoga appare la posizione del trattato gnosti-
co ‘Sull’origine del mondo’ nel quale si afferma che l’om-
bra deriva da opera esistente dal ‘principio’.
Ciò equivale a dire che all’origine domina l’ignoranza,
tema che sarà anche del ‘Vangelo di Verità’.
Soprattutto il male è reale, sostanziale.
Da questo punto di vista le definizioni offerte da Mani,
ad esempio, e da Jung, appaiono prossime a quella di
Basilide.
Sia per Mani che per Jung il male è ‘principio’.
Tuttavia per Mani esso si contrappone a Dio, per Jung
ne costituisce un aspetto.
Clemento Alessandrino riporta un brano del libro XXIII
degli ‘Esegeteci’ nel quale Basilide sostiene la tesi della
innata disposizione al male di ognuno.
La stessa dottrina era condivisa, ma in forma mitigata,
dal figlio di Basilide, Isidoro.
Di Isidoro Clemente riferisce un brano tratto dall’opera
‘Sull’anima avventizia’. Vi si parla delle appendici che
aderiscono all’anima, presumibilmente mentre questa
cala nel mondo terreno attraversando quello celeste e
progressivamente smemorandosi nel fondo oscuro del-
la materia.
Perché secondo Basilide e i suoi discepoli, gli spiriti
malvagi aderirebbero all’anima razionale?
La risposta suona alquanto enigmatica: a causa d’una
iniziale confusa perturbazione.
Come dire che il principio, per essere tale, cioè princi-
pio, e per precedere l’abitare dell’uomo in questa terra,
non sopporta d’essere incorniciato in alcuna proposi-
zione del linguaggio umano.
E a causa d’un immotivato disordine iniziale, che gli
spiriti malvagi hanno appesantito l’anima di ogni per-
versa inclinazione.
Alle appendici si sarebbero poi aggiunte le nature av-
ventizie, nature eterogenee, come ad esempio ‘quella
del lupo’.
Si troverebbe qui prefigurata, secondo Jung, la conce-
zione d’una personalità inferiore affondata a un estre-
mo nell’istintività dell’animale, rappresentativa di ciò
che non vorremmo essere e che sempre ci accompagna,
globalmente designata come ombra.