LA COMPETIZIONE FRA GLI UOMINI (2)

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La competizione fra gli uomini

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Pagine di Storia:

Il muratore &

Dialoghi con Pietro Autier 2:

L’economia corrotta

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Il senso

del limite

Pensieri contro-corrente

Il senso del limite

Da:

Frammenti in rima



 

la competizione fra gli uomini 2

 

 

 

 

 

 

 


Il denaro era in origine un mezzo, e infatti nel linguaggio

di tutti i giorni si dice ancora:- E’ una persona con molti

mezzi.

Ma quanta gente è oggi ancora in grado di capirci quando

cerchiamo di spiegare che il denaro in sé non ha valore al-

cuno?

Lo stesso si può dire per il tempo: ‘Time is money’ signifi-

ca per coloro i quali attribuiscono al denaro un valore as-

soluto, che essi apprezzano in egual misura ogni secondo

risparmiato.

Se è possibile costruire un aereo in grado di sorvolare l’A-

tlantico in un tempo leggermente inferiore a quello attuale,

nessuno si chiede quale sia la contropartita nel necessario

prolungamento delle piste degli aeroporti, nella maggiore

velocità di atterraggio e di decollare che comporta rischi

maggiori, nell’aumento del rumore, ecc.

La mezz’ora guadagnata rappresenta agli occhi di tutti un

valore intrinseco per il quale nessun sacrificio è troppo

grande.

Ogni fabbrica di automobili deve cercare di produrre un

nuovo tipo di vettura che sia più veloce di quello prece-

dente, tutte le strade vanno allargate, tutte le curve rettifi-

cate, col pretesto della maggiore sicurezza: in realtà sol-

tanto per poter guidare un po’ più velocemente, e quindi

più pericolosamente.

Sorge spontaneo il quesito  se all’anima dell’uomo odier-

no procuri maggiore danno l’accecante sete di denaro op-

pure la fretta logorante.

Qualunque sia la risposta, coloro che detengono il potere,

indipendentemente dall’orientamento politico, hanno in-

teresse a favorire entrambi questi fattori e a ingigantire le

motivazioni che spingono l’individuo alla competizione.

Non mi risulta che esista finora una analisi psicologica

profonda di queste motivazioni; ritengo tuttavia molto

probabile che, oltre alla brama del possesso e all’ambi-

zione di ottenere una posizione di rango più elevato, un

ruolo molto importante sia svolto in entrambe dalla pau-

ra: paura di essere superati dai concorrenti, paura di di-

ventare poveri, paura di prendere decisioni sbagliate e di

non essere, o non essere più, all’altezza di una situazione

estenuante.

L’angoscia in tutte le sue forme è certamente il fattore de-

terminante nel minare la salute dell’uomo moderno, ed è

causa di ipertensioni arteriose, di nefrosclerosi, di infarti

cardiaci precoci e di altri bei malanni del genere.

L’uomo che ha perpetuamente fretta non insegue solo il

possesso, poiché la mèta più allettante non potrebbe in-

durlo a essere tanto autolesionista: egli è spinto da qual-

cosa, e ciò che lo spinge è solamente l’angoscia.

La fretta e l’angoscia, inscindibili come sono l’una dall’al-

tra, contribuiscono a privare l’uomo delle sue qualità es-

senziali.

Una di queste è la riflessione. 

(Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)





 

la competizione fra gli uomini 2

LA COMPETIZIONE FRA GLI UOMINI


Prosegue in:

La competizione fra gli uomini (2)

 

 

la competizione fra gli uomini








Il mio maestro Oskar Heinroth diceva, nel suo solito

modo drastico:

– Dopo lo sbatter d’ali del ‘fagiano argo’, il ritmo del

lavoro dell’umanità moderna costituisce il più stupi-

do prodotto della selezione intraspecifica.

Al tempo in cui fu pronunziata, questa affermazione

era decisamente profetica, ma oggi è una chiara esa-

gerazione per difetto.

Per l’argo, come per molti animali con sviluppo ana-

logo, le influenze ambientali impediscono che la spe-

cie proceda, per effetto della selezione intraspecifica,

su strade evolutive mostruose e infine la catastrofe.

Ma nessuna forza esercita un salutare effetto regola-

tore di questo tipo sullo sviluppo culturale dell’uma-

nità; per sua sventura essa ha imparato a dominare

tutte le potenze dell’ambiente estranee alla sua specie,

e tuttavia sa così poco di se stessa da trovarsi inerme 

in balìa delle conseguenze diaboliche della selezione

intraspecifica.

‘Homo homini lupus’: anche questo detto, come la fa-

mosa frase di Heinroth, è ormai divenuto un ‘under-

statement’.

L’uomo, che è l’unico fattore selettivo a determinare l’-

ulteriore sviluppo della propria specie, è ahimè, di

gran lunga più pericoloso del più feroce predatore.

La competizione fra l’uomo e uomo agisce, come nes-

sun fattore biologico ha mai agito, in senso direttamen-

te opposto a quella ‘potenza eternamente attiva, bene-

ficamente creatrice’ e così distrugge con fredda e diabo-

lica brutalità tutti i valori che ha creato, mossa esclusi-

vamente dalle piùcieche considerazioni utilitaristiche.

Sotto la pressione di questa furia competitiva si è dimen-

ticato non solo ciò che è utile per l’umanità intera, ma an-

che ciò che è buono e vantaggioso per il singolo indivi-

duo.

La stragrande maggioranza degli uomini contemporanei

apprezza soltanto ciò che può assicurare il successo nella

concorrenza spietata, ciò che permette loro di superare i

propri consimili.

Ogni mezzo che serve a questo fine viene considerato, a

torto, un valore in sé.

L’errore dell’utilitarismo, gravido di conseguenze delete-

rie, sta proprio in questo: nel confondere il fine con i mez-

zi. 

(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)






 

la competizione fra gli uomini

LATRATI DI CANI

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Pagine di storia:

Giuliano l’Apostata:

la verità (1/2)

Dialoghi con Pietro Autier 2:

Fu’ nostra terra…

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Fu’ nostra terra et

Nostro Universo

Da:

Frammenti in rima



 

latrati di cani






Latrati di cani….

IPAZIA:

 Ieri….mi hanno chiusa nella Torre Rotonda…

VOCE:

Nella torre rotonda….di due metri quadri!…Di due metri tondi!

…Di due metri, tondi tondi! Son discorsi che non quadrano.

Misure che non tornano.

Scemenze. Inutile parlarne. Rimandare. Tanto si deve morire.

Chi oggi, chi domani.

Non c’è altra possibilità. Mica si può nascere due volte come

Lazzaro. E poi….lui è nato due volte e morto due volte, povero

Cristo! 

Ognuno ha la sua croce! No, meglio morire e basta che conti-

nuare a risorgere e rincararsi. Non voglio essere Lazzaro. Vo-

glio invecchiare. Morire! Domani! E fino a domani vivere da

viva! Fino a domani…sono immortale!

IPAZIA:

Il mio cerchio è come l’Uroborossss….il serpente che divora se

stesso! Il tempo Eterno! L’eterna rigenerazione!…..

Visita le viscere della Terra: rettificando, troverai la pietra na-

scosta.

VOCE:

Le carte!….I tarocchi!….Guarda bene i miei occhi!

…Scegli….La temperanza! Il Sole e la Luna, sul serpente che di-

vora se stesso.

La catena d’oro di Omero….e….L’anello di Platone. Il globo al

centro della terra.

La pietra e l’anello….mi da di volta il cervello….la pietra dei

Saggi.

L’anello del Tempo! L’alchimia! La Magia! Chi fa la spia non è

figlio di Maria, non è figlio di nessuno….non ha rotta….non ha

scampo…..E alla Festa dei Pazzi va, la Bella Dama Senza Pietà. 

VOCE:

Che meraviglioso lavoro! Inventare l’astrolabio. L’astrolabio!!

E lei lo ha fatto! 

IPAZIA:

Calcolare l’altezza delle stelle rispetto all’orizzonte. Le stelle

lassù…..e poi perdersi da qualche parte là, fuori, dalle orbite

dal tempo…. nella notte….. in quel buco nero senza confini…

E la festa dei Pazzi?

Oooh….Il mio scopo non era il piacere….ma il sapere.

(M.R. Menzio, Spazio, tempo, numeri e stelle)





latrati di cani

    

UN PO’ DI STORIA

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Gli occhi dell’anima

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Un mondo pieno di immagini &

Non rompetegli le ‘Baal’ (le visioni dei folli e la follia del genere umano)

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Le visioni dei folli &

Un po’ di storia

Da:

Frammenti in rima

 


 

un po' di storia

 

 







Nel mandare Giuliano a Makellon, l’imperatore aveva disposto che

lo si preparasse alla carriera ecclesiastica.

Con questo mezzo sperava di distoglierlo da qualsiasi aspirazione

al potere. Che gioia avrebbe provato se un giorno l’avesse sentito

dire con tutta sincerità: “Il mio regno non è di questo mondo!”

Sperando così di farne almeno un monaco, aveva incaricato Gior-

gio di Cappadocia, vescovo ariano di Cesarea, di perfozionare l’-

istruzione religiosa.

Questo vescovo che doveva supplire alla funzione di precettore

e fratello, di Giuliano, era settario, litigioso, poco degno di stima

sotto ogni riguardo.

Ma per Giuliano c’era un vantaggio imprevisto.

Giorgio possedeva una biblioteca molto fornita, dove il giovane

poteva servirsi a suo piacimento. E non si può negare, dal momen-

to che Costanzo voleva fare di lui un uomo di chiesa, che questa

fosse una grave imprudenza.

Questo suo fratello, oltre alla Bibbia, nella sua biblioteca, dispone-

va di numerose opere di autori cristiani, particolarmente di Origi-

ne d’Antiochia e Dione Crisostomo; ma vi scoprì ancora, senza che 

il vescovo se n’accorgesse, molte opere di filosofi pagani (si narra

a tal proposito, che disponesse di tali opere, per perseguire i loro

seguaci negli antichi precetti …filosofici): Pitagora, Platone, Aristo-

tele, Eraclito, e anche Plotino, Porfirio e Giamblico.

Giuliano se ne appropriò per leggerle a suo agio con avida curio-

sità.

Se l’Iliade, raccomandatagli da Mardonio in Astakos, gli aveva

procurato ore di estasi, i trattati di filosofia di Porfirio e Giambli-

co lo folgorarono letterarlmente.

Il De Mysteriis, le Lettere a Macedonio e gli Oracoli caldaici s’-

impressero nel suo spirito a caratteri di fuoco.

Più filosofo che poeta, cioè più sensibile alle idee che alle imma-

gini, Giuliano trovò in quegli scritti la conferma di tutti i suoi

presentimenti.

Vi scoprì, soprattutto, una teologia solare che lo colpì nel più

profondo dello spirito, perché recava nuovi e decisivi argomen-

ti a sostegno di quel culto del Sole che avevano praticato i suoi

avi. 

Lesse e rilesse, fino ad assimilarla nello spirito, la professione di

fede che il Saggio di Calcide collocò, come un arco di trionfo, al

principio della sua opera imcomparabile: “La luce è una, univer-

sale, eterna. Essa è indivisibilmente presente nel profondo di tut-

te le creature. Essa riempe tutto l’universo con la sua potenza in-

finita.

E a sua imitazione che il cielo e la terra compiono il loro moto di

rivoluzione. Essa fa sì che il principio e la fine di tutte le cose

sempre si ricongiungano. Essa realizzerà la continuità e l’armo-

nia dell’universo”.

Giuliano, sconvolto da quella prosa solenne, che risonava nel suo

spirito con la cadenza d’un inno di vittoria, chiuse gli occhi e so-

spese la lettura.

Pervaso da una gioia intima, ineffabile, vide dissiparsi la caligi-

ne che fino allora gli aveva impedito di scorgere il cammino del-

la salvezza.

Ebbe la netta impressione che nel suo spirito stesse sorgendo u-

na nuova aurora. Trascinato dall’entusiasmo, si sentì portato a

esclamare:

“Tutto s’illumina!”.

Ma che cos’è l’entusiasmo, se non la presenza di un dio in noi?”

Ormai Giuliano portava un Dio nel cuore, e certamente non po-

teva essere lo stesso Dio del fratello acquisito, viscido vescovo, 

presunto fratello, e odiato precettore….






 

 

un po' di storia

 
 

CABALA DEL CAVALLO PEGASEO CON L’AGGIUNTA DELL’ASINO CILLENICO

 

Prosegue in:

Pagine di storia

Dialoghi con Pietro Autier 2

gli occhi di Atget







 

Oimè, auditor mio, che senza focoso suspiro, lubrico pianto

e tragica querela, con l’affetto, con gli occhi e le raggioni non

può rammentar il mio ingegno, intonar la voce e dichiarar gli

argumenti, quanto sia fallace il senso, turbido il pensiero ed

imperito il giudicio, che con atto di perversa,iniqua e pregiu-

diciosa sentenza non vede, non considera, non definisce se-

condo il debito di natura, verità di raggione e diritto di giu-

stizia circa la pura bontade, regia sinceritade e magnifica

maestade della SANTAIGNORANZA, dotta pecoragine e

DIVINA ASINITADE! Lasso! A quanto gran torto da alcu-

ni è sì fieramente essagitata quest’eccellenza celeste tra gli

uomini viventi, contra la quale con larghe narici si fan cen-

sori, altri con aperte sanne si fan mordaci, altri con comici

cachini si rendonobeffeggiatori.

Mentre ovunque spreggiano, burlano e vilipendiano qual-

che cosa, non gli odi di altro che: – Costui è un asino, quest’-

azione è asinesca, questa è una asinitade -; stante che ciò a-

bsolutamente convegna dire dove son più maturi discorsi,

più saldi proponimenti e più trutinate sentenze.

Lasso!

Perché con ramarico del mio core, cordoglio del spirito ed ag-

gravio de l’alma mi si presenta a gli occhi questa imperita,

stolta e profana moltitudine che sì falsamente pensa, sì mor-

dacemente parla, sì temerariamente scrive per parturir que’

scelerati discorsi de tanti monumenti che vanno per le stam-

pe, per le librerie, per tutto, oltre gli espressi ludibrii e biasi-

mi:

L’ASINO D’ORO, LE LODI DE L’ASINO, L’ENCOMIO DE L’A-

SINO; dove non si pensa altro che con ironiche sentenze pren-

dere la gloriosa asinitade in gioco, spasso e scherno?

Or chi terrà il mondo che non pensi ch’io faccia il simile?

Chi potrà donar freno alle lingue che non mi mettano nel me-

desimopredicamento, come colui che corre appo gli vestigii de

gli altri che circa cotal suggetto democriteggiano?

Chi potrà contenerli che non credano, affermino e confermino

che io non intendo vera e seriosamente lodar l’asino ed asinita-

de, ma più tosto procuro di aggionger oglio a quella lucerna la

quale è stata da gli altri accesa?

Ma, o miei protervi e temerarii gioduci, o neghittosi e RIBALDI

CALUNNIATORI, o foschi ed appassionati detrattori, fermate il

passo, voltate gli occhi, prendete la mira; vedete, penetrate, con-

siderate se gli concetti semplici, le sentenze enunciative e gli di-

scorsi sillogistici ch’apporto in favor di questo sacro, impolluto

e SANTO ANIMALE, son puri, veri e demostrativi, o pur son fi-

nti, impossibili ed apparenti. 

Se le vedrete in effetto fondati su le basi de fondamenti fortissi-

mi, se son belli, se son buoni, non le schivate, non le fuggite, non

le rigettate, ma accettatele, seguitele, abbracciatele, e non siate

oltre legati dalla consuetudine del credere, vinti dalla sufficien-

za del pensare e guidati dalla vanità del dire, se altro vi mostra

la luce de l’intelletto, altro la voce della dottrina intona ed altro

l’atto de l’esperienza conferma. 

(Giordano Bruno, Cabala del cavallo Pegaseo)





 

 

 

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FILIPPO AUGUSTO PARTE PER LA TERZA CROCIATA (disposizioni e provvedimenti)

 

 

 

filippo augusto parte per la terza crociata (disposizioni e prov




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Il falso et il vero &

Terza Giornata (quarta novella)

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Terza Giornata

Quarta Novella

Da:

i miei libri

 








In nome della santa ed individua TRINITA’.

AMEN.

Filippo per grazia di Dio re dei Francesi.

E’ dovere del re provvedere al benessere dei sudditi in tutti i modi

e anteporre il suo interesse privato a quello pubblico. Poiché desi-

deriamo intensamente con tutte le forze di compiere IL NOSTRO

VOTO DI RECARCI IN TERRA SANTA, per consiglio dell’Altissi-

mo, abbiamo deciso di ordinare, giorno precedente alla SANTISSI-

MA IMMACOLATA VERGINE BEATA CONCEZIONE, come in

nostra assenza dovranno essere affronatate le questioni del regno

e di dare le disposizioni testamentarie se qualcosa di conforme alla

sorte umana ci dovesse accadere durante il viaggio.


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1. Innanzitutto, noi ordiniamo che i nostri BALIVI, attraverso i singoli

prevosti, nella nostra giurisdizione, nominino quattro uomini prudenti 

leali e di buona fede senza l’assenso dei quali o di almeno due di loro

nessun affare venga trattato, salvo che a Parigi per cui deleghiamo sei

uomini onesti e leali.

2. E abbiamo deciso che nelle nostre terre che sono indicate con nomi

propri, i nostri balivi fissino nei loro baliati per ogni mese un giorno

che si chiamerà il giorno dell’Assise. In quel giorno tutti coloro che

avranno un reclamo da fare, otterranno dal balivio ciò che giustamen-

te spetta loro senza indugi e noi stessi ciò che giustamente ci spetta e

le violazioni dei doveri pubblici verso di noi saranno verbalizzate.

3. Inoltre vogliamo e comandiamo che la carissima madre nostra regi-

na Adele, d’accordo con il nostro carissimo e fedele zio Guglielmo 

arcivescovo di Reims, stabilisca ogni quattro mesi un giorno in cui a

Parigi essi ascolteranno i reclami degli uomini del nostro regno e in

cui daranno loro un verdetto secondo l’onore di Dio e l’interesse del 

regno.

4. Comandiamo poi che in quel giorno davanti a loro siano presenti i

balivi di ogni nostra città che terranno le assise affinché alla loro pre-

senza essi espongono i problemi della nostra terra.

5. Se uno dei nostri balivi commetterrà un reato che non sia né furto né 

omicidio né tradimento e se il fatto sarà noto all’arcivescovo, alla regi-

na e agli altri presenti, comandiamo loro di ascoltare le prevaricazioni

dei nostri balivi perché ci riferiscano per lettera ogni anno e anche tre

volte l’anno quale balivo abbia compiuto il reato, che cosa abbia fatto,

che cosa abbia ricevuto, da chi abbia ricevuto denaro o doni o servizi,

per quale causa i nostri uomini abbiano perso i loro diritti e noi i no-

stri.

6. Allo stesso modo i nostri balivi ci diano informazioni dei prevosti.

7. Ma la regina e l’arcivescovo non potranno rimuovere dal loro balia-

ti i nostri balivi purché non siano colpevoli, di furto, di omicidio e di 

tradimento. E così i balivi non potranno rimuovere i prevosti tranne

che in questi casi indicati. Noi stessi, invece, con l’aiuto di Dio, puni-

remo la colpa, dopo che le persone suddette ce ne avranno dato una

veriteria informazione, con un tale castigo che gli altri potranno rima-

nere non senza ragione.


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8. Allo stesso modo la regina e l’arcivescovo ci ragguaglino tre volte all’-

anno sulle condizioni e sui problemi del nostro regno.

9. Se succederà che una sede episcopale o una qualche altra abbazia 

regale resti vagante, vogliamo che i canonici della chiesa o i monaci del

monastero vacante si rechino dalla regina e dall’arcivescovo come se si

presentasse a noi e chiedano a loro di poter procedere liberamente all’-

elezione e vogliamo che ciò sia concesso loro senza opposizione.

10. Ma noi ammoniamo sia i canonici che i monaci a sciegliersi un pa-

store tale che piaccia a Dio e sia utile al regno.

11. La regina e l’arcivescovo tengano nelle loro mani i diritti regali, fin-

ché l’eletto non venga consacrato o benedetto e allora gli rendano i di-

ritti legali senza opposizione.

12. Inoltre comandiamo che se qualche prebenda o beneficio ecclesia-

stico resterà vacante, quando i diritti regali siano in nostra mano, la re-

gina e l’arcivescovo nel modo migliore e più giusto lo conferiscano a

uomini onesti e colti, sentito il parere di frate Bernardo, a meno che si

tratti di nostre donazioni concesse a qualcuno con una nostra lettera

autentica.

 

filippo augusto parte per la terza crociata (disposizioni e prov


17. Inoltre comandiamo che tutte le nostre rendite, canoni e entrate 

vengano portate a Parigi in tre tempi: la prima volta, alla festa di S.

Remigio, la seconda, nel giorno della purificazione della Beata Ver-

gine, la terza, il giorno dell’Ascensione e che siano consegnati ai cit-

tadini nostri sudditi e al maresciallo Pietro Clemente. Se succederà 

che qualcuno di loro muoia Guglielmo de Garlande gli darà un suc-

cessore.

18. All’atto della consegna dei nostri averi sarà presente il nostro

chierico Adamo, ne prenderà nota e ognuno abbia la chiave di uno 

degli scrigni in cui verranno riposti i nostri averi nel TEMPIO e 

che il TEMPIO ne abbia una. Di questi nostri averi ce ne verrà 

mandata quella parte che noi chiederemo per lettera.

19. Se ci succederà qualcosa, o di morire durante il viaggio che

affrontiamo, comandiamo che la regina, l’arcivescovo, il vescovo

di Parigi, gli abati di S. Vittore e di Cisteaux e il frate Bernardo

dividano il nostro tesoro in due parti: della prima parte destini-

no una metà, secondo il loro parere, a riparare quelle chiese che

sono state distrutte dalle nostre guerre cosicché vi si possa cele-

brare il servizio divino; parte donino a quelli che siano stati dan-

neggiati dalle nostre imposte straordinarie, a quelli che essi vor-

ranno e a quelli che riterranno averne maggior bisogno per la sal-

vezza dell’anima nostra, di nostro padre il re Ludovico e dei no-

stri predecessori.

Per quanto riguarda l’altra metà, comandiamo ai custodi dei no-

stri averi e a tutti i cittadini di Parigi di conservarla per nostro fi-

glio finché non raggiunga l’età in cui, per VOLERE DI DIO e per

sua capacità, POSSA GOVERNARE IL REGNO.

(Ordinanza di Filippo Augusto, in partenza per la Terza crociata)







filippo augusto parte per la terza crociata (disposizioni e prov

     

IL LIMONE: TROMBA D’ORO DELLA SOLARITA’



Furono probabilmente i Romani                                  Limone2.jpg

a importare dall’Oriente i primi

limoni attraverso quella via di

comunicazione marittima che,

partendo dal mar Rosso, giungeva

fino all’India, alla Malesia e

all’attuale Vietnam.

Questi alberi, insieme con

il cedro, il ‘Citrus medica’,

crescevano allo stato

spontaneo sulle montagne della

penisola indocinese e nelle

calde foreste ai piedi

dell’Himalaya, ma venivano

coltivati anche in Cina.

Della loro presenza in

Italia fin dal I secolo dopo

Cristo abbiamo testimonianza

in alcune pitture di Pompei ritrovate durante gli scavi del 1950.

Ma dovevano essere molto rari, se non ne troviamo traccia espli-

cita nell’inciclopedia di Plinio. Furono tuttavia gli Arabi e soprat-

tutto i Crociati a diffonderli sui litorali del Mediterraneo, come

testimonia il loro nome che deriva dall’arabo ‘limum’, mentre

quello botanico sposa il termine latino a quello arabo: ‘Citrus li-

monum’.

Fin dal Medioevo diventarono una caratteristica del paesaggio i-

taliano meridionale. Non per nulla Goethe in una sua poesia chi-

ama il nostro Paese ‘la terra dove fioriscono i limoni’, definizione

che riprenderà un secolo dopo Johann Strauss in uno dei suoi val-

zer, ‘Dove fioriscono i limoni’. Sono alberi gioiosi, solari come i lo-

ro frutti gialli che maturano ininterrottamente lungo tutto l’anno.

I fiori sbocciano più volte per una straordinaria fecondità che ispi-

rò al Tasso questi versi:


‘Co’ fiori eterni il frutto dura;

E mentre spunta l’un, l’altro matura’.


Il frutto contiene acido citrico, acido ascorbico, acido malico, citra-

to di potassio e di calcio, glucidi per l’8%, zuccheri, sostanze pep-

tiche, sali minerali, oligoelementi, vitamina C, flavonoidi, zuccheri.

Dalla sua buccia si estrae per distillazione un’essenza molto profu-

mata che è un potente antisettico ma anche un aromatizzante impi-

egato in profumeria.

Grazie a queste sostanze il limone è una vera e propria panacea co-

me antisettico e tonico; ma è anche utile per ammorbidire le mani,

rinforzare le unghie fragili, tonificare l’epidermide grassa riducen-

do la seborrea e attenuare le macchie rosse.

Di queste proprietà erano già a conoscenza i medici arabi, e sulla

loro scia i naturalisti medievali e rinascimentali.

Castore Durante consigliava di mettere il frutto negli armadi per-

ché aveva la  virtù di allontanare le tarme. Ma riportava anche due

credenze curiose.

‘Se nel succo dei limoni si mette un ducato d’oro, ovvero foglio d’-

oro fino, e dopo ventiquattr’ hore si cavino fuori, quel succo dà

mirabile aiuto a gli appestati e a quei che stanno in articulo di

morte:

bevendolo con vin bianco, o un poco di Angelica odorata, et in

cambio del vino si può mettere la decottione di detta Angelica’.

(Florario, Miti, leggende e simboli di fiori e piante)





 

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ZOZZA MISERIA… ANIMA MIA…, C’E’ SCAGNOZZA LUNGO LA VIA


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Attenti ai ciarlatani

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Attenti (però) ai ciarlatani &

I ciarlatani

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I liberi

Vagabondi

Da:

Frammenti in rima




 

zozza  miseria  anima  mia..,c'e'  scagnozza  sulla  via ..










….Si sono viste in diversi tempi varie sorti di persone dotte e

scienziate lasciato la propria patria, e abbandonato i parenti,

andar girando e discorrendo per diversi paesi, città e provin-

ce del mondo per veder con propri occhi nuove genti, abiti s-

trani, vari riti, barbari costumi e sentir diverse lingue; per im-

parar a proprie spese, con incomodi, fatiche e vigilie, non sen-

za lor grande utilità, il bene e onesto vivere; a fuggir gli errori,

apprender le virtù e buoni costumi levando le rose dalle spine,

il miele dal favo e il prezioso vino dalla feccia de’ comuni er-

rori. 

Così io, ma più diversamente, avendo per diversi affari girato

il mondo; visto e considerato, fra gli altri la natura, arte e co-

stumi di quelli che noi chiamiamo bianti, ovver pitocchi e va-

gabondi, con i quali poco vale la speculativa, essendo in loro

maggiore la pratica, mi son posto per diporto ne’ gran caldi

dell’estate di quest’anno a scriver di loro (e loro con i mezzi

adeguati ai ‘loro’ più svariati nomi, ad ascoltar …di me…). 

Innumerabili le finissime arti e malizie, con le quali vanno

ingannando i semplici e intrappolando le ignoranti persone….

qual ‘IO CHE SO DI NON SAPERE….SO MOLTO PIU’ DI

LORO….’ (CIRCA LO LORO PRECISO MESTIERE…).

 

DEGLI ASCIONI:


Ascione, cioè senza senso; fingonsi questi pazzi e sciocchi e

talor sordi e alle volte muti. Niente chiedono, ma mandando

fuori inarticolate voci (talvolta per proprio conto …altre vol-

te ad accomandita semplice…ed incaricata…), con bocca stor-

ta e occhi biechi, stendendo le mani co’ gesti mostrano che vo-

gliono elemosine (par poi che le suddette vengano mutate al

banco più vicino del paese di confino…), e con le mani raccol-

gono quel che gli è dato (per far lo loro mestiere nell’alto pul-

pito del palazzo, che non non è una rima, ma la chiamano so-

lo …politica…).

Scagnozza Cerreto, già molto tempo, preso un suo vicino po-

verello assai goffo e semplice (rinchiuso in una cantina buia

peggio della pece….al piano ritorto di un vecchio palazzotto…),

avendoli prima chiuso gli occhi con pece greca posta in polve-

re nelle palpebre di quello (che povero me più nulla vede…ma

solo passi e rumori distorti…), lo conduceva alla guidonaria per

il mondo cercando elemosine; asserendo che quello (che) egli

guidava era cieco, sordo e muto (..e tante volte pure offeso), pri-

vo di giudizio e d’intelletto. 

Pervenendo un giorno alle Ville di Sassoferrato chiedendo ele-

mosine all’uscio d’una casa ove si facevano le nozze, Scagnoz-

za al suo solito facendo la cantilena del cieco, sordo, muto e sen-

za discorso, convennero a quella molte donne del luogo, quali l’-

interrogorno delle condizioni del povero cieco e come fosse stato

privo di tanti beni della natura, e se veramente era nato cieco, o

pure si fosse acciecato per disgrazia.

Mentre Scagnozza rispondeva e affermava che era nato cieco e

privo d’intelletto, nonché di tutti li sensi, eccetto del tatto, con

mille altre bugie, dall’altra parte il cieco fu interrogato da altre

donne delle sue condizioni: il qual poco avvertendo e non tenen-

do a mente gli ammaestramenti del compagno (……), gli usciro-

no di bocca queste parole:” Io ben vedrei, se non avessi gli occhi

chiusi con la pece (solo ubbidire dovrei…per li futuri esami miei)”.

In quell’istante Scagnozza si volse, e vedendo il suo compagno

parlare e confessar la truffa, conoscendosi scoperta, senza indu-

giare si partì (tutti al mare…..), per non aspettare dagli uomini e

dalle donne il premio delle furberie; e conducendo seco il compa-

gno (o la compagna….per Scagnozza nulla cambia) ad un gran 

precipizio, ovvero profonda fossa , quivi solo lo lasciò, acciocché

da se stesso si precipitasse in pena del rivelato segreto, sì come

successe…. 

(Rafaele Frianoro, Il vagabondo 1640, da Il libro dei vagabondi,

di Piero Camporesi)






 

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L’INFERNO DEI CAVALIERI

Prosegue in:

Satana (41) &

Pagine di Storia:

Del dominio dei folli

Foto del blog:

L’Inferno

dei cavalieri

Da:

Frammenti in rima

 

 

 

l'inferno dei cavalieri

 

 

 

 

 

 

 

 

Su questo teatro del mondo che qui funge da orizzonte, gli elementi

della Natura e gli istinti malvagi dell’uomo si affrontano.

La smisuratezza dell’inventiva, della volontà di potenza e dell’egoi-

smo umano non soltanto fanno violenza alla Creazione, ma distrug-

gono anche ogni possibilità di vita comune tra gli uomini.

Dalla situazione iniziale d’un mondo stravolto da cima a fondo a

causa della Caduta, Bosch passa al presente e mostra come l’ordine

sociale del suo tempo sia minato dalla stessa corruzione, dallo stes-

so male.

Per stigmatizzare potere temporale e potere spirituale, egli si limita

qui, prudentemente, A RITRARRE I MONACI E I CAVALIERI, ber-

sagli tradizionali della satira popolare.

Ma, ponendo alla gogna questi due ordini – gli uni messi in caricatu-

ra come cavalieri erranti e sanguinari, gli altri come missionari fana-

tici ed ipocriti – egli manifesta una tale aggressività che i suoi attacchi,

andando oltre i personaggi in questione, raggiungono quelli che, invi-

sibili, stanno alle loro spalle. 

E’ il concetto stesso di autorità che Bosch qui abbatte.

In queste immagini militanti, denunzie feroci contro monaci e cava-

lieri, il Libero Spirito rivoluzionario insorge e lancia il suo grido di

odio IN TYRANNOS.

Principio adamita e principio aristocratico sono inconciliabili: l’uno,

in effetti, ha come postulato sociale l’uguaglianza totale di tutti i figli

di Adamo; l’altro poggia sulle prerogative di una nascita ‘superiore’. 

Un proverbio famoso pone questa domanda egualitaria: “Quando

Adamo zappava ed Eva filava dov’era il nobile?”. 

In questo quadro Bosch denuncia con forza i privilegi della nobiltà e

la stigmatizza come umanità interamente votata alla violenza e all’as-

sassinio.

Per quanto eccessivo sia il fanatismo della caricatura, siamo senza dub-

bio in presenza del primo esempio di un’opera, impegnata dal punto di

vista storico e sociale, che inciti all”eliminazione dei tiranni’.

La scena a destra del mostro rappresenta un cavaliere steso sulla sua

bandiera, nel mezzo di un piatto posto sul ‘filo del rasoio’. Il cavaliere

tiene nella mano sinistra una pisside, da cui l’ostia è caduta a terra.

Egli ha manifestamente volto le sue armi contro il Santissimo, ha com-

messo un attentato sacrilego al ‘corpo del Signore’.

Ma il suo peccato non è la spoliazione di una chiesa: è di tutt’altra na-

tura. Bosch ha qui interpretato l’ostia come ‘immagine di Dio’, come

simbolo di Dio: è questo che gli permette di denunciare implicitamen-

te il mestiere cavalleresco DELLE ARMI come un peccato mortale per-

petuato sul corpo dell’altra ‘immagine di Dio’, l’uomo.

Un passaggio molto ‘adamitico’ della Scrittura suona infatti: ” Chiun-

que versi sangue umano, sarà versato il suo sangue, perché l’uomo è

stato fatto ad immagine di Dio”.

Sei basilischi assalgono da ogni parte il cavaliere che, in cerca di pro-

tezione, tende la mano destra verso la sua bandiera, come se questa

insegna di casta gli potesse essere di aiuto anche tra i tormenti dell’-

Inferno.

Ma è precisamente questa bandiera, emblema dell’orgoglioso privi-

legio, dell’arrogante differenziazione del resto della comunità uma-

na, che lo precipita definitivamente nell’Inferno.

Il gagliardetto infatti porta il simbolo assoluto del male, il rospo.

Nella tradizione biblica e popolare quest’animale è considerato il

rampollo dell’Inferno, e nei numerosi verbali di processi di caccia

alle streghe si legge che il diavolo era solito apparire sotto la for-

ma laida del rospo.

Il Libero Spirito, il cui ideale comunitario era l’amore, ideale creato-

re, considerava la cavalleria, basata sul principio della guerra, come

il principio distruttore e antagonista.

Così Bosch ha rappresentato l’albero genealogico della cavalleria

completamente defoliato, sterile, ostile alla vita. 

La balestra è l’unico frutto appeso ai suoi rami, ed è un’arma di mor-

te. L’albero della Vita si è trasformato nel palo di tortura per i suoi

rampolli. 

Con l’elmo profondamente calato sulla testa, ma nudo come ogni al-

tro figlio di Adamo, un giovane nobile senza difesa è legato all’albe-

ro.

Un cavaliere dell’Inferno, ricoperto da un’armatura fantastica, gli af-

fonda una spada enorme nel ventre. Notiamo che la spada trapassa

il vetre esattamente attraverso l’ombelico. 

La nemesi s’impadronisce del suo corpo, passando per quello che è

il sigillo stesso della sua pretesa ‘nascita superiore’. 

Il castigo mortale è commisurato alla norma che ha governato la sua

esistenza. Essendosi imposta con la spada, la nobiltà è distrutta dal-

la spada. Ma questo castigo non soddisfa completamente Bosch. 

Dopo aver negato per principio tutte le prerogative della nobiltà, que-

sta morte per spada gli sembra ancora ‘troppo cavalleresca’. Per squa-

lificare sino in fondo il cavaliere-signore, gli ha riservato un’altra mor-

te, ancora più infame: un boia sta salendo una scala appoggiata contro

l’albero con la palese intenzione di impiccare senza misericordia il

cavaliere, come un volgare assassino o ladro. 

Questa scena dimostra un’analogia tra il Libero Spirito e il movimen-

to Hussita. Citiamo ,ora, un documento di poco posteriore al nostro

dipinto, concepito secondo lo stesso spirito. 

Vi troviamo lo stesso odio nei riguardi della nobiltà, e la tensione de-

mocratica finisce anch’essa per assumere dimensioni cosmiche per l’-

impegno dell’autore a individuarne la traccia in tutti i livelli della

natura.

Questa testimonianza di propaganda contro la tirannia è tratta dal

capitolo LXXX, intitolato ‘De Nobilitate’ di Cornelio Agrippa:

 

SAREBBE TROPPO LUNGO DESCRIVERE L’ORIGINE DI TUTTI

GLI IMPERI E ANALIZZARE L’INTERO CORSO DELLA STORIA.

HO TRATTATO QUESTO ARGOMENTO A FONDO IN UN LIBRO

PARTICOLARE….DOVE HO PROVATO CHE MAI VI FU IMPERO –

E LO STESSO VALE PER LA NOSTRA EPOCA – IL CUI SVILUPPO

NON FOSSE BASATO SULL’ASSASSINIO, SUL TRADIMENTO,

SULLA SLEALTA’, SU OGNI SORTA DI CRUDELTA’, DI MASSA-

CRI, DI OMICIDI E DI VIZI ORRENDI: VOGLIO PARLARE DI

QUESTE ARTI PRATICATE DALLA NOBILTA’. QUANDO AVRE-

MO APPRESO A CONOSCERE LA MOLTEPLICI TESTE DI QUE-

STA BESTIA, POTREMO INTUIRE FACILMENTE LA NATURA

DELLE ALTRE SUE MEMBRA, VALE A DIRE LA VIOLENZA, IL 

SACCHEGGIO, L’OMICIDIO, LA CACCIA E GLI ALTRI ESERCI-

ZI CONSACRATI AL PIACERE E ALLA CORRUZIONE. NON AB-

BIAMO PIU’ DUBBI: LA NOBILTA’ E’ MARCIA NON SOLAMEN-

TE PER ABITUDINE E PRATICA, MA PER SUA STESSA ESSENZA.

(W. Fraenger, il regno millenario di Hieronymus Bosch;

Hieronymus Bosch, Il Giardino delle delizie, Inferno)

 

 

 

 

 

 

l'inferno dei cavalieri

ARMONIA E DISARMONIA

Precedente capitolo:

La peste umana

Prosegue in:

Dall’Alchimia all’Algenia &

Dialoghi con Pietro Autier 2:

La nuova peste

 

 

armonia e disarmonia




 



Il fatto di sentire che qualcosa è bello e armonico è una prestazione

dei nostri sensori mediata dal cervello.

Queste prestazioni sono definite percezioni della forma.

Caratteristica di questi processi è che non derivano dalla ragione:

non hanno quindi origine razionale, ma sono definibili ‘raziomorfici’.

Ciò significa che quei processi non sono accessibili a una precisa auto-

osservazione. 

In altre parole: la percezione della forma si basa su un accumulo incon-

scio di diverse impressioni sensoriali, che vengono immagazzinate nel

nostro cervello e poi d’improvviso, come se fossimo stati folgorati da

un’idea, vengono messi in rapporto di inter-relazione, consentendo co-

sì una nuova conoscenza. 

Il paragone più prossimo è quello con una complicata calcolatrice, un

computer. In questi casi si presenta quindi una cosiddetta intuizione,

naturalmente del tutto inconscia per l’interessato, il quale crede di a-

vere ricevuto un’ispirazione dall’esterno.

Non si tratta però di un miracolo, nel senso letterale del termine, ma

semplicemente di un accumulo di dati e di informazioni.

Anche la percezione della forma, come ogni altra funzione, necessità

però di un apprendimento, di un training.

Lo stesso avviene per le armonie che captiamo con gli occhi: la bel-

lezza della natura, di un bosco o di un paesaggio. Occorre un certo

training della percezione della forma, per imparare a riconoscere la

bellezza inconsapevolmente. 

Se si ha un certo gusto ecologico, se si conoscono diversi paesaggi

naturali armonici e paesaggi rovinati dall’edilizia selvaggia, si impa-

ra, ma è la percezione della forma che impara, cioè l’inconscio, a di-

stinguere le armonie dalle disarmonie.

Ciò non è da sottovalutare. 

Una volta furono inviati dei questionari a diversi premi Nobel che si

occupavano di biologia, ecologia, zoologia, e anche a importanti acca-

demici che si dedicavano a questi temi. Tra le altre domande, il ques-

tionario chiedeva quando il soggetto aveva cominciato ad interessarsi

per la prima volta alla natura, agli animali e alle piante e quando ave-

va avuto il primo contatto con organismi viventi.

Lo scopo era sapere se questo contatto era avvenuto quando erano an-

cora bambini.

Tutti! 

Tutti si erano presi cura, occupati fin dalla prima infanzia di una qual-

che forma vivente. Ciò significa che nel caso di questi scienziati la per-

cezione della forma era stata nutrita abbondantemente di dati. 

Il subconscio può essere bombardato di ogni genere d’informazione

possibile: lo sanno bene i demagoghi e i COMMERCIANTI!

Coloro che sono ciechi di fronte a certi valori di questo mondo, e di

questi fanno parte tutti i politici e gli industriali di successo, nonché i

commercianti, sono certamente cresciuti in grandi città, dove la perce-

zione della forma poteva fare ben poche esperienze gratificanti.

Una persona che vede soltanto i grattacieli, marciapiedi, cemento e

televisione, trova che soltanto grattacieli, cemento, macchine e tele-

visione siano belli, e un paesino di contadini la cui architettura si

inserisce armonicamente nel paesaggio viene avvertito semplice-

mente squallido, come coloro che che con l’armonia del pensiero

cercano questi presupposti.

L’architettura moderna è responsabile di molte cose.

Se guardate un ‘carcinoma’ al microscopio, cioè una sezione in cui

figurano piccole parti di tessuto ancora sano, sembra di vedere la

fotografia aerea di una città in cui le parti vecchie sono circondate

da zone nuove, costruite senza regola o troppo regolarmente.

I paralleli tra la formazione di tumori maligni e le città aggredite

dalla degenerazione della civiltà sono tanti..ed uguali.

Nelle zone brutte si trova la massima incidenza di malviventi.

Gli architetti sono diventati ciechi nei confronti delle armonie na-

turali, non riconoscono più intuitivamente l’armonia. 

Questo non dovrebbe accadere!

Si potrebbe fare qualcosa!

Basterebbe far familiarizzare i bambini e i ragazzi con le armonie,

e in questo modo si impedirebbe loro di diventare ciechi ai valori,

addirittura sarebbe per loro impossibile diventarlo.

Ma per distinguere le armonie dalle disarmonie occorre essere pre-

parati. E’ spaventosa l’idea che un numero crescente di ragazzi ven-

ga tirato su nelle metropoli.

Nei confronti di questi ragazzi io ho davvero una cattiva coscienza

sociale, perchè personalmente sono cresciuto in un ambiente armo-

nico. 

Come possono questi ragazzi diventare degli adulti saggi e responsa-

bili, pronti, un giorno, in qualità di politici e imprenditori a gestire il

destino biologico della terra, se non hanno mai imparato che cos’è la

bellezza della natura e la sua armonia?

(K. Lorenz, Salvate la speranza)






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