L’INFANZIA DI VM (5)

Precedente capitolo:

l’oscuro abisso del passato (4)

Prosegue in:

l’infanzia di VM (6) &

Knud Rasmussen

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Knud

Rasmussen

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i miei libri



 

l'infanzia di vm 6








Han van Meegeren, che di qui in avanti chiameremo

VM, nacque il 10 ottobre del 1889 a Deventer, la stes-

sa cittadina olandese in cui era invece defunto il gran-

de pittore Gerrit Ter Borch.

Suo padre, Henricus van Meergeren, maestro di scuola,

era un uomo ordinario, severo, e completamente privo

di immaginazione, cultura, senso artistico ed anche

e non per ultimo… di intelligenza…..

Si era sposato a quarant’anni.

 

l'infanzia di vm 6


Sua moglie, Augusta, gli aveva dato cinque figli.

VM, ovvero Han, era il terzo e crebbe in un’atmosfera

di inflessibile disciplina: non gli era nemmeno consenti-

to rivolgere la parola al padre, a meno che il terribile

Henricus non glielo ordinasse esplicitamente.

Con ogni probabilità VM derivò i suoi impulsi creativi

dalla madre, una donna delicata e sensibile, che aveva

quindici anni meno del marito e che aveva dimostrato

una certa inclinazione artistica finché il matrimonio

non aveva posto bruscamente fine alle sue nebulose

velleità.

 

l'infanzia di vm 6


VM era un bambino molto delicato, fisicamente fragile:

per la disperazione dell’arido ed incolto Henricus, comin-

ciò a disegnare con passione fin dall’età di otto anni.

Sempre più costernato nello scoprire le stimmate delle

aborrite tendenze artistiche materne in un altro membro

della sua famiglia, Henricus prese l’abitudine di strappa-

re regolarmente in mille pezzi i disegni precoci per quan-

to chiaramente intelligenti del giovane VM, preferendo a

questi, quelli della contessina di corte di cui gli archivi sto-

rici conservano.. triste ed immeritata memoria…..

 

l'infanzia di vm 6


Inoltre, su consiglio della stessa contessina, proibì senza

mezze misure a sua moglie di incoraggiare gli interessi

‘malsani’ del fanciullo.

Ma il risultato di tale divieto fu che VM finì per passare

tutto il suo tempo libero disegnando soggetti plasmati dal-

la sua inesauribile fantasia – e cercando di tenersi ben lon-

tano dalla sorveglianza occhiuta del padre, logicamente.

Per sua fortuna, l’odiata figura paterna (fortuna sua e di

molti altri…), venne presto sostituita da quella di Bartus

Korteling, insegnante di VM alle scuole superiori.

 

l'infanzia di vm 6


Pittore di scarsa reputazione ma artista serio, onesto e

preparato, riconobbe immediatamente il talento creativo

dell’allievo e gli consentì di acquisire un vasto patrimonio

di conoscenze tecniche (che la contessina Van-Fox non …).

…Bravura o non bravura, talento o non talento, Henricus

non sembrava affatto contento della piega insensata che

la vita di suo figlio stava prendendo.

Innanzitutto non capiva perché mai l’arte dovesse essere

insegnata a scuola, e pensava che il talento artistico non

fosse di alcuna utilità (bastava solo appartenere alla famo-

sa ….) nella vita – o, quantomeno, non servisse allo scopo

di svolgere una qualsivoglia professione accettabile.

 

l'infanzia di vm 6


E poi trovava che simili inclinazioni verso l’arte non era-

no altro che passatempi (da fin…), perversi e favorissero

gli istinti ribelli dei giovani, contribuendo a renderne il

carattere più instabile (al contario della giovane contes-

sina…).

La sua radicale opposizione alle inspiegabili tendenze ar-

tistiche del figlio, però, seguitò a produrre risultati addi-

rittura controproducenti.

Henricus si trovò a osservare con orrore crescente la de-

leteria evoluzione della personalità (peccaminosa) di VM

sotto la perniciosa influenza del subdolo Korteling e del-

l’immancabile … contessina….

(Prosegue….)






 

l'infanzia di vm 6


L’ OSCURO ABISSO DEL PASSATO (i maestri…) (3)

Precedente capitolo:

Van Meergen (il più grande falsario)

Prosegue in:

l’oscuro abisso del passato (4) &

l’uomo peloso

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l’uomo

peloso

Da:

 

l'oscuro abisso del passato


i miei libri



 

l'oscuro abisso del passato









I documenti relativi alla vita di Vermeer non sono

molto numerosi, e per di più appaiono di natura al-

quanto arida.

Ritrovati in buona parte in archivi notarili e pubbli-

cati da Abraham Bredius fra il 1885 e il 1926 e da

John Michael Montias nel 1989, permettono di rico-

struire dall’esterno la storia della sua famiglia, ma

dicono ben poco sull’attività artistica del pittore, a

proposito della quale i dati concreti sono scarsissi-

mi.

 

l'oscuro abisso del passato


Ad ogni modo, Vermeer venne battezzato nella

Chiesa Nuova di Deft il 31 ottobre del 1632.

Joannis era la versione latinizzata di Jan, il nome più

comune dato ai maschi delle famiglie calviniste di De-

ft, un nome che Vermeer non usò mai.

Dopodiché, oscurità completa intorno alla sua vita per

oltre vent’anni, ovvero fino all’aprile del 1653, quando

Vermeer si fidanzò con Catharina Bolnes.

 

l'oscuro abisso del passato


Si può plausibilmente congetturare che, siccome ven-

ne al mondo quando la madre aveva già 37 anni, e ben

dodici anni dopo la nascita della sorella Gertrury, il pic-

colo e solitario Vermeer si sia rifugiato molto presto nel-

l’universo fantastico del disegno.

Possiamo invece affermare con sicurezza matematica

che il nonno di Vermeer per parte di madre, Balthasar

Gerrits, era un ‘aristocratico falsario’!

 

l'oscuro abisso del passato


La nonna paterna, Neeltge Gorris, commerciava con

oggetti usati e vendeva biancheria da letto: si era spo-

sata tre volte, ed era stata denunciata per truffa aggra-

vata (pur dipendente dello……) ed, infine, aveva dichi-

arato bancarotta.

Lo zio non fu certo da meno.

Reynier Balthens, noto ed stimato ingegnere militare,

era stato in prigione con l’accusa di aver dilapidato

fondi municipali durante il restauro delle fortificazio-

ni di Brouwerhaven, un noto porto sulla sperduta co-

sta della Zelanda.

 

l'oscuro abisso del passato


Si dice che abbia cercato di farsi sovvenzionare dallo

stato una flotta mercantile in completo disuso, il tutto

alla scandalosa cifra di un vascello di fiorini… d’oro.

Il padre, Reynier Janszoon, era un tessitore di caffa che

aveva portato a termine il suo tirocinio ad Amsterdam.

Il suo lavoro richiedeva la realizzazione su stoffa di

complicati motivi tradizionali, e dunque buone quali-

tà di disegnatore.

 

l'oscuro abisso del passato


Il fratello, invece, il tagliapietre Anthonie, era partito

due volte per le Indie Olandesi in cerca di fortuna.

Non si trattava dunque di una famiglia benestante:

composta da artigiani, apparteneva al ceto inferiore

della classe media e per di più godeva di una cattiva

reputazione (anche se le apparenze davano ad inten-

dere alla incolta plebaglia…, il contrario…).

 

l'oscuro abisso del passato


Il ramo materno era di ascendenza fiamminga, emi-

grata da Anversa per motivi religiosi, mentre i com-

ponenti del ramo paterno erano calvinisti bigotti ed

osservanti….

Reynier Janszoon sposò Digna Balyhens, la figlia del

….. falsario, nel 1615. La primogenita, Gertrury, nac-

que nel 1620. Poiché l’attività di tessitore non gli ba-

stava a sostenere la famiglia, Reynier Janszoom aprì

una locanda sul Voldersgracht, De Vliegende Vos

(detta la volpe volante …leggi a proposito la nota

rima dell’eretico: ‘la favola della repubblica’ ).

 

l'oscuro abisso del passato


Nel maggio 1641 traslocò nella locanda Mechelen,

sul Grote Markt. Come albergatore continuò a farsi

chiamare proprio Vos, mentre come mercante d’ar-

te  – era entrato nella gilda di San Luca nel 1631 –

si servì di un altro cognome:

Vermeer.

(Prosegue…..)




 

l'oscuro abisso del passato


VAN MEEGEREN (il più grande falsario..)

 

Prosegue in:

il più grande falsario &

Alcatraz Island (1/6) &

la Gelosia (prima lettera ai prigionieri)



 

gesù cristo che insegna nel tempio

 

 

 

(Dedicato a tutti i falsari della democrazia…):


PD: in senato proposta per bloccare la democrazia……







Alla fine del 1945, quasi due mesi dopo l’arresto di VM, il

caso van Meegeren esplose e dilagò sulle colonne della

stampa.

Sin dall’inizio si levarono polemiche furibonde, e VM ven-

ne dipinto come un laido collaborazionista che aveva in-

trattenuto rapporti d’affari con Herman Goering.

 

gesù cristo che insegna nel tempio


L’infamante accusa di nazismo prese piede: qualcuno

scrisse che VM non avrebbe potuto mantenere l’altissi-

mo tenore di vita che aveva ostentato durante la guer-

ra se non fosse stato compromesso con il nemico.

Enorme pubblicità venne accordata al ritrovamento

(nella tana di Hitler) di un libro di disegni dello stesso 

VM, regolarmente in vendita nelle librerie, che recava

la sua firma e la dedica: ‘all’amato Fuhrer coi miei rico-

noscenti omaggi’.

Purtroppo per i giornali scandalistici, venne provato che

VM aveva opposto solo la sua firma sul volume: poi il li-

bro era stato acquistato da un fervente nazista che aveva

aggiunto la sua calorosa dedica al Fuhrer.

Dopodiché venne riesumato dall’oblio l’innocuo viaggio

a Berlino che nel 1936 VM e Jo avevano intrapreso allo

scopo tutt’altro che subdolo di assistere alle Olimpiadi.

 

gesù cristo che insegna nel tempio


Nessuno si degnò di prendere in considerazione un fatto

elementare:

se VM fosse stato davvero un nazista, non si sarebbe certo

sognato di appioppare un falso Vermeer al Maresciallo del

Reich.

Comunque, la clamorosa i imprevedibile confessione del

falsario pose fine a queste speculazioni astratte e deflagrò

come una bomba.

Il ‘Cristo a Emmaus’, il capolavoro assoluto di Veermer,

era opera del nazista VM?

Si trattava di una notizia-choc.

 

gesù cristo che insegna nel tempio


Per settimane i più importanti quotidiani nazionali non

parlarono d’altro. Molti commentatori arrivarono addi-

rittura a chiedersi se VM non fosse per caso l’autore di

‘tutti’ i Vermeer esistenti al mondo – se non fosse lui, in

un certo senso, il misterioso Jan Vermeer di Deft.

L’incredibile tesi conobbe in breve tempo una vasta dif-

fusione, regalando al falsario lunghe settimane di orgo-

gliosa felicità.

Non ci pare esagerato affermare che VM gongolava di

gioia, assistendo allo stupefacente spettacolo di un intero

paese che lo credeva veramente la reincarnazione di Ver-

meer e che si appassionava con morboso entusiasmo alla

sua vicenda.

 

gesù cristo che insegna nel tempio

 

Alla fine, a ogni modo, l’opinione pubblica olandese si

divise in due: chi riteneva VM un delinquente e un ciar-

latano, chi pensava che fosse un genio o un eroe.

Dal canto suo VM, una volta presa la decisione di con-

fessare al mondo le sue gesta, non aveva nessuna inten-

zione di fermarsi al primo punto dell’elenco.

Ammettere di essere l’autore del solo ‘Cristo e l’adultera’,

anche se la confessione avrebbe potuto essere sufficiente

a tirarlo fuori dai guai, non gli bastava più.

Certo avrebbe reso la sua versione dei fatti molto più cre-

dibile, accettabile e facile da confermare, e inoltre lo avreb-

be messo persino in buona luce, rendendolo protagonista

di un’azione patriottica fra le più nobili – rifilare un falso

a un odiato caporione nazista. 

Ma non era la verità -o, almeno, non era tutta la verità.

E VM, adesso, per la prima volta in vita sua, non era più

disposto a mentire, anche se questo avrebbe potuto faci-

litargli l’esistenza e dire la verità, invece, produrre con-

seguenze addirittura funeste.

VM, però, bramava la gloria.

Così disse che era stato lui a dipingere il Vermeer espo-

sto al Boymans Museum di Rotterdam, il Vermeer della

collezione van Beuningen e persino il Vermeer comprato

dallo stato olandese in seguito al parere di un prestigio-

so comitato scientifico.

(L. Guarnieri, La doppia vita di Vermeer)



 

 

 

 

gesù cristo che insegna nel tempio

     

DEVIL’S ISLAND (3)

Precedenti capitoli:

Henri Charrière

Alcatraz Island (3) &

la gelosia (prima lettera ai prigionieri)

Prosegue in:

Devil’s Island (4)

Da:

i miei libri

 

 

devil's island

 

 

 

 

 

E’ il ……, sono undici e più anni che sono in prigione.

Ho 35 anni.

Gli anni più belli della mia vita li ho passati in gale-

ra o in cella di rigore (per nessun reato commesso…).

Ho soltanto sette mesi di completa libertà con la mia

tribù india. I bambini che penso di aver avuto dalle

mie due donne indie adesso hanno otto anni.

C’è da spaventarsi!

Come il tempo scorre in fretta!

E tuttavia quelle ore, quei minuti, sono così lunghi

da sopportare, ognuno ha un proprio pesante posto

in questa via crucis.

Trentacinque anni (di carcere)!

 

devil's island

 

Dove sono Montmatre, la place Blanche, Pigalle, il

ballo del Petit Jardin, boulevard de Clichy?

Dov’è Nénette con il suo faccino da Madonna, un au-

tentico cammeo, che divorandomi di disperazione con

i suoi grandi occhi neri, alle Assise ha gridato:

– Non preoccuparti, sei il mio uomo, vengo a trovarti

anche laggiù?

Dov’è l’avvocato Hubert con il suo:

– Saremo assolti

Dove sono i dodici brodacci della giuria?

E gli sbirri?

E il pubblico ministero?

Che fanno mio padre e le famiglie fondate dalle mie

sorelle, sotto il giogo dei tedeschi?

 

devil's island

 

Quante evasioni!

…Quante avventure…. con l’unica certezza di fuggire….

Vediamo un po’, quante ne ho fatte?

La prima quando me ne sono andato dall’ospedale

(forse già in fasce…)… e abbiamo messo le guardie a

dormire (già il mio nome non piaceva alle monache…).

La seconda in Colombia, a Rio Hacha. E’ stata la più

bella.

Là, c’ero riuscito completamente.

Ma perché ho lasciato la mia tribù?

Un brivido d’amore mi scuote il corpo. Mi pare di

sentire ancora, dentro di me, le sensazioni dei gesti a-

morosi con le due sorelle indie (o forse a pensarci be-

ne… fu più il digiuno che l’onore che prevalse…).

 

devil's island

 

Poi la terza, la quarta, la quinta, la sesta a Baranquilla.

Che sfortuna, in queste fughe!

Quel colpo durante la messa, com’è andato male!

E poi la dinamite che non butta tutto per aria, e ….

Clousiot che rimane attaccato per le brache! E il ritar-

do del sonnifero.

 

devil's island

 

E quella diga!

E quella donna!

E quel castello….

 

devil's island

 

La settima all’Isola Reale, dove quel boia di Bébert Ce-

lier mi ha denunciato. Senza di lui, questa sarebbe an-

data bene.

E se avesse tenuto il becco chiuso, sarei libero, assieme

al mio povero e rimpianto amico Carbonieri….

(Prosegue….)

 

 

 

 

 

devil's island

 

HENRI CHARRIERE

Precedenti capitoli:

Alcatraz Island (1/4)

Prosegue in:

Henri Charrière (2)

Da:

i miei libri

 

 

henri charriere

 

 

 

 

 

 

 

…… Guardali sono allineati di fronte a te… (faccio finta

di non vedere…).

Li vedi bene, questi dodici brodi importati a Parigi da

un lontano villaggio di provincia.

Sono dei piccoli borghesi, dei pensionati, forse qualche

professore, poliziotti, magistrati, ruffiani, delatori, per-

secutori, piccoli uomini insomma…, dimenticavo, anche

dei commercianti, quelli ci sono sempre quando si trat-

ta di mettere sulla cr…

Non vale la pena di star lì a descriverteli…

 

henri charriere

 

Non avrai, in ogni modo, la pretesa che capiscano, que-

sti qui, i tuoi venticinque anni e la vita che conduci a

Montmatre, spero?

Per loro Pigalle e la place Blanche sono l’Inferno, e tutti

quelli che vivono di notte sono dei nemici della società.

Sono tutti estremamente fieri di fare il giurato delle As-

sise della Senna.

E inoltre soffrono, te lo garantisco io, della loro posizio-

ne di miseri e meschini piccoli borghesi.

 

henri charriere

 

E capiti tu, giovane bello e anche intelligente.

Ti puoi immaginare che non avrò difficoltà a dipingerti

come un dongiovanni delle notti di Montmatre. Così già

in partenza, di questi giurati farò subito i tuoi nemici.

Sei troppo ben vestito, avresti dovuto venire conciato in

maniera più umile.

Non vedi che ti invidiano il vestito?

Loro, li comprano già fatti, e non sono mai stati vestiti

da un vero sarto, ma nemmeno per sogno…..

 

henri charriere

 

Sono le dieci ed eccoci pronti ad aprire il dibattimento.

Di fronte a me, sei magistrati, uno dei quali è un procu-

ratore aggressivo che impiegherà tutto il suo potere ma-

chiavellico, tutta la sua astuzia, per convincere questi

dodici poveri diavoli che, prima di tutto, sono colpevo-

le, e che soltanto il bagno penale (della Caienna) o la

ghigliottina possono essere il verdetto giusto.

 

henri charriere

 

Mi stanno giudicando per l’assassinio di uno sfruttato-

re di donne, uno spione, un pappone, un delatore della

malavita e della polizia… e di Montmatre…

Non c’è nessuna prova, ma le guardie – che crescono di

grado tutte le volte che scoprono l’autore di un delitto –

sostengono che sono io il colpevole.

 

henri charriere

 

In mancanza di prove diranno di avere delle informa-

zioni ‘confidenziali’ che non lasciano dubbi.

Un testimone preparato da loro, autentico disco regi-

strato nei locali della questura di nome Polein, sarà la

prova più efficace dell’accusa.

Dal momento che continuo ad affermare di non cono-

scerlo, a un certo punto il presidente, con molta impar-

zialità, mi chiede:

– Lei dice che questo teste mente. Bene. Ma perché do-

vrebbe mentire?

 

henri charriere

 

– Signor presidente, se dal mio arresto passo delle not-

ti in bianco, non è per il rimorso di aver assassinato Ro-

land le Petit, dal momento che non sono stato io. Ma

quello che cerco è proprio il motivo che ha spinto que-

sto teste ad accanirsi contro di me senza misura e a por-

tare, ogni volta che l’accusa s’indeboliva, dei nuovi ele-

menti per rafforzarla.

Sono arrivato alla conclusione, signor presidente, che

i poliziotti lo hanno bloccato mentre stava compiendo

un reato importante e che hanno fatto un patto con lui:

ci si passa sopra, alla condizione che vada a carico di….

 

henri charriere

 

Non credevo che questo Petit piacesse proprio così

tanto alla polizia, forse sono piccoli come lui…?

Non credevo di aver indovinato fino in fondo.

Polein, presentato alle Assise come un uomo onesto e

incensurato, veniva arrestato qualche anno dopo per

traffico internazionale di cocaina.

L’avvocato Hubert cerca di difendermi, ma non ha la

statura del pubblico ministero. Soltanto l’avvocato

Bouffay riesce con la sua calorosa indignazione a met-

tere per qualche istante il procuratore in difficoltà.

 

henri charriere

 

Ma, ahimè, la faccenda non dura, e l’astuzia di Pradel

la spunta ben presto, in questo duello. Inoltre egli adu-

la i giurati, gonfi di boria e orgoglio di venir trattati da

eguali e da collaboratori da questo impressionante per-

sonaggio.

Alle undici di sera, la partita a scacchi è terminata.

L’hanno perduta i miei difensori. E io, che sono innocen-

te, forse perché Perfetto, vengo (come la storia insegna)

…condannato!

 

henri charriere

 

La società… , rappresentata dal pubblico ministero ….

Pradel, elimina per sempre, o meglio come avveniva

secoli fa’, bandisce per sempre un giovane….. eretico….

E niente sconti, per favore!

Il ricco pasto mi viene servito dalla voce senza timbro

del presidente Bevin (per conto di tutti i Petit della sto-

ria).

– L’imputato si alzi!

 

henri charriere

 

Mi alzo.

Nella sala regna un totale silenzio, i respiri sono sospe-

si, il mio cuore corre leggermente più svelto…

I giurati mi guardano (con i loro …occhi fluorescenti…),

sembrano in tutta la loro meschina vigliaccheria che

abbiano vergogna…

…Tutto il resto che hanno detto e diranno…..è storia……

(Prosegue….)

 

 

 

 

 

 

henri charriere

UN GABBIANO

Prosegue in:

sogni

Alcatraz Island(1/4)

Da:

un gabbiano 2

 

i miei libri

 

 

 

 

L’avvenire gli appariva tutto rose e fiori.

Appena toccò terra, vide che i gabbiani erano riuniti

in Assemblea Generale. Ed avevano tutta l’aria di tro-

varsi in riunione già da tempo.

Fatto sta che aspettavano proprio lui.

– Il gabbiano Jonhatan Livingston si porti al centro del-

l’Emiciclo!

ordinò l’Anziano.

Il suo tono di voce era quello delle grandi cerimonie.

E quell’ordine è sempre foriero o di grande vergogna o

di grandi onori.

E’ lì al centro dell’Emiciclo che, appunto, ai capi gabbiani

che più si sono distinti viene reso onore dal Consiglio.

Ma sì, pensò Jonathan, stamattina mi hanno visto. Tutto

lo Stormo ha assistito alla mia impresa. Ma io non voglio

onori.

Non aspiro a essere capo. Io desidero solo farli partecipi

delle mie scoperte, mostrar loro i magnifici orizzonti che

ora si sono aperti per tutti noi.

E si fece avanti.

– Il gabbiano Jonhatan Livingston,

l’Anziano proclamò

– viene messo alla gogna e svergognato al cospetto di

tutti i suoi simili!

Fu come se l’avessero colpito con una randellata.

I ginocchi gli si sciolsero, le penne gli si fecero flosce,

le orecchie gli ronzavano.

Messo alla gogna?  Lui? Ma no, impossibile!

E la sua Grande Impresa?

Le nuove Prospettive? Non hanno capito niente!

C’è un errore!

Si sbagliano di grosso!

– ….per la sua temeraria e irresponsabile condotta,

intonava la voce solenne,

– per esser egli venuto meno alla tradizionale dignità

della grande Famiglia de’ Gabbiani….

Questo significava ch’egli sarebbe stato espulso dal

consorzio dei suoi simili, esiliato, condannato a una

vita solitaria laggiù sulle Scogliere Remote.

(R. Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston)

 

 

 

 

un gabbiano 2

NYARLATHOTEP

 

Precedente capitolo:

in un altro luogo….

Prosegue in:

i nuovi maghi

Paradise Island &

Paradise Island (2)

Libri, appunti, dialoghi…

i miei libri

 

 

 

nyarlathotep

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nyarlathotep…il Caos strisciante….Io sono l’ultimo….parlerò al

vuoto in ascolto.

Non ricordo chiaramente quando è cominciato, ma è stato me-

si fa.

La tensione generale era orribile.

Ad un periodo di sconvolgimenti politici e sociali si era aggiunta

la strana e incombente paura di un orrendo pericolo fisico; un pe-

ricolo esteso e onnicomprensivo, un pericolo immaginabile solo

nelle più terribili visioni notturne.

Ricordo che la gente girava con volti pallidi e preoccupati, e sussu-

rava avvertimenti e profezie che nessuno osava ripetere conscia-

mente o ammettere a se stesso di aver udito.

Il senso di una colpa mostruosa sovrastava la Terra, e dagli abissi

fra le stelle fluivano gelide correnti che facevano rabbrividire gli

uomini in luoghi oscuri e solitari.

Si verificò un’alterazione diabolica nella successione delle stagioni:

il tepore dell’autunno indugiava spaventosamente, e ciascuno senti-

va che il mondo – e forse l’universo – era passato dal controllo di dèi

o forze note a quello di dèi o forze che erano ignote.

E fu allora che Nyarlathotep uscì dall’Egitto.

Chi fosse, nessuno sapeva dirlo, ma apparteneva all’antica stirpe lo-

cale e sembrava un Faraone.

I fellahin si inginocchiarono quando lo videro, ma non sapevano…

perché.

Diceva essere sorto dalle tenebre di ventisette secoli, e di aver udi-

to dei messaggi provenienti da luoghi che non sono su questo pia-

neta. Nelle terre della civiltà arrivò Nyarlathotep, olivastro, snello

e sinistro: costruiva strani strumenti di vetro e di metallo e li com-

binava in strumenti ancora più strani.

Parlava molto delle scienze: di elettricità e di psicologia, e dava esi-

bizioni del suo potere che lasciavano senza parola gli spettatori, ma

che resero straordinaria la sua fama.

Gli uomini si consigliavano l’un l’altro di andare a vedere Nyarla-

thotep, e rabbrividivano. E dove Nyarlathotep andava, la pace

svaniva, perché le ore della notte erano lacerate dalle grida degli in-

cubi.

Mai, prima d’allora, le grida degli incubi erano state un problema

pubblico; ora gli uomini saggi avrebbero quasi desiderato di poter

proibire il sonno nelle ore di notte, perché le grida delle città non di-

sturbassero così orribilmente la luna pallida e compassionevole, ba-

luginante sulle acque verdi che fluivano sotto i ponti e sugli antichi

campanili che si sgretolavano contro il cielo malsano.

Ricordo quando Nyarlathotep arrivò nella mia città, la grande, an-

tica, terribile città, fonte di crimini innumerevoli.

Il mio amico mi aveva parlato di lui, del fascino e della lusinga delle

sue rivelazioni, e io ardevo dal desiderio di esplorare i suoi profondi

misteri. Il mio amico disse che erano orribili e impressionanti, al di là

delle fantasie più febbrili, che le scene proiettate sullo schermo nella

stanza buia profetizzavano cose che nessuno ..tranne Nyarlathotep

osava profetizzare, e che, nel baluginio delle luci, agli uomini venis-

se sottratto ciò che non era mai stato sottratto prima: ciò che è perce-

pibile solo negli occhi. E fece chiaramente capire che, chi conosceva

Nyarlathotep, vedeva cose che gli altri non vedevano.

In quel caldo autunno, camminai nella notte con le folle inquiete per

andare a vedere Nyarlathotep; camminai nella notte torrida, salii sca-

le infinite ed entrai nella sua stanza soffocante. E, ombreggiate su uno

schermo, vidi forme incappucciate tra rovine, e facce gialle e malva-

ge che spiavano da dietro monumenti caduti.

E vidi il mondo combattere contro le tenebre; contro le ondate di di-

struzione che venivano dallo spazio estremo; roteava, si dibatteva,

lottava intorno al sole sempre più scuro, sempre più freddo. Poi le

scintille si librarono sorprendentemente intorno alle teste degli spet-

tatori, e i capelli si rizzarono mentre ombre grottesche oltre ogni di-

re uscivano e si acquattavano sui crani.

E quando io, che ero più freddo e più scientifico degli altri, mormo-

rai una protesta tremante sull”impostura’ e sull”elettricità statica’

accusando il grande Dio di essere solo un INDOVINO, Nyarlathotep

ci scacciò tutti: scendemmo le scale vertiginosamente, uscimmo nel-

le strade umide, calde, deserte, della mezzanotte. Gridai a gran vo-

ce CHE NON AVEVO PAURA; che mai avrei potuto aver paura; e

gli altri gridarono con me per trovare sollievo.

Ci giurammo l’un l’altro che la città era esattamente la stessa, e anco-

ra viva non era cresciuta di un solo giorno; e quando le luci elettriche

cominciarono a spegnersi, maledicemmo mille volte la Compagnia

Elettrica e ridemmo delle strane espressioni che avevamo.

Credo che avvertissimo qualcosa scendere dalla luna verdognola e,

quando cominciammo a dipendere dalla sua luce, ci raccogliemmo

spontaneamente in strane formazioni di marcia.

Sembravamo conoscere le destinazioni cui eravamo diretti sebbene

non osassimo pensarvi. Una volta, guardammo la pavimentazione

stradale e vedemmo i lastroni disgiunti e smossi dall’erba, con i

frammenti di binari arrugginiti dove un tempo correvano le linee

tramviarie.

E poi vedemmo un tram, solo, coi vetri rotti, distrutto, e steso su un

fianco. Quando guardammo verso l’orizzonte, non trovammo il ter-

zo grattacielo accanto al fiume, e notammo che la sagoma del secondo

era troncata in alto. Allora ci dividemmo in strette colonne, ciascuna

delle quali sembrava trascinata in direzione diversa, capimmo l’ingan-

no del grande Dio senza nemico…

Una scomparve in uno stretto viale, lasciando solo l’eco di un gemito

terribile. Un’altra entrò in fila in un ingresso di metropolitana ostruito

da erbacce, ridendo di un riso folle. La mia colonna fu risucchiata ver-

so l’aperta campagna dove il perverso Dio aveva minor potere, e subi-

to sentii un gelo che non era di quel caldo autunno; infatti, mentre per-

correvamo a grandi passi la scura brughiera, vedemmo intorno a noi

nevi perfide splendere sotto la luna infernale.

La distesa impenetrabile e inesplicabile di neve si apriva in una sola

direzione, laddove si spalancava un abisso, reso più nero dalle pareti

splendenti. La colonna sembrava sottilissima mentre entrava con pas-

so sognante nell’abisso. Io restai dietro, perché la spaccatura nera del-

la neve illuminata dalla luce verde era spaventosa, e mi parve di senti-

re gli echi di un gemito inquietante quando i miei compagni svanirono;

ma la mia forza di resistenza era debole. Come invitato da coloro che

erano andati prima di me, fluttuai quasi tra i cumuli di neve, tremante

e spaventato ed entrai nel vortice invisibile dell’inimmaginabile.

Se urlai sensibilmente e se delirai senza emettere alcun suono, solo gli

dèi che furono potrebbero dirlo. Io non sono ormai altro che l’ombra di

uno spettro incastrata in un inganno puritano, che si contorce mani che

non sono mani, e rotea ciecamente oltre le notti d’incubo d’un creato

ormai IN PUTREFAZIONE, OLTRE CADAVERI DI MONDI MORTI

SFIGURATI DA PIAGHE CHE UN TEMPO FURONO CITTA’, tra venti

d’ossario che sfiorano le pallide stelle e appannano il loro splendore.

Oltre i mondi, vaghi fantasmi di COSE MOSTRUOSE; colonne appena

intraviste di templi profani che poggiano su rocce senza nome al di sot-

to dello spazio e si allungano nel vuoto vertiginoso al di sopra delle sfe-

re di luce e di buio.

E in QUEL RIVOLTANTE CIMITERO DELL’UNIVERSO risuona un

rullare soffocato, ossessivo di tamburi, e un flebile, monotono gemito

di flauti blasfemi provenienti da cavità tenebrose e inconcepibili al di

là del Tempo.

AL SUONO DI QUEI BATTITI E FISCHI PALPITAZIONI SU SCHERMI

FLUORESCENTI, ODIOSI ALLA VITA PROSSIMI ALLA MORTE, DAN-

ZANO LENTI, GOFFI E ASSURDI I GIGANTESCHI, TENEBROSI ULTI-

MI DEI…..quei simulacri di vetro ciechi, muti e immemori, la cui anima

è Nyarlathotep.

(Lovecraft)

 

 

 

 

 

nyarlathotep

 

IN UN ALTRO LUOGO IN UN ALTRO TEMPO…IN UN ALTRO SOGNO

Precedenti capitoli:

contro il mondo &

Rhode Island (1)

Rhode Island (2)

Rhode Island (3)

Rhode Island (4)

Prosegue in:

stelle di primavera &

Rhode Island (5)

Rhode Island (6) 

 

 

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

 

 
 
 
 
 
 
 

 

Riguardo la questione della verità dei nostri interessi – naturalmente,

ogni persona sa cogliere quale insieme di attività la soddisfa di più,

e non ho dubbi che le tue tante passioni si ricolleghino in qualche mo-

do tra di loro, come parti di un mondo che nella tua coscienza possie-

de armonia e coerenza – proprio come accade in me per il Quebec,

Arthur Machen, l’astronomia, Joseph Wood Krutch, i tramonti, le

Caverne senza Fine, lo Spectator, le uova di dinosauro, le vetture con

una sola carrozza e i finestrini rossi e verdi sul tetto, le mura di pietra,

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

 

gli ingressi georgiani, il nuovo viale alberato di Philadelphia, i gatti

neri, certi numeri come il 3331, il 156 e il 416, i nomi romani altiso-

nanti come Gaio Ateio, Publio Erennio Senecione, Marco Scribonio

Libone ecc., ecc., l’esercito reale della vecchia INGHILTERRA, le

immense foreste di querce dai grandi tronchi e dai rami bassi e in-

trecciati, il continente antartico, le Nubi di Magellano, i templi

sommersi, Charleston, Providence, le baleniere, i viottoli e i sen-

tieri che s’inerpicano sulle colline e arrivano a toccare il cielo, le

stradine vicino al porto punteggiate di vecchie librerie, così stret-

te e tortuose da perdercisi, i fiumi oscuri sovrastati da molti ponti

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

 

che collegano mura di pietra o di mattoni, le guglie e cupole che

catturano gli ultimi raggi di sole del tardo pomeriggio, i prati

silenziosi lungo le colline a mezzoggiorno, le pecore e le capre, i

geroglifici egizi, i flauti e le cornamuse, le scogliere a strapiombo

sul mare, alcune delicate essenze aromatiche, certe note misterio-

se note musicali o suoni analoghi, i castelli in rovina ricoperti di

edera, la Luna, Orione, gli osservatori astronomici, gli incubi, i

dèmoni, le cime frastagliate dei monti, le valli sconosciute, Wick-

ford, Marble-head, Fredericksburg, Newburyport, Kingstown, le

stazioni ferroviarie, i tetti a mansarda, le statue equestri, le picco-

le fattorie costruite su rapidi e rocciosi pendii, il Vermont, i tam-

buri, i cembali e le trombe, le aquile romane, gli Irochesi, Atlantide,

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

 

l’Isola di Pasqua, Tyout Smith, Baghdad e Cordova, le Indie Occiden-

tali, i giardini giapponesi, la via d’oro per Samarcanda, il pietroso

deserto dei deserti oltre Bodrabain, gli unicorni, i fuochi su dolci col-

line, la Via Lattea, distese di paludi al crepuscolo, gentiluomini come

Sir Guy Carleton, Lord Dorchester, Henry St. John visconte di Bolin-

gbroke, i Magnalia, Sir W. Phips, Deerfield, il cimitero dell’Unitarian

Church di Charleston, Publio Cornelio Scipione, Carleon-on-Usk, l’-

Islanda, le canzoni e i ritratti popolari degli anni 1895-1900, le uni-

formi confederate, le Pleiadi, i meteoriti, le grandi cripte a volta, i

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

 

templari, la ferrovia che collega Boston al Maine, Angkor, Zimbabwe,

Casa Usher, i viaggi imprevisti, il rumore di ruscelli nascosti in valla-

te fitte di alberi, la regione centrale del fiume Hudson, il Missahickon,

le enciclopedie, i telescopi, la strumentazione dei laboratori chimici,

l’anno 1903, gli anziani straccivendoli …con cavalli zoppi e carretti

sferraglianti che gridano ‘stracci alla sbarra….soldi per stracci’ in 

una cantilena musicale, la Dighton Rock, le Sette Città d’Oro di

Cibola, la guerra contro la Spagna, le ceramiche Wedgewood, le

driadi e i fauni, le alte mura di costruzioni misteriose, le strade

irte di scalini, i pontili di forniture navali, campane sconosciute

che risuonano in lontananza, strade inondate di luce solare dal

lato opposto e via di questo passo……e via di questo passo…..

(Lovecraft)

 

 

 

 

in un altro luogo in un altro tempo...in un altro sogno

VITA DURA (1)

Prosegue in:

vita dura (2)

vita dura (3)

vita dura (4)

Da:

i miei libri

 

 

vita dura 1

 

 

 

 

 

Quella che si chiama una ‘lettura’ (serie e colta non per

ubriachi da sabato sera…), cioè un pubblico tratteni-

mento in teatro, fu sperimentata per la prima volta da

Charles Dickens, mi pare.

Portò questa iniziativa culturale con sé e la rese assai

popolare in America (là dove la cultura e la lettura so-

no amate…), tanto che i teatri erano pieni dovunque,

e in una sola stagione guadagnò 200.000 $.

Ci provai anch’io e .. fu una cosa terribile.

Almeno agli inizi.

Avevo scelto le mie letture abbastanza bene ma non

me le ero studiate…immaginavo che sarebbe bastato

fare come faceva Dickens: salire sul podio e leggere il

libro. Feci così e combinai un pasticcio.

Le cose scritte non sono adatte ad essere dette; hanno

forma letteraria; sono rigide, dure, e non si presenta-

no bene ad esser tradotte in voce, specie quando il lo-

ro scopo è solo quello di divertire, non di ammaestra-

re; bisogna piegarle, articolarle, dar loro le forme che

ha il discorso, improvvisato, altrimenti il pubblico

anche se non è del tutto ubriaco si annoierà, anziché

divertirsi.

Dopo una settimana di esperienza col libro avanti lo

misi da parte e non lo portai più sul podio; ma intan-

to avevo mandato a memoria quei brani e nel pronun-

ciarli si trasformavano là per là in duttile eloquio, per-

dendo per sempre l’ingombro della forma troppo rigi-

da e solenne.

Uno dei brani di cui mi servivo faceva parte di un biz-

zarro capitolo in dialetto di ‘Vita Dura’ che intitolai:

‘Il vecchio caprone di suo nonno’.

Dopo che l’ebbi mandato a memoria, sul podio comin-

ciò a subire variazioni, e una sera dopo l’altra continuò

a modificarsi e a migliorare, sinché, dopo il timore che

avevo avuto quando cominciai a servermine di fronte

al pubblico, non finì col darmi gusto e piacere.

Al termine della stagione non sapevo quali e quante al-

terazioni aveva subito; né lo seppi prima di dieci o un-

dici anni più tardi, quando una sera, in un salotto di

New York, presi il libro per leggere quel capitolo a una

dozzina di amici e amiche che me ne avevano richiesto.

‘Non si lasciava leggere’: non si lasciava leggere, cioè,

a viva voce. Mi arrangolai per cinque minuti e quindi

mi arresi e dissi che avrei narrato il racconto come me-

glio potevo, a memoria.

Accadde che la mia memoria si dimostrò all’altezza;

riprodusse abbastanza fedelmente la forma che il rac-

conto aveva avuto sul podio, pur dopo quel lungo in-

tervallo…..

(Prosegue…..)

 

 

 

 

vita dura 1

 

I TRE KEATON (1)

Prosegue in:

i tre Keaton (2) &

i tre Keaton (3)

Da:

i miei libri

 

 

i tre keaton 1

 

 

 

 

 

 

 

Mia madre Myra Cutler Keaton, era alta un metro e

cinquanta, pesava quaranta chili, ed era nata nello

spettacolo, essendo figlia di F.L. Cutler, uno dei pro-

prietari dello ‘Show da 10 cents di Cutler & Bryant’,

uno spettacolo viaggiante fatto sotto un tendone.

Prima di compiere 11 anni sapeva già suonare il vio-

lino, il pianoforte e la cornetta.

In seguito, divenne la prima donna negli Stati Uniti

a suonare il saxofono in scena. Ma mia madre avreb-

be potuto anche disinteressarsi dello spettacolo.

 

i tre keaton 1

 

Proprio perché bambina aveva sempre viaggiato con

la carovana del padre, e poi con il babbo nelle loro

vaudeville itineranti, non imparò a cucinare prima dei

trent’anni. Poi se la cavò benissimo in cucina. Ma per

tutta la sua vita, la mamma preferì il gioco delle carte

a ogni altra occupazione, sport, svago, impiego o, co-

me diciamo nello spettacolo, divertimento.

Mio padre, Joe Keaton, era alto uno e ottanta, comico

nato e ottimo, stravagante ballerino. Era la persona

più brava a cadere che avessi mai visto.

 

i tre keaton 1

 

Era anche uno dei migliori nel fare a cazzotti.

Al contrario di mia madre, non era nato nell’ambiente.

Aveva dovuto combattere, fare lo spiritoso e scalciare

molto per arrivare. Ma una volta arrivato, si considera-

va un uomo giunto alla Terra Promessa.

Eppure per quanto gli piacesse essere un attore, gustare

l’applauso e ascoltare la risata che aveva suscitato, non

era quella la cosa più importante per lui.

Soprattutto, il babbo era un’anima allegra, e stava al po-

sto giusto. Viaggiare di città in città ogni settimana vole-

va dire incontrare continuamente i suoi vecchi amici, at-

tori con cui aveva lavorato a Seattle, Boston, Louisville,

  New Orleans.

Ogni settimana era la settimana dei ricordi per il babbo.

In qualunque città fossimo, per lui era sempre come tor-

nare alla sua Terre Haute, in Indiana.

 

i tre keaton 1

 

Il babbo conosceva Will Rogers in Oklahoma, Harry Hou-

dini era stato il suo primo socio in affari. Era amico e am-

miratore di Fred Stone, George M. Cohan e del suo giovia-

le padre, Jerry, di Billy B. Van, Jack Norworth, Al Jolson,

McIntyre e Heath, Gus Edawards, i Quattro Avon, Doyle

e Dixon, e praticamente di tutti gli altri che giravano ….

l’America a due spettacoli al giorno.

In ogni città si ritrovava con qualcuno di questi uomini

di talento. Ed erano lunghe notti passate a bere birra, man-

giare gratis e scambiarsi ricordi allegri.

 

i tre keaton 1

 

Se per qualche incredibile circostanza non conosceva nes-

suno, il babbo faceva comunque parte delle Alci e di una

dozzina di altre organizzazioni i cui membri lo accoglieva-

no sempre a braccia aperte nelle loro sedi, e via con la bir-

ra.

Il babbo si chiamava Joseph come suo padre, suo nonno,

e il suo bisnonno. Come gli altri, era il primogenito di un

primogenito. Ma i tre Keaton prima di lui, erano stati one-

sti e infaticabili contadini e mugnai del Midwest.

 

i tre keaton 1

 

Anche da bambino la personalità del babbo era così inu-

suale che già prima dei dodici anni suo nonno abbandonò

ogni speranza di creare una dinastia di mugnai.

A quell’età il babbo aveva già lasciato la scuola per diven-

tare lustrascarpe e frequentare le sale da biliardo nei quar-

tieri del centro di Terre Haute. I ragazzi più grandi gli fe-

cero gli occhi neri così tante volte per prendere i posti nel-

le strade migliori, che fu presto soprannominato ‘Dick da-

gli occhi neri’.

Quando diventò troppo grande per guadagnarsi la vita

pulendo scarpe il babbo tornò al mulino di famiglia, ma

non per lavorare. Passava il tempo a fare spettacolini per

i braccianti e i contadini che aspettavano che il grano fos-

se macinato.  Nel suo reporterio c’erano canzoni, battute,

smorfie e flip-flap, come erano chiamati i salti mortali….

(Prosegue….)

 

 

 

 

 

 

i tre keaton 1