LA CASA (degli schiavi) (4)

Precedenti capitoli:

66 Buddy Bolden Blues (3)

stregoni con la chitarra (3)

storia universale dell’infamia: Gang & Teatri  (17)

Prosegue in:

(la casa) degli schiavi (5)

 

 

 

la casa

 

 

 

 

 

 

 

……Menzionare Dio e il Diavolo… nei propri testi

rappresenta un venire a patti con il pensiero reli-

gioso dualistico occidentale.

Tra i ricordi al blues che risalgono più indietro vi

sono quelli di William Christopher Handy, che lo

ascoltò a St. Louis nel 1892; dal contenuto della can-

zone sembrerebbe che il chitarrista che egli ascoltò

per strada ‘poteva benissimo essere uno che suona-

va solo per qualche mancia’.

Nel 1902 il blues cominciava già ad essere commer-

cializzato; in quell’anno Ma Raney integrò il blues

nei suoi spettacoli.

Nel 1903 Handy vide altri bluesman locali nel Delta

del Mississippi. Un cantante blues citato da William

Ferris testimoniò che il blues esisteva nel Delta già

nel 1890.

Si può concludere quindi che il blues, o il suo proto-

tipo, fosse già presente nel Mississippi e in altre aree

almeno qualche anno prima che Handy lo ascoltasse.

David Evans riassume così i generi pre-blues che ven-

nero alla luce nel XIX secolo:

‘Nuove forme musicali emersero nel Sud, tra cui i can-

ti per il lavoro nei campi, per la spulatura del grano,

per il taglio degli alberi, per remare e condurre le bar-

che sui fiumi; inoltre, canzoni per stare insieme e per

ballare, accompagnate frequentemente dal violino e/o

dal banjo e occasionalmente da altri strumenti, e can-

zoni religiose’.

Un altro resoconto sulle più antiche tradizioni vocali

nel Deep South, probabilmente antecedenti alla guerra

civile, è fornito da Harriet Joseph Ottenheimer, la qua-

le dichiara che gli stili di canto ascoltati nelle parti lea-

der dei canti di lavoro probabilmente derivavano da

tradizioni bardiche.

Anche i richiami dei venditori ambulanti di frutta, ver-

dura e fiori, e gli ‘hollers’ cantati nelle campagne del

Sud potrebbero aver conservato elementi della tradi-

zione bardica.

… Alcune di queste componenti melodiche, testuali e

stilistiche vennero infine assorbite da ciò che sarebbe

divenuto il blues.

Il blues è un genere sia letterario che musicale, e i due

ambiti sono inseparabilmente legati dalle stesse forze

che tengono insieme musica e testo nella maggior par-

te delle culture africane (.. e non..): intonazione seman-

tica e grammaticale, struttura fonetica che conduce al

fraseggio ‘off-beat’ degli accenti melodici, e il concetto

largamente diffuso nelle culture africane – che il signi-

ficato di una canzone derivi dal suo testo piuttosto che

dalla ‘melodia’, dal ‘ritmo’ o dalla ‘sequenza’ degli ….

‘accordi’……..

Private delle parole, le strutture sonore perdono molto

del loro significato originario (come voler leggere un li-

bro senza neppure sfogliarlo…).  Per questo motivo le

melodie pure spesso assumono significato solo attraver-

so il processo di ‘verbalizzazione’, cioè la proiezione di

parole o semplici sillabe, da parte dei musicisti e degli

ascoltatori sulle sequenze e sui pattern timbrici, sulla

base di analogie con il ritmo e l’intonazione del parlato.

(Prosegue….)

 

 

 

 

la casa

 

STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA: il brigante Musolino visto da Cesare Lombroso (12)

Precedente capitolo:

storia universale dell’infamia (11)

Prosegue in:

storia universale dell’infamia (13)

Da:

Frammenti in rima

 

 

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Quel che è triste, è che questa specie di delirio sorto sul suo fondo

morboso, epilettoide, si sia alimentato e moltiplicato, come spesso

accade e come avviene dei microfiti che prolificano sui tronchi

malati degli alberi, secondo una nota legge psicologica, per il con-

senso e la simpatia di un popolo, in cui la permanenza di sentimen-

ti barbari e il peso dell’ingiustizia sociale educa criteri e sentimenti

quasi selvaggi.

Se Musolino avesse visto intorno a sé il silenzio, la ripugnanza e l’o-

stilità, avrebbe delinquito, ma non avrebbe mai osato elevare la sua

persona all’altezza dell’eroismo.

Ma si domanderà: perché e come nacquero queste vive simpatie?

 

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A parte il fatto che dappertutto il popolino ha una venerazione per

questi, da lui creduti eroi, che sanno opporre una resistenza energica

all’autorità armata e prendono indirettamente sui ricchi le vendette

dei poveri, e non offendono questi, da cui nulla possono cavare, a

parte ciò, per cui ogni brigante ha sempre avuto nelle plebi un parti-

to favorevole, la ragione qui è che nei bassi strati popolari, specie nel-

le vallate più remote calabresi, la vendetta è considerata come un di-

ritto e anzi un dovere.

 

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Le vendette di Musolino parevano a molti giustificabili, inquantoché

egli voleva vendicarsi di coloro che avevano contribuito a fargli avere

una pena creduta sproporzionata, vent’anni di galera per un tentato

omicidio.

Si aggiunga, a rinfocolare quella specie di compiacenza, direi quasi

patriottica o di classe, con cui i suoi convalligiani vedevano un uomo

resistere ad un’intera nazione, che egli non commetteva mai rapine,

né stupri, né furti, che sono ancora considerati delitti anche dai po-

poli poco civili; al contrario, anzi, pare che impedisse i piccoli reati

di campagna, incutendo un salutare terrore nei malfattori, che erano

diminuiti nel suo territorio del 50%; il che spiega come i grossi pro-

prietari, non solo lo mantenessero segretamente, ma avessero già e-

spresso il desiderio di fare una supplica al Parlamento in suo favo-

re, e che in suo favore si fosse mosso il sindaco del suo paese, men-

tre d’altra parte le associazioni criminose, pullulanti nei bassi fondi

di Palmi e Reggio, s’ispiravano a lui come un eroe e portavano il suo

nome e lo acclamavano presidente onorario (esempio lampante di

come la mafia si instaura, protetta, nelle istituzioni civili della na-

zione, con il consenso della politica).

 

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Da ciò una specie di leggenda intorno a lui che faceva innondare

tutta l’Italia di romanzi, fiabe e canti in suo onore, e che eragli di

schermo e protezione contro l’intiera polizia italiana, più che non

avrebbe potuto una grande schiera d’armati.

E a questo ha contribuito non poco il Governo, esagerando negli

inutili, costosi, rumorosi conati prima di prenderlo, poi per assi-

curarne la custodia, adoperando freni speciali, doppi muri, ecc.,

invii speciali di direttori di carceri, procuratori, ecc., quasi si trat-

tasse di un formidabile avversario, di un De Wett, di un Garibaldi,

e non ricordando un detto di Napoleone, il quale, da quel grande

brigante che era, di briganti era pratico, cioè……

 

 

negli stessi anni (12)

 

nulla favorirne più l’incremento quanto il rumore che il Governo

fa intorno a loro. E ciò tanto più che, per prendere un uomo solo, i

molti sono più d’impaccio che di vantaggio, allo stesso modo che una

mosca si colpisce più facilmente con un piccolo cencio che con una

cannonata.

Estinte o divenute borghesi le famiglie nobili, quelle che ne avevano

occupate le rocche feudali discesero da queste alle città, circondate da

un esercito di guardiani in pieno assetto di guerra; superbe della pro-

pria forza, sdegnarono confondersi con le classi borghesi, per indiriz-

zarle sulla via del progresso.

Quindi la ricchezza si ridusse nelle mani di pochi i quali, mentre iste-

rilirono la produzione, estendevano inutilmente i loro possessi usur-

pando alle popolazioni demaniali.

 

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I proprietari, godendo enorme estensione di terre, sdegnavano col-

tivarle intensivamente. Di qui la povertà estrema degli agricoltori,

ridotti a meri strumenti di lavoro, mai elevati a mezzadri.

Nel solo tribunale di Catanzaro si ebbero 701 esecuzioni immobi-

liari per debiti, di cui 80 non superiori a lire 5.

Il grande proprietario o il suo agente, circondato dai suoi compari,

esercita in molte vallate remote una tirannia pari a quella dell’anti-

co barone. Circondato da un esercito di guardiani in pieno assetto di

guerra, sdegna discendere fra le classi povere, e così indirizzarle sul-

la via di progresso.

Gli agricoltori, ridotti a mero strumento di lavoro, sono di uno stra-

ordinario abbrutimento.

“Nella prepotenza dei ricchi sui poveri, inutilmente protetti dalle

leggi”, continua il procuratore del Re E. Ruiz, in un mirabile discor-

so inaugurale, che in altre sedi e tempi avrebbe procurato all’orato-

re qualche anno di carcere per eccitamento all’odio di classe, tanto

da noi si sa provvedere ai mali punendo chi li denuncia, “si intende

la forza e il perché il brigantaggio ammirato dal popolo, poiché le

sue violenze vendicavano altre violenze, altre ingiustizie, che l’au-

torità non sapeva reprimere”.

“A questo stato di cose, scriveva Oliva (Discorso inaugurale giuridi-

co dell’anno 1896), creato dalla violazione delle più comuni leggi

economiche, si aggiungono le prepotenze e violenze usate dai ricchi,

che tutto potevano, sui poveri impotenti a sostenere i loro diritti, pur

riconosciuti dalle leggi, e s’intenderà il perché del brigantaggio rima-

sto leggendario, per le sue gesta feroci e generose ad un tempo, che si

ricordano dal popolo con accento di paura e di ammirazione, ricono-

scendo che tante stragi e saccheggi rispondevano ad altre ingiustizie,

che l’autorità sociale non valeva a reprimere”.

(C. Lombroso, Delitto, genio, follia)

 

 

 

 

 

 

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STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (9): un business che spara

Precedenti capitoli del business:

un business che spara (1)

un business che spara (2)

un business che spara (3)

un business che spara (4)

Precedenti capitoli dell’infamia…:

storia universale dell’infamia: la ‘maffia’ (8)

Prosegue in:

storia universale dell’infamia: un business che spara (6/10)

 

 

 

un business che spara 3

 

 

 

 

 

 

 

…..Negli Stati Uniti la mafia perde la sua caratterizzazione

regionale e si incrocia con altre forme di criminalità; si col-

lega a una problematica che è quella, nuova, dell’universo

multietnico, molto più che quella, residuale, della società

di partenza.

Gli anglosassoni scandalizzati per le resistenze all’omolo-

gazione culturale del ‘melting-pot’ sono i medesimi che raf-

forzano i collanti interni delle Little Italy, utilizzando come

mediatori i prominenti italo-americani che con il cosiddetto

padrone-system indirizzano gli immigrati verso il mercato

del lavoro, dell’abitazione, del credito; i quali della gestione

dei connazionali fanno una fruttuosa impresa.

Il crimine organizzato rappresenterebbe in questo caso una

variante del ‘bossism’ politico, affaristico o parasindacale.

 

un business che spara 3

 

Sin dagli anni venti, con approccio onestamente funziona-

lista, molti studiosi americani, spesso di origine italiana,

hanno lavorato su questi temi rilevando il legame tra il cri-

mine e le ‘macchine’ politico-clientelari delle grandi città,

uno dei pochi veicoli di integrazione e promozione sociale

disponibili per gli emigrati; funzione questa riconosciuta

già all’inizio del secolo con simpatica spudoratezza da uno

dei massimi dirigenti di Tammay Hall, l’organizzazione

elettorale democratica newyorkese.

Di tali ‘macchine’, a seconda delle fasi del ciclo migratorio,

sono protagonisti tedeschi, irlandesi, ebrei, italiani, gli stes-

si che si alternano alla testa del ‘crimine organizzato’, il

quale si configura come un tramite tra le istituzioni (poli-

zie locali, municipalità) e il sottomondo del gioco d’azzar-

do, della prostituzione, del contrabbando.

 

un business che spara 3

 

Come ha sottolineato Albini, la xnefobia anglosassone pre-

suppone che l”innocente, indifeso pubblico americano sia

vittima di malfattori stranieri che segretamente lo deruba-

no della sua verginità morale’.

Nella realtà richiedendo questi beni e servizi più o meno

illegali, la società americana esprime per suo conto germi

patogeni tali da valorizzare ogni tradizione criminale ‘im-

migrata’; ad esempio quella siciliana che qui come in pa-

tria ritrova il sistema triangolare comprendente classe po-

tica, polizia, delinquenza.

 

un business che spara 3

 

Solo dal 1901 al 1914 arrivano negli Stati Uniti più di ….

800.000 siciliani.

Mentre la Sicilia arriva in America attraverso i suoi uomi-

ni, in ogni piccolo paese della Sicilia l’America si presenta

col volto dell”agente di emigrazione’, il broker per eccellen-

za che paga i biglietti dei piroscafi e procura lavoro al di

là del mare.

Inizialmente andare in America vuol dire sparire, tanto che,

secondo l’autorevole testimonianza del brigante Bufalino

(1901), l’espressione ‘mandar(e) all’America, far(e) le carte

per l’America’ sta ironicamente per ‘ammazzare qualcuno’.

Però col tempo le due sponde sembrano avvicinarsi essendo

tra esse singolarmente diffusa l’emigrazione temporanea.

Partono, tornano e poi ripartono i poveri, gli avventurosi, i

perseguitati per ragioni politiche o per meno nobili motivi.

 

un business che spara 3

 

E’ ovvio che si ritrovino nel Nuovo Mondo pregiudicati, am-

moniti, latitanti provenienti dalla Sicilia, così come troviamo

in Sicilia mafiosi appena rimpatriati che provano a (re)inse-

rirsi negli equilibri locali ‘portando somme rilevanti di dena-

ro di sospetta provenienza’ e lasciandoci magari la pelle.

Le famiglie di mafia, come quelle naturali, si dividono e si

ricongiungono nell’intreccio di relazioni che attraversa nei

due sensi l’oceano.

(S. Lupo, Storia della mafia)

 

 

 

 

 

 

 

un business che spara 3

 

STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA (3)

Precedenti capitoli:

storia universale dell’infamia

storie d’oltre confine

Prosegue in:

storia universale dell’infamia (4)

Da:

i miei libri

 

 

 

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Stagliati sullo sfondo di pareti celesti o di un cielo alto,

due guappi inguainati in solenni abiti neri ballano su

scarpe da donna un ballo serissimo, che è quello dei col-

telli uguali, finché un garofano non salta via da un orec-

chio: il coltello è penetrato in un uomo, che con la sua

morte orizzontale chiude il ballo senza musica.

Rassegnato, l’altro si sistema il cappello a larghe tese e

consacra la sua vecchiaia al racconto di quel duello tan-

to rigoroso.

Questa è la storia dettagliata e completa della nostra

malavita. Quella delle rissose canaglie di New York è

più vertiginosa e rude.

La storia delle bande di New York ha la confusione e

la crudeltà delle cosmogonie barbariche, e molto della

loro smisurata stupidità: scantinati di antiche birrerie

trasformate in casermoni per negri, una rachitica New

York a tre piani, bande di malviventi come gli Angeli

del Pantano che scorrazzavano tra i labirinti di fogne,

bande di malviventi come i ‘Daybreak Boys’ che reclu-

tavano precoci assassini di dieci e undici anni, giganti

solitari e sfrontati come i Ribaldi in Cilindro che provo-

cavano le inverosimili risa del prossimo con un rigido

cappello a cilindro imbottito di lana e le ampie falde

della camicia gonfiate dal vento della periferia, ma che

avevano un randello nella destra e una pistola profon-

da; bande di malviventi come i Conigli Morti che si lan-

ciavano al combattimento sotto l’insegna di un coniglio

morto appeso a un’asta; uomini come Johnny Dolan il

Dandy, famoso per il ricciolo impomatato sulla fronte,

i bastoni da passeggio con la testa di scimmia e il raffi-

nato arnese di rame che era solito infilarsi sul pollice per

cavare gli occhi all’avversario; uomini come Kit Burns,

capace di decapitare con un solo morso un topo vivo;

uomini come Blind Danny Lyons, biondo ragazzo dagli

immensi occhi morti, ruffiano di tre puttane che con or-

goglio facevano la vita per lui; file di case con la lanter-

na rossa, come quelle dirette da sette sorelle del New

England, che destinavano i guadagni della vigilia di Na-

tale alle opere di carità; piste da combattimento per topi

famelici….

(Prosegue…)

 

 

 

 

 

 

 

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STORIA UNIVERSALE DELL’INFAMIA

Prosegue in:

(storia universale) dell’infamia &

storie d’oltre confine

Da:

i miei libri

 

 

storia universale dell'infamia

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1517 padre Bartolomé de Las Casas provò grande compas-

sione per gli indiani che si sfinivano nei laboriosi inferni delle

miniere d’oro delle Antille, e propose all’imperatore Carlo V

l’importazione di negri che si sfinissero nei laboriosi inferni

delle miniere d’oro delle Antille.

A questa curiosa variazione di un filantropo dobbiamo infi-

niti eventi: i blues di Handy, il successo ottenuto a Parigi dal

pittore e dottore uruguayano Pedro Figari, la buona prosa sel-

vatica del pure uruguayano Vicente Rossi, la statura mitologi-

ca di Lincoln, i 500.000 morti della Guerra di Secessione, i 3.300

milioni spesi in pensioni militari….

 

storia universale dell'infamia

 

(……) Inoltre: la colpevole e magnifica esistenza dell’atroce re-

dentore Lazarus Morell.

Le recensioni di Morell che compaiono sulle riviste specializ-

zate americane non sono autentiche.

Questa carenza di genuine effigi di un uomo tanto memorabi-

le, potente e famoso, non possono essere casuali.

E’ lecito supporre che Morell si sia negato alla lastra fotografi-

ca; essenzialmente per non lasciare inutili tracce, ma anche per

alimentare il suo mistero….

Sappiamo tuttavia che in gioventù non fu attraente e che gli oc-

chi troppo vicini e le labbra sottili, e piuttosto grassoccio, non

predisponevano in suo favore.

 

storia universale dell'infamia

 

In seguito, con l’aiuto di Dio, gli conferirono la peculiare maestà

delle ricche canaglie incanutite, dei criminali fortunati e impuni-

ti.

Malgrado, a suo dire, l’infanzia miserabile e la vita ignominiosa,

era un vecchio gentiluomo del Sud.

Non ignorava le Scritture e predicava con singolare convinzio-

ne. ‘Lazarus Morell io l’ho visto sul pulpito’, annota il proprie-

tario di una casa da gioco di Baton Rouge, Louisiana ‘e ho ascol-

tato le parole edificanti e ho visto i suoi occhi riempirsi di lacri-

me, ho udito i suoi consigli, i suoi precetti anche per i suoi amati

cari. Sapevo che era un adultero, un ladro di negri e un assassi- 

no al cospetto del Signore, ma anche i miei occhi hanno pianto’.

Un’altra preziosa testimonianza di quelle sante parole sgorga-

te dalle labbra dello stesso Morell.

‘Aprii a caso la Bibbia, mi imbattei in un versetto di san Paolo

che veniva a proposito e predicai per un’ora e venti minuti.

Anche Crenshaw e i compagni non persero tempo, perché

rubarono tutti i cavalli dell’uditorio. Li vendemmo nello Stato

dell’Arkansas, tranne un baio molto vivace che riservai al mio

uso personale. 

Piaceva pure a Crenshaw, ma io gli dimostrai che non gli servi-

va’.

(J. L. Borges, Storia Universale dell’Infamia)

 

 

 

 

 

 

storia universale dell'infamia

      

GENTE SCONOSCIUTA

Prosegue in:

(gente) sconosciuta  &

dialoghi con Pietro Autier 2:

14 aprile una esecuzione &

gli occhi di Atget:

14 aprile una esecuzione (seconda parte)

 

 

 

a sangue freddo

 

 

 

 

 

 

 

– C’è stato un incidente.

Poi entrammo in casa, tutti e tre.                                           

Attraversammo la cucina e vidi una borsettina da donna sul

pavimento, e il telefono con i figli tagliati.

Lo sceriffo aveva una pistola al fianco e quando cominciaro-

no a salire le scale per andare nella stanza di Nancy, notai

che ci teneva sopra la mano, pronto ad estrarla.

– Be’, era una cosa orrenda. Quella meravigliosa ragazza…

Ma sarebbe stato impossibile riconoscerla.

Le avevano sparato alla nuca tenendo l’arma a pochi cen-

timetri.

Giaceva sul fianco, voltata verso il muro, e la parete era

sporca di sangue. Le coperte erano ben rimboccate. Lo sce-

riffo Robinson le tirò indietro e vedemmo che indossava un

accappatoio da bagno, il pigiama, calzini e pantofole, come

se, al momento del fatto, non fosse andata a letto.

Aveva le mani legate dietro la schiena e le caviglie erano

assicurate con una corda come quelle che si usano per le

veneziane.

 

a sangue freddo

 

Lo sceriffo chiese: ” E’ questa Nancy Clutter?” lui non aveva

mai visto la ragazza prima.

E io risposi:” Sì, sì, è Nancy”.

– Uscimmo di nuovo nel corridoio e ci guardammo attorno.                              

 

a sangue freddo

 

Tutte le altre porte erano chiuse.

Ne aprimmo una, era quella del bagno. C’era qualcosa di

strano. Capii che era quella sedia, una sedia da sala da

pranzo, che appariva fuori luogo in un bagno. La porta ac-

canto….fummo tutti daccordo nel dire che doveva essere la

stanza di Kenyon.

 

a sangue freddo

 

Un mucchio di cianfrusaglie da ragazzo sparse in giro.

E riconobbi gli occhiali di Kenyon, su uno scaffale vicino al

letto. Ma il letto era vuoto, anche se sembrava che qualcuno

ci avesse dormito. Così andammo fino in fondo al corridoio,

all’ultima porta, e là, sul suo letto trovammo la signora Clut-

ter. Anche lei era stata legata. Ma in modo diverso, con le

mani davanti così che pareva che stesse pregando, e in una

mano teneva, stringeva un fazzoletto.

 

a sangue freddo

 

O forse era un Kleenex. La corda che le serrava i polsi conti-

nuava fino alle caviglie, legate insieme, quindi scendeva fi-

no in fondo al letto dove era assicurata all’asse, un lavoro

molto complicato, fatto ad arte.

Pensate al tempo che avrà richiesto!

E la donna stesa là, pazza di terrore. Be’, aveva indosso dei

preziosi, due anelli, e questa è una delle ragioni per cui ho

sempre scartato il movente della rapina… e una vestaglia,

una camicia da notte e dei calzini bianchi.

Le avevano chiuso la bocca con del nastro adesivo, ma le

avevano sparato a bruciapelo, a lato del capo, e l’esplosio-

ne, l’urto violento, avevano staccato il nastro.

Aveva gli occhi aperti.

Sbarrati.

Come se stesse  guardando ancora l’assassino.

Perché non poteva aver evitato di guardarlo mentre pren-

deva la mira.  

Nessuno disse nulla.

 

a sangue freddo

 

Eravamo troppo sbigottiti.

Ricordo che lo sceriffo si guardò attorno per vedere se po-

teva trovare la cartuccia esplosa.

Ma chiunque fosse stato, era troppo scaltro e controllato

per lasciare dietro di sé un simile indizio.

– Naturalmente ci chiedevamo dove fosse il signor Clut-

ter.

E Kenyon? Lo sceriffo disse: ” Proviamo dabbasso”.

Per primacosa andammo a cercare nella camera da letto

principale, quella dove dormiva il signor Clutter.

Le coperte erano buttate indietro, e abbandonato là, vicino

ai piedi del letto, c’era un portafogli da cui uscivano parec-

chie carte, alla rinfusa, come se qualcuno avesse rovistato

alla ricerca di un foglio particolare, una cambiale, una di-

chiarazione di debito.

Il fatto che non ci fosse denaro non significava nulla.

Era il portafogli del signor Clutter e lui non portava mai de-

naro con sé. Lo sapevo perfino io che ero a Holcomb da poco

più di due mesi. Un’altra cosa che sapevo era che né il signor

Clutter né Kenyon ci vedevano un accidenti, senza occhiali.

 

a sangue freddo

 

E là posati su un cassettone, c’erano gli occhiali del signor

Clutter. Così immaginai che, dovunque si trovassero, non

c’erano di loro volontà. Guardammo dappertutto e ogni

cosa era esattamente come doveva essere, nessun segno di

lotta, nulla fuori posto. Tranne nell’ufficio, dove il ricevito-

re del telefono era staccato e i cavi tagliati, come per l’ap-

parecchio in cucina.

Lo sceriffo Robinson trovò acuni fucili in un armadio e

li annusò per vedere se erano stati usati recentemente.

Disse di no e, non ho mai visto un individuo più sconcer-

tato, aggiunse: ” Dove diavolo può essere Herb?”

A quel punto sentimmo dei passi. Qualcuno che risaliva

le scale del seminterrato.  “Chi è?” chiese lo sceriffo, come

se fosse pronto a far fuoco. E una voce rispose: “Sono io,

Wendle”.

 

a sangue freddo

 

Si trattava di Wendle Meiser, il vicesceriffo. A quanto pa-

reva era venuto alla casa e non ci aveva visto, così era an-

dato a controllare nel seminterrato. Lo sceriffo gli disse, e

faceva quasi pena: ” Wendle, non so cosa pensare. Ci sono

due cadaveri di sopra”.

” Be'”, disse lui, Wendle, “di sotto ce n’è un altro”.

Così lo seguimmo dabbasso, nel seminterrato. O lo si pote-

va chiamare sala dei giuochi. Non era buio, c’erano delle fi-

nestre che lasciavano entrare molta luce. Kenyon era in un

angolo, steso su un divano. Gli avevano chiuso la bocca con

del nastro adesivo ed era legato mani e piedi, come la ma-

dre: con lo stesso sistema complicato della fune che riuni-

va mani e piedi era assicurata attorno a un braccio del di-

vano. In un certo senso è lui che ricordo con maggiore or-

rore, Kenyon. Forse perché era il più riconoscibile, quello

che assomigliava di più a se stesso…..anche se gli avevano

sparato in faccia, dritto in faccia.

 

a sangue freddo

 

Indossava una maglietta e blue jeans, come se si fosse ve-

stito in tutta fretta, infilandosi le prime cose che gli erano

capitate per le mani. Aveva il capo appoggiato ad un paio

di cuscini, come se glieli avessero ficcati sotto la testa per

avere un bersaglio più facile.

– Poi lo sceriffo chiese: ” Dove si va da quella?” indicando

un’altra porta del seminterrato.

Lo sceriffo entrò per primo ma all’interno non ci si vede-

va a un palmo, poi il signor Ewalt trovò l’interruttore del-

la luce.

Era la stanza delle caldaie, faceva molto caldo.

Da queste parti la gente si limita a installare in casa una

caldaia e quindi pompa il combustibile direttamente sul

terreno. Non gli costa niente, ecco perché le case sono sur-

riscaldate. 

Be’, diedi un’occhiata al signor Clutter, ed era difficile guar-

darlo una seconda volta. Capii che dei semplici colpi d’ar-

ma da fuoco non potevano giustifiare tutto quel sangue.

E non mi sbagliavo.

Gli avevano sparato, certo, come a Kenyon, puntandogli l’-

arma dritto contro il viso. Ma probabilmente lui era già

morto. O almeno stava morendo. Perché aveva per di più la

gola tagliata.

Indossava un pigiama a righe, nient’altro. Gli avevano sigil-

lato la bocca con il solito sistema, passandogli il nastro ade-

sivo fin dietro il capo.

 

a sangue freddo

 

Aveva le caviglie legate, ma non le mani, o meglio era

riuscito, Dio sa come, forse per la rabbia o il dolore, a spez-

zare la corda che gli imprigionava i polsi.

Giaceva abbandonato davanti alla caldaia. Su una grossa

scatola di cartone che pareva essere stata messa là appo-

sta. A fargli da materasso.

Lo sceriffo disse: ” Guarda qui, Wendle.” stava indicando

un’impronta sanguigna. Sulla scatola. L’impronta di una

mezza suola con due cerchi: due buchi al centro degli oc-

chi. Poi uno di noi….il signor Ewalt?, non ricordo, indicò

qualcos’altro. Una cosa che non riesco a dimenticare.

Sopra di noi c’era un tubo per il vapore, e da questo pas-

sava, annodato, un pezzo di corda, del tipo usato dall’as-

sasino.

Ovviamente a un certo punto il signor Clutter era stato

legato lassù, appeso per le mani poi la corda era stata

recisa.

Ma perché? Per torturarlo?

Credo che non lo sapremo mai. Non sapremo mai chi è

stato, o perché, o cosa è accaduto quella notte in quella

casa.

L’orrore.

Erano morti.

Un’intera famiglia.

Persone buone, gentili, gente che conoscevo….assassinate.

Pure bisognava crederlo, perché era proprio vero.

(Truman Capote, A sangue freddo)

 

 

 

 

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NEGLI STESSI ANNI: pedalando verso la ferrovia…(81)

Precedente capitolo:

Negli stessi anni: sistemi di allarme (80)

 Altri eretici a piedi o in bicicletta (in):

Penniwit l’artista e Bloyd l’eretico (82)

Prosegue in:

Billy the Kid (il ragazzo nato nella metropoli) (83)

Billy the Kid (il ragazzo nato nella metropoli) (84)

Da:

i miei libri

 

 

la bicicletta (l'amante segreta)

 

 

 

Signor Direttore,

l’anno scorso, come oggi, ero a Praga nel mezzo della Boemia,

di ritorno da Berlino; quest’anno sono a Pittsburg, nel cuore

della Pensilvania, reduce da Chicago. Vorrei dirvi dove sarà

press’a poco il terzo punto che l’anno venturo come oggi de-

terminerà il grande triangolo del globo; ma per ora mi limito

al racconto del passato.

Passando davanti all’Esposizione, entrai a dare un’ultima

occhiata al grandioso spettacolo di quelle gallerie. Parecchi

amici e colleghi avrebbero voluto accompagnarmi per un

tratto di strada fuori di Chicago; ma siccome io non potevo

fissare un’ora precisa per la partenza, ed essi d’altra parte

avevano le loro occupazioni, li pregai a desistere dalla gen-

tile idea.

Così alle 3 pom. del 27 settembre, fra gli augurii della buo-

na famiglia Stabilini e d’altri, montai tranquillamente in

sella del mio Rambler, con la lieta prospettiva di 8500 Km.,

e la speranza che il tempo voglia lasciarmeli compire senza

grandi noie.

Vo…pedalando e ammirando questo passato…

Pittsburg (Pensilvania), 6 ottobre 1895

 

1925-Union-Pacific-Railroad-Map-Part-1.mediumthumb.jpg

 

La ferrovia del Pacifico.

Giunto fuori di Chicago, mi fermai a passar la notte ad

un albergo a Whiting e la mattina, al levar del sole, ri-

presi la via, parte a piedi, parte in bicicletto, fra i doppi

binari della ferrovia per evitare circa trenta

 

pacific1bis.jpg

 

miglia di sabbia nella traversata dell’Indiana (là per il vero,

signor Direttore, incontrai un valido uomo, non so se predi-

catore, o cosa, mi parve umano e comprensivo e tollerante

verso tutti…).

Fra questi binari si potrebbe fare un’abbondante raccolta di

carbone, anelli, chiodi, viti, perduti dai treni.

 

pacific5.jpg

 

Là si incontrano pure uccelli morti, tartarughe vive e mor-

te venute su dagli stagni laterali; vetri e bottiglie buttate giù

dai treni…, tantoché per il timore di ferire il mio bicicletto,

non potevo godere tranquillamente la superba veduta del

lago Michigan, che si ha alla sinistra per 20 miglia circa.

E’ quella la grande linea ferrata che va dritta a San Franci-

sco (otto giorni e otto notti di direttissimo da New York)

 

pacific2.jpg

 

ed offre uno spettacolo che non lo può immaginare chi non

lo vede. I treni lampo passan lievi come ombre. Bisogna però

essere molto cauti quando passa un treno merci per non esser

sorpresi alle spalle e investiti da un diretto, come dal fulmine;

giacché il rumore dell’uno impedisce di udire quello dell’altro.

Io mi son trovato frammezzo a due treni con un solo palmo di

spazio per parte, e vi assicuro che provai una sensazione affat-

to nuova…

 

pacific34.jpg

 

Stavo lì ritto e sottile appoggiato al mio Rambler, trattenendo

perfino il respiro. Un treno diretto era uscito dalla vicina fore-

sta senza che me ne fossi accorto…ed io frenai miracolosamen-

te in tempo il mio bicicletto a un palmo di distanza, mentre il

bello e orribile mostro passava via fischiando, levandomi dal

capo il berretto col vento…. ‘All right!‘ dissi fra me, rimontan-

do in sella, anche questa è passata.

Bisogna però notare, per bene intendere il caso, che gli Ameri-

 

348600641_4b5b584a80.jpg

 

cani usano le sbarre soltanto nelle traversate delle città.

Per le campagne e per i villaggi si limitano a porre una tavola

in cima a un palo con la scritta in lettere cubitali: ‘Railroad-

crossing, lock out for the cars’.

E così avviene che le catastrofi capitano spesso.

 

pacific67.jpg

 

Ma che importa!

In America basta far presto.

(L.Rossi, L’anarchico delle due ruote)

 

 

 

 

la bicicletta (l'amante segreta) (15)

LA FEBBRE DELL’ORO (77)

Precedenti capitoli:

la febbre dell’oro (76) &

la febbre dell’oro (75)

Prosegue:

la febbre dell’oro (78)

Da:

i miei libri

 

 

cercatori d'oro

 

 

 

 

Dal 1845 molte carovane hanno traversato questa regione,

e nell’anno 1846 alcuni gruppi di emigranti hanno affron-

tato ogni sorta di pericoli, sopportando patimenti inenar-

rabili; bloccati durante il cammino attraverso le monta-

gne da terribili tormente di neve e grandine, sono rimasti

imprigionati per mesi in quelle regioni, esposti a tutti gli

orrori della fame e dell’indigenza.

 

cercatori d'oro

 

I resoconti forniti dalle sventurate vittime costituiscono

un capitolo di sofferenza umana di cui si trovano ben po-

chi esempi sia nella realtà che nelle più ardite creazioni

fantastiche.

Quella che segue è la descrizione degli stenti patiti da un

gruppo di sfortunati emigranti che, smarritisi tra le mon-

tagne e rimasti intrappolati nella neve, furono costretti a

ricorrere a rimedi estremi, quanto mai orribili e ripugnan-

ti. 

 

cercatori d'oro

 

E’ tratta dal ‘California Star’ del 10 aprile 1847:

‘E’ difficile immaginare una scena più spaventosa di quella

che si presentò agli occhi della spedizione accorsa in aiuto

dei disgraziati emigranti nei monti della California.

Le ossa di coloro che avevano reso l’anima a Dio ed erano

stati divorati dagli infelici a cui era rimasto un fil di vita, e-

rano sparse attorno alle tende e alle capanne.

Ovunque corpi di uomini, donne e bambini, in buona parte

spolpati. Una donna seduta accanto alla salma del marito

che aveva appena esalato l’ultimo respiro era intenta a re-

cidergli la lingua; il cuore lo aveva già asportato, abbrusto-

lito e mangiato! Si vedeva la figlia addentare la carne del

padre, la madre quella del figlio, i figli cibarsi del padre e

della madre.

 

cercatori d'oro

 

L’aspetto emaciato, l’aria stralunata e spettrale dei su-

perstiti contribuivano ad accrescere l’orrore della scena.

Impossibile descrivere a parole la terribile metamorfosi

che poche settimane di atroci sofferenze avevano operato

nella mente di quelle povere creature degne di commise-

razione.

Coloro che solo un mese prima avrebbero rabbrividito

pieni di disgusto al pensiero di assaggiare carne umana,

o di uccidere i compagni e i parenti per restare in vita,

ora consideravano le occasioni che venivano loro offer-

te di scampare alla più orribile delle morti come una

provvidenziale intercessione in loro favore.

Mentre sedevano attorno ai tetri falò, facevano fredda-

mente i calcoli per i pasti a venire.

 

cercatori d'oro

 

Furono escogitati vari espedienti atti a prevenire il ne-

fando crimine dell’omicidio, ma alla fine si risolsero a

macchiarsi del sangue di quelli che avevano meno di-

ritto a continuare a vivere.

Fu proprio allora che per intervento divino alcuni chiu-

sero gli occhi per sempre, consentendo così ai superstiti

di tirare un sospiro di sollievo, almeno per il momento.

Taluni volarono in braccio alla morte maledendo Dio

per il loro triste destino, mentre altri spiravano mor-

morando preci e inni di lode all’Onnipotente.

Dopo i primi decessi l’unico pensiero che prevalse fu

lo spirito di conservazione.

Si era ormai esaurita la vena dei sentimenti più schietti. 

Le corde che un tempo vibravano di affetto coniugale,

filiale, paterno o materno si erano spezzate: sembravano

tutti ben decisi a sfuggire all’imminente calamità senza

alcun rispetto per la sorte dei compagni’.

(Guida del cercatore d’oro della California)

 

 

 

 

 

2127124277

QUANDO TORNAMMO ALLA FERROVIA (e altri racconti…) (72)

Precedente capitolo:

in attesa della Northern Pacific (70)

Prosegue in:

la febbre dell’oro (73) &

la febbre dell’oro (74)

Foto del blog:

minstrel (3)

minstrel (4)


 

orrore di altri mondi: wounded knee

 

 

 

 


 

Dopo pochi giorni                                                 ghost-dance.2jpg.jpg

passati sul lago Walker,

Orso Che Scalcia e i

suoi amici impararono

a danzare la Danza degli

Spettri e poi montarono

sui loro cavalli per tornare

alla ferrovia. Mentre

cavalcavano, il Messia

volò sopra di loro

nell’aria, insegnando

loro canzoni per la

nuova danza.

Giunti alla

ferrovia, egli                                           ghost dance1.jpg

li lasciò, dicendo

loro di tornare presso

le loro genti e di

insegnare ciò che avevano

imparato.

Dopo il prossimo

inverno egli avrebbe

portato gli spiriti dei

loro padri perché essi

li incontrassero nella

nuova resurrezione.

Ritornati nel Dakota, Orso Che Scalcia aveva cominciato a

diffondere la nuova danza a Cheyenne River, Toro Basso l’-

aveva introdotta sul Rosebud e altri avevano iniziato a far-

lo a Pine Ridge. La banda di Miniconjou di Piede Grosso,

disse Orso Che Scalcia, era costituita soprattutto da don-

ne che avevano perso i mariti o altri parenti maschi nei

combattimenti con Capelli Lunghi, con Tre Stelle e con

Cappotto d’Orso; esse danzavano fino a svenire perché

volevano riportare in vita i loro guerrieri morti.

Nell’accampamento della cavalleria                         wounded_knee.1bis.jpg

sul torrente Wounded

Knee, gli indiani furono

fermati e contati

accuratamente.

Vi erano 120 uomini

e 230 donne e bambini.

A causa della crescente

oscurità, il maggiore 

Whitside decise di

attendere il mattino

per disarmare i suoi

prigionieri.

Per essere sicuro

che nessuno

fuggisse,                                                 wounded knee2.jpg

il maggiore mise di

guardia due squadroni

di cavalleria intorno ai 

tepee dei Sioux e poi

piazzò i suoi due

Hotchkiss in cima a

un’altura che dominava

l’accampamento.

Questi cannoni

scanalati, che potevano

lanciare cariche

esplosive a più di

due miglia, furono                                               wounded knee.jpg

messi in posizione

tale da colpire le

tende degli indiani

da un capo all’altro

dell’accampamento.

I soldati di cavalleria

trovarono solo due

fucili, uno dei quali

era un Winchester nuovo

che apparteneva a un

giovane Miniconjou di

nome Coyote

Nero.                                                 wknee4a.gif

Coyote Nero sollevò il

Winchester sopra la

testa gridando che

aveva pagato molto

denaro per il fucile che

apparteneva a lui.

Alcuni anni dopo

Dewey Beard ricordò

che Coyote Nero era

sordo.

“Se lo avessero lasciato

solo egli sarebbe andato

a deporre il fucile nel

posto indicato.                                           Wounded Knee5.jpg

Essi invece lo afferrarono

e lo spinsero in direzione

est. Egli non si preoccupò

nemmeno allora.

Il suo fucile non era

piantato su nessuno.

La sua intenzione era

di mettere giù quel

fucile. Essi si fecero

avanti e afferrarono

il fucile che egli stava accingendo a deporre.

Lo avevano appena circondato quando si udì un colpo di fucile

abbastanza forte”.

“Non saprei dire se qualcuno fu colpito, ma dopo quel colpo ci fu

un gran fracasso”.

“Quel rumore assomigliava molto al suo suono della tela strappata”,

disse Penna Frusta.  Colui-Che-Teme-il-Nemico lo descrisse come lo

‘scoppio di un fulmine’.

Falco Rotante disse che Coyote Nero ‘era un uomo pazzo, un giovane

che aveva una cattiva influenza sugli altri e in realtà era una nullità’.

Disse che Coyote Nero sparò col suo fucile e ‘immediatamente i solda-

ti risposero al fuoco e ne seguì un massacro indiscriminato’.

All’inizio del tumulto, il fuoco delle carabine era assordante, e l’aria era

piena di fumo. Fra i moribondi che giacevano accasciati sulla terra gelata

vi era Piede Grosso. Poi il fragore delle armi cessò per un momento, men-

tre piccoli gruppi di indiani e di soldati combattevano corpo a corpo, u-

sando coltelli, mazze e pistole.  Poiché solo pochi indiani avevano armi,

dovettero presto fuggire e allora i grandi fucili Hotchkiss sulla collina a-

prirono il fuoco su di loro, sparando quasi un proiettile al secondo, fal-

ciando l’accampamento indiano, facendo a pezzi i tepee con gli shrapnel,

uccidendo uomini, donne e bambini.

“Cercammo di fuggire”, disse Louisse Orsa Astuta “ma essi ci sparavano

addosso come se fossimo bisonti. Io so che vi sono alcune persone bianche

buone, ma i soldati che spararono sui bambini e sulle donne furono infami.

I soldati indiani non avrebbero fatto una cosa simile ai bambini bianchi”.

“Corsi via da quel luogo e seguii quelli che stavano scappano”, disse Haki-

ktawin, un’altra giovane donna.

“Mio nonno, mia nonna e mio fratello furono uccisi quando attraversam-

mo la gola, e poi una pallottola mi trapassò il fianco destro e poi anche il

polso destro e lì mi fermai perché non ero in grado di camminare e dopo

il soldato mi raccolse e si avvicinò una ragazzina si nascose sotto la co-

perta”.

Quando finì l’esplosione di follia, Piede Grosso e più della metà della sua

gente erano morti o erano gravemente feriti; i morti accertati furono 153,

ma molti dei feriti si allontanarono strisciando e morirono in seguito.

Secondo una valutazione, dei 350 Miniconjou che si trovavano lì, i morti,

fra uomini donne e bambini, furono quasi 300.

Fra i soldati vi furono 25 morti e 39 feriti, per la maggior parte colpito

dalle loro stesse pallottole. Dopo che i soldati di cavalleria feriti furono

mandati all’agenzia di Pine Ridge, un distaccamento di soldati si recò sul

campo di battaglia di Wonded Knee, raccolse gli indiani che erano ancora

vivi e li caricò sui carri.  Poiché appariva chiaro che prima di sera si sareb-

be scatenata una tempesta di neve, gli indiani morti furono lasciati là dove

erano caduti.

I carri carichi di Sioux feriti raggiunsero Pine Ridge quando era già notte.

Poiché tutte le baracche disponibili erano occupate dai soldati, gli indiani

furono lasciati sui carri scoperti, esposti al freddo intenso, mentre un inetto

ufficiale dell’esercito cercava un riparo.

Infine fu aperta la chiesa episcopale, furono tolte le panche, e il pavimento

fu ricoperto con uno strato di paglia. Era il quarto giorno dopo NATALE

DELL’ANNO DEL SIGNORE 1890.

Quando i primi corpi straziati e sanguinanti furono portati nella chiesa

illuminata dalle candele, quelli che non avevano perso conoscenza pote-

rono vedere gli addobbi natalizi che pendevano dalle travi del soffitto.

Da un capo all’altro del presbiterio, sopra il pulpito, era appeso uno

striscione con la scritta:

 

                        –  PACE IN TERRA AGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA’ – 

 

(Dee Brown, Seppelite il mio cuore a Wounded Knee)

 

..Per l’epopea degli indiani….

 

indiani

indiani (2)

frammenti di un sogno

nuovi sciamani

il pioniere

la danza degli spettri

sul crinale dei pini

coda di lupo

i padroni di ieri

l’uomo bianco nella terra bianca

i piccoli uomini della tundra

il missionario

 

 

 

 

 

 

orrore di altri mondi: wounded knee

…. POI ARRIVERAI ALLE MINIERE… DELL’ORO (62)

Precedente capitolo:

due ubriaconi e Joe l’Indiano (61)

Prosegue in:

poi arriverai alle miniere… dell’oro (63) &

pionieri e nativi: ricorso in appello (64) &

pionieri e nativi: ricorso in appello (65)

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

poi arriverai alle miniere dell'oro

 

 

 

 

 

 

Nella vecchia scuola del villaggio….avevano stretti

e lunghi biglietti di cartone blu, ciascuno recante

stampato un versetto del Testamento, e si otteneva

un biglietto recitando (senza comprenderli) due ver-

setti.

 

poi arriverai alle miniere dell'oro

 

Recitandone cinque se ne ottenevano tre che si pote-

vano scambiare in biblioteca prendendo a prestito un

libro per una settimana. A intervalli per due o tre an-

ni, fui sotto la cura spirituale del signor Richmond, ed

egli non fu mai rude con me.

 

poi arriverai alle miniere dell'oro

 

Recitai sempre gli stessi cinque versetti ogni domeni-

ca.

Rimaneva soddisfatto.

Parve non accergersi mai che si trattava delle stesse

cinque vergini folli di cui sentiva parlare da mesi ogni

domenica.

 

poi arriverai alle miniere dell'oro

 

Ottenevo ogni volta i cartoncini e li scambiavo con un

libro (le figurine mi annoiavano…). Erano libri piutto-

sto squallidi, poiché non v’era un solo ragazzo cattivo

in tutta la biblioteca.

 

poi arriverai alle miniere dell'oro

 

Vent’anni fa’, seppi, che il signor Richmond venne in

possesso della grotta di Tom, …Tom Sawyer, nelle col-

line, a tre miglia dal villaggio e pensava di farne una

località turistica per i suoi e altrui svaghi….(ma le grot-

te …sono grotte…).

(….prosegue….)

 

 

 

 

poi arriverai alle miniere dell'oro