IL MERCANTE DI ARMATURE…. (finché c’è guerra c’è speranza) (4)

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armi: all’Ialia primato europeo della crescita dell’export….  

 



il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (4)








La Loira è il più lungo fiume di Francia (1020 Km).

Scende dal Massiccio Centrale scorrendo sinuosamente verso setten-

trione; molto a valle di Roanne, a Nevers, riceve il suo principale af-

fluente, l’Allier; poi per oltre 500 chilometri, bagnando Berry, Orle-

anese e Angiò, descrive un grande arco verso occidente, con l’apice

settentrionale a Orleans, per allargarsi infine nell’estuario sull’Atlan-

tico.


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Il tratto da Gien ad Aners e le plaghe ai due lati del fiume, il ‘paese della

Loira’, che Rabelais amerà è considerato il giardino di Francia, quanto di

più francese si possa immaginare. Probabilmente si pensava già così

quando i mercanti di Milano scendevano il fiume: vigneti al bordo del-

le colline, pioppi e salici nella larga valle dell’Orleanese, scorrere lento

di acque azzurre tra banchi di sabbia dorata nella luce della Turenna.

Era il paesaggio amato dai re, che in quest’epoca soggiornano sulla

Loira: Carlo VII a Chinon, Luigi XI a Plessis-les-Tours, Carlo VIII ad

Amboise.


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Re e principi che prediligevano i cani e la caccia, la falconeria e gli uc-

celli esotici, che tenevano scimmie e leoni nei fossati dei castelli, pap-

pagalli in camera da letto; rinnovavano col meglio del garbo gotico ar-

cigne dimore, cominciavano a impiantare piacevoli giardini con pergo-

le, fresche fontane e tappeti fioriti, anche prima che il religioso napole-

tano don Pacello di Mercogliano, portato da Carlo VIII dal suo nuovo

regno mediterraneo, sistemasse ‘all’italiana’ i giardini di Amboise e

Blois.

Le aiuole fitte di fiori, che allietavano il duca Jean de Berry e il re Rena-

to d’Angiò, passano negli sfondi turchini o rosa degli arazzi delle ma-

nifatture della Loira denominati ‘mille-fleurs’, nei quali le idilliche sce-

ne di vita cortigianesca o pastorale si svolgono contro un tappeto di fio-

ri frammischiati a scoiattoli, pavoni, pernici e leprotti.

Per recuperare l’immagine del ‘giardino di Francia’ nell’ultimo scorcio

del XV secolo, occorre ricordare che la ‘Renaissance’ non era ancora co-

minciata. La regione della Loira era piena di castelli, ma i più celebri

dei ‘castelli della Loira’ – espressione in cui la parola castello ha un’ec-

 

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cezione particolarissima – non esistevano: Chenonceaux di Diana di

Poiters, che è sulla Cher e si allunga tra le due rive del fiume, non era 

stato ancora cominciato; Azay-le-Rideau si chiamava Azay-le-Brulé,

poiché il delfino che era passato di lì, nel 1418, era stato insultato dal-

la guarnigione e allora aveva assaltato il luogo, fatto giustiziare il ca-

pitano e i suoi 350.000 uomini, bruciato il villaggio; nella foresta a

qualche miglio da Blois, dove Francesco I farà costruire l’immagino-

so castello di Chambord, dalle candide pareti e la fantasmagorica ter-

razza con gli infiniti pinnacoli, comignoli e frecce intorno alla lanter-

na, c’era solo una rocchetta per le cacce del signore di Blois.

C’era il pericolo dei banchi di sabbia e delle piene, il disturbo delle

derivazioni per le ruote ad acqua e dei pedaggi, tuttavia la naviga-

zione sulla Loira era ben organizzata e veloce; si andava in sei gior-

ni da Orléans a Nantes e ne potevano bastare da 15 a 20, con po’ di

fortuna per tornare controcorrente, i venti regolari dall’Atlantico sof-

fiavano nelle vele e nelle pale dei mulini sulle creste delle colline.

Dal 300 una Communauté des marchands, con sede a Orléans, prov-

vedeva a certe necessarie manutenzioni lungo la via d’acqua e perce-

piva un obolo, che si doveva deporre in cassette speciali lungo le ri-

ve del fiume.

I marinai fumaroli erano tipi robusti, eccessivi nei modi, turbolenti

nelle osterie.

(Lorenzo Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)







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il mercante di armature: 1488 da milano a mont-saint-michel (3)










Con i loro carichi di corazze, gorgere, cosciali, elmi e altre parti di

armature da combattimento, più sobrie e rustiche di quelle da tor-

neo, ma non meno ‘meccanicamente’ ingegnose, i mercanti armatori

milanesi poterono farsi alare in barca lungo l’alzaia del Naviglio

Grande fino al Ticino, per poi prendere la strada di Torino.

Qui era il capoluogo delle terre piemontesi del ducato di Savoia,

che non avevano ancora definitivamente orientato i loro destini ver-

so l’Italia, anche se già uno di loro aveva tentato di prendere Milano.

In realtà si barcamenavano a tener insieme i loro compositi domini,

cosa resa difficile dai troppi figli: Ludovico, il padre di Bona già reg-

gente di Milano per il figlio minorenne Gian Galeazzo, ne aveva avu-

ti diciotto dalla moglie Anna di Lusignano.

Il re di Francia tendeva a considerare i Savoia come i suoi vassalli; di

recente lo stato era stato retto da Iolanda, la sorella del re di Francia

Luigi XI, quale moglie, e poi vedova, dell’epilettico Amedeo IX, che

si guadagnò la beatificazione per la sua carità.

Ora era duca un figlio di Iolanda, Carlo I detto il Guerriero, e la Fran-

cia aveva stroncato certe sue velleità di espansione.

 

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Di là dalle rosse mura di mattoni, Torino vedeva le verdi colline che

scendevano al Po e, all’orizzonte, le montagne apparivano vicine. La

città era piccolissima; salvo alcuni borghi lungo le strade foranee, sta-

va racchiusa nel rettengolo delle 72 insulae della colonia romana.

Le mura antiche erano state ripristinate e continuavano a servire alla

difesa.

Il castello degli Acaia era stato costruito sul sito della porta decumana,

al lato nordorientale della città; al principio del secolo si erano aggiun-

te le due torri poligonali, che ancor si vedono nella facciata posteriore

di Palazzo Madama. La città non aveva nulla della pacata atmosfera

barocca che ancora la contraddistingue, ma nella via Dora Grossa che

era la strada commerciale, case a tre piani si allineavano ordinate, già

con le arcate di portici in facciata. 

Le Alpi si traversavano al Moncenisio, il valico più comodo tra il Pie-

monte e la capitale del ducato di Savoia. Ci si arriva seguendo a ritro-

so il corso della Dora Riparia, lungo la valle di Susa, vigilata all’im-

bocco, la Chiusa, dalla Sagra di San Michele, un’abbazia che fa corpo

con un cocuzzolo di monte.

Sul percorso, nel borgo di Avigliana prima dell’inizio della valle, alla

Sagra e infine a Susa, è facile rievocare, nel paesaggio e nelle architet-

ture sensazioni antiche. Il tardo gotico piemontese e i primi beluginii

di forme rinascimentali si esprimono nel bel cotto color sangue.

A Susa il borgo dei Nobili, fuori città dalla cinta romana, era nato per-

ché non trovava alloggio nella cittadina la corte dei conti sabaudi quan-

do aveva posto qui una delle sue sedi.


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Prima di affrontare la salita al valico si faceva tappa a Novalese, dove

si tenevano i muli di carico. Novalese è il nome di un’abbazia antica, e

allora potente, che sorge poco discosto.

Subito di là del valico del Moncenisio, m 2084, il grumo di case si chi-

ama la Ramasse; ricorda la slitta di ramaglie con cui i giovani monta-

nari facevano scivolare a valle i viaggiatori, risparmiando loro fatica,

forse a prezzo di accresciuti rischi.

Dal passo si scende in Savoia nel folto di abetaie.

Di fronte biancheggiano i ghiacciai della Vanoise. La valle dell’Arc, la

Maurienne, è come una ferita nella montagna, selvaggia e grandiosa;

dal basso, fra enormi pendii di boschi devastati dai torrenti, nemmeno

si indovinavano le sovrastanti nevi.

Vicino a dove l’Arc arriva nell’Isère, si alza su una roccia il formidabile

castello di Miolans. Poco oltre è Chambéry, la capitale sabauda, nell’-

ampia sella tra l’Isére e il lago del Bourget. Un dedalo di strette viuzze

assediava il castello, che era stato ingrandito e reso se non meno arci-

gno almeno più comodo pochi decenni prima.

Nel 1452 era pervenuta ai Savoia, al termine di una catena di eredità e

donazioni, la Sindone, il sudario di Cristo, ma al momento del viaggio

degli armorari di Milano non era ancora ultimata la Sainte Chapelle, al

suo trasferimento a Torino.

(Lorenzo Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)





 

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