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L’inverno del nostro Universo (2)
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All’inizio dell’Universo, secondo la cosmologia vedica,
le Acque primordiali formavano un’immensa nebulosa
chiamata in sanscrito salila, arna, samudra: oceano.
I versi del Rg-Veda raccontano che durante l’evolversi
dell’Universo le Acque cosmiche si erano riunite in par-
te intorno al sole e in parte erano confluite nelle regioni
governate dalla luna così da formare due oceani celesti,
samudrau, uno dei quali luminoso e l’altro avvolto nel-
le tenebre.
Da questi oceani le acque erano poi discese sulla terra
a formarvi l’atmosfera dei fiumi. L’osservazione del per-
corso compiuto di giorno dal sole, e di notte dalle stelle,
aveva permesso agli astronomi di conoscere il moto di
rotazione celeste che appariva ai loro occhi come il mo-
to di rotazione delle acque dei due oceani celesti (naka).
Il giorno di 24 ore era considerato composto da un perio-
do di rotazione delle acque luminose, cui corrispondeva
l’idea di ‘giorno’, e da un altro periodo di rotazione delle
acque scure, cui corrispondeva l’idea di ‘notte’.
Il nome del giorno, div ‘si stacca (v) fluendo (i) dalla lu-
ce (d) fu costruito con la consonante d ‘luce’ mentre la
notte fu designata con la consonante n ‘acqua’ e con il
verbo ak ‘muovere curvando’.
Uno dei primi termini usati dagli indoeuropei per desi-
gnare la ‘notte’ fu appunto: nak ‘il moto (ak) curvilineo
delle acque (n)‘.
Essendo però nak un nome d’azione astratto, con il sen-
so di un infinito, gli si preferì in seguito nakta, nome d’-
azione concreto con il senso di un participio, ad indicare
un singolo atto di rotazione compiuto intorno alle terra
dalle acque.
Nakta significava quindi ‘un moto di rotazione (akta) del-
le acque (n). Allorché si dovette indicare la ‘volta celeste’,
‘il firmamento’, si seguì lo stesso criterio formativo. Si trat-
tava, in questo caso, di indicare la circolazione celeste per-
manente delle acque e non una loro singola rotazione (ap-
parente) della durata di circa 12 ore.
Si ricorse pertanto al derivato nominale di ak, aka, che e-
sprime lo svolgimento continuo dell’azione verbale….
Si creò così il termine: naka (na+aka), per indicare la ‘cir-
colazione permanente (aka) delle acque (na)’.
Inoltre nella convinzione che la circolazione delle Acque
fosse regolata da 27 gruppi stellari, o ‘costellazioni’, gli
astronomi divisero l’eclittica in altrettante parti riuscen-
do in tal modo a seguire il passaggio del sole e la rivolu-
zione mensile della luna intorno alla terra.
I canti rigvedici sull’origine dell’Universo sono tre e ap-
partengono tutti al decimo libro.
L’inno 121°, dedicato a Ka, nome attribuito a Hiranyagar-
bha, il ‘Germe Aureo’, osserviamo ora il terzo di questi
inni, il 129°, conosciuto come il Nasadasiyasukta, ‘Non
c’era non-essere, né c’era essere: “All’inizio non c’era es-
sere, né c’era non-essere. che cosa ricopriva l’insondabi-
le profondità delle acque e com’era e dov’era il riparo?
Non c’era l’atmosfera né, al di là di essa, la volta celeste”.
“Non c’era morte allora né immortalità. Non c’era notte.
Non c’era giorno. Quell’Uno viveva in sé e per sé, senza
respiro. Al di fuori di quell’Uno, c’era il Nulla”.
“C’era oscurità, all’inizio, e ancora oscurità, in un imper-
scrutabile continuità di acque. Tutto ciò che esisteva era
un vuoto senza forma. Quell’Uno era nato per la poten-
za dell’Ardore”.
Secondo la visione dell’universo che il poeta-veggente
vedico descrive in questi versi, all’inizio del cosmo, una
impenetrabile nebulosa di acque primordiali formava un
imperscrutabile oceano, ove l’Uno era sì già nato, ma vi-
veva senza fiatare.
In quell’insieme oscuro di acque, all’infuori di quell’Uno,
peraltro non ancora manifesto, c’era solo il Nulla. Qual
era, ci si chiede, la correlazione cosmogonica e metafisi-
ca tra le Acque, l’Uno ed il Nulla?
Credo che l’analisi linguistica ci possa dare una risposta.
Se consideriamo il fonema na come il simbolo delle Ac-
que indifferenziate, possiamo dedurre che fu da esso che
nacque il concetto di negazione, na, e di conseguenza….
quello del Nulla, a causa dell’impossibilità di riconosce-
re al loro interno alcun ente (non-ente, niente) o alcun u-
no (non-uno, nessuno).
Soltanto in un secondo tempo, con l’apparizione della
luce nelle acque, (ka), il pensiero indoeuropeo avrebbe
riconosciuto al loro interno il primo Essere, eka, l’Uno:
‘luce (ka) che sorge dalle Acque’.
E come dalle Acque notturne, na, era nato il concetto del
negativo, allo stesso modo dalle Acque luminose sareb-
be nato il pronome interrogativo ka, per identificare l’-
‘Uno’ (chi?) o l”Ente? (che cosa?), che erano nascosti nel
profondo delle acque ricoperte dalle tenebre.
La relazione tra le Acque cosmiche, l’Uno ed il Nulla,
appare ora chiara. Il Nulla, na…, rappresenta le Acque
viste nel loro aspetto imperscrutabile mentre l’Uno, eka,
rappresenta le stesse Acque viste nel momento del sor-
gere della Luce al loro interno.
Luce ‘creatrice’, in quanto rende visibile e riconoscibile
l’intero Universo. La luce del cielo e del giorno, div, re-
sa in indoeuropeo dalla consonante d, è invece luce….
‘creata’ e sarebbe apparsa più tardi con la nascita degli
Dèi…..
(F. Rendich, L’origine delle lingue indoeuropee)