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Dialoghi con Pietro Autier 2 &
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Il giorno era trascorso come appunto trascorrono i giorni; lo avevo
passato, lo avevo delicatamente ammazzato con la mia timida e
primitiva arte di vivere; avevo lavorato alcune ore, sfogliato vecchi
libri (come una antica nostalgia), avevo avuto per due ore un dolo-
re come capita alle persone anziane, avevo preso una polverina
godendomela al pensiero che si può vincere il dolore con l’astuzia,
avevo fatto un bagno caldo sorbendomi il delizioso calore, ricevuto
tre volte la posta e scorso quelle inutili lettere e stampe, avevo fat-
to i miei esercizi di respirazione ma omesso per comodità gli eser-
cizi di pensiero, ero andato a passeggiare un’oretta e avevo trovato
disegnati nel cielo certi modelli di nuvolette delicate e preziose.
Tutto era molto bello, tanto la lettura dei vecchi libri quanto l’immer-
sione nell’acqua calda, ma tutto sommato non era stata una gior-
nata di felicità entusiasmante né di gioia raggiante, bensì una di
quelle giornate che da parecchio tempo dovrebbero essere per me
normali e comuni: giornate moderatamente piacevoli, abbastanza
sopportabili, giornate tiepide e passabili d’un uomo non più giovane
e malcontento, giornate senza dolori particolari, senza particolari
preoccupazioni, senza crucci veri e propri, senza disperazione,
giornate nelle quali si esamina pacatamente, senza agitazioni o ti-
mori, la questione se non sia ora di seguire l’esempio di Adalberto
Stifter e di esser vittime di una disgrazia facendosi la barba.
Chi ha assaggiato le altre giornate, quelle cattive (e sì che ce ne
sono state.. ma speriamo che la pace torni a regnare in questo
mondo…), quelle con gli attacchi di gotta e col mal di testa appo-
stato dietro i bulbi degli occhi, che trasforma, con diabolica stre-
goneria, ogni gioiosa attività dell’occhio e degli orecchi in una tor-
tura, o quelle giornate di lenta morte spirituale, le maligne giorna-
te di vuoto interiore e di disperazione nelle quali, in mezzo alla
terra distrutta e svuotata dalle società per azioni, gli uomini e la
così detta civiltà col suo orpello di latta mentito e volgare ti ghi-
gnano incontro ad ogni passo come un emetico concentrato e
portato nel proprio io malato all’apice dell’insofferenza: chi ha as-
saporato quelle giornate infernali si dice ben soddisfatto dei giorni
normali e così così, dei giorni come questo, e si siede riconoscen-
te presso la stufa calda, nota riconoscente, alla lettura del giorna-
le, che nemmeno oggi è scoppiata una guerra (e speriamo nem-
meno quella per il nostro comune futuro…), che non è sorta un’-
altra dittatura (ci vuole sempre una conciliante democrazia), non
si è scoperta alcuna grossa porcheria nella politica (cerchiamo
di confermare il buon vivere a tutti i livelli sociali…) e nell’econo-
mia, e con gratitudine accorda la sua lira arrugginita per intonar-
vi un salmo di grazie moderato, passabilmente lieto, quasi alle-
gro, con cui annoiare il suo Dio della contentezza, un Dio così
così, silenzioso (secondo e senza parola…) soave, un po’ inton-
tito dal bromuro, sicché nell’aria grassa e tiepida di questa noia
(e di quel Dio, sempre uguale, pregato e difeso con gli stessi
accadimenti… cacciatore di lupi per queste infinite steppe, alla
fredda parola di un Primo … Dio… silenzioso e simmetrico al
mio invisibile dire… fantasma di una neve caduta al mattino
non ancora pregato al capezzale del vostro Secondo… Dio..)
soddisfatta, della benvenuta assenza di dolore quei due, il Dio
così così, triste e appisolato, e l’uomo così così, leggermente
brizzolato e intento a cantare sommessamente il salmo, si
assomigliano come due gemelli….
Sono una bella cosa la contentezza, l’assenza di dolore, le
giornate tollerabili e accucciate nelle quali né il dolore né il pia-
cere osano alzar la voce, ma tutto bisbiglia e cammina in pun-
ta di piedi. Se non che io sono purtroppo fatto così, non sop-
porto questa contentezza, che dopo un po’ mi diventa odiosa e
insopportabile e ributtante, e devo rifugiarmi disperato in altre a-
tmosfere, possibilmente passando per vie del piacere ma, in
caso di bisogno, anche per le vie del dolore.
Quando sono stato per un po’ senza piaceri e senza dolori e ho
respirato l’insipida sopportabilità delle così dette giornate, la mia
anima infantile è talmente agitata dal vento della miseria che pren-
do la lira arrugginita della gratitudine e la scaglio in faccia al son-
nacchioso e soddisfatto Dio della contentezza e della ricchezza…
e preferisco sentirmi ardere da un dolore diabolico piuttosto che
vivere in questa temperatura sana….
(H. Hesse, Il lupo nella steppa)
(Le opere pittoriche proposte sono di: I. Shishkin)