LE SFIDE DELLA NATURA: la civiltà (migrazioni & relazioni) (7)

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Il colonnello & la gazza…. &

Religioni morale & politica…

Prosegue in:

Terza passeggiata &

Gente di passaggio…. &   Intermezzo casuale

Foto del blog:

Migrazioni & Relazioni (5)  &  (6)  &

Intermezzo casuale….

Da:

i miei libri

Una notizia:

Prediche ai familiari… 

 

 

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…. L’istruzione come l’ignoranza ha la propria criminalità, poiché

l’istruzione va considerata più come una forza che come una ra-

gione morale, forza che indirizza più al bene che al male, ma che

può altresì essere abusata, ed anche in alcuni casi tornare indif-

ferente.

Altra cosa è saper leggere e scrivere, altro il possedere il grado

necessario di moralità (ugual questione di principio per il proble-

ma della Fede, così come nel ‘Beneficio’). Le cognizioni, dice

assai bene il Seymour, il presidente delle Associazioni carcera-

rie d’America, sono una potenza, non una virtù, e possono ser-

vire al bene, ma anche al male.

 

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Gli è, ripeterò io, in altre parole, che la semplice cognizione sen-

soria della forma delle lettere o del suono onde s’intitola un og-

getto, ed anche le nozioni dei grandi progressi tecnologici e

scientifici, non accrescono di una linea il peculio della morale, e

possono, alla lor volta, invece, essere un valido strumento del

maleficio, creando nuovi crimini, che più facilmente possono

sfuggire ai colpi della legge, rendendo più affilate e più micidiali le

armi onde si servono i rei; per esempio, insegnando a servirsi del-

le ferrovie, come appresero nel 1845 per la prima volta Thiebert;

 

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oppure sofisticati strumenti tecnologici quali telefonini e telecoman-

di così come fu per Falcone; o del telegrafo e delle lettere in cifra,

come usava il veneto Fangin, che con questo mezzo segnalava ai

seguaci la corriera da svaligiare; e tutti i delinquenti, poi, addottri-

nando colla lettura dei processi, di cui sono avidissimi, sulle arti dei

loro predecessori.

Onde per cui, fra i tanti problemi ‘sociali’, uno desta più il desiderio

di una soluzione sicura e precisa: quello della influenza che esercita

la civiltà del delitto e sulla violenza e sulla pazzia.. di conseguenza.

 

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Se noi ora come all’epoca del presente prezioso e valido ancor oggi,

scritto, ci atteniamo alle nude cifre, certo il problema par bello e risol-

to, perché esse ci mostrano un aumento nel numero dei delitti e del-

le pazzie, quasi per ogni anno che corre, aumento sproporzionato a

quello della popolazione.

Una cosa è certa che la civiltà abbia la sua, criminalità specifica, ed

una n’abbia, a sua volta, LA BARBARIE.

Questa, attundendo la sensibilità morale, scemando il ribrezzo agli

omicidi – ammirati spesso come atti d’eroe – considerando la ven-

detta un dovere, diritto la forza, aumenta i delitti di sangue, le asso-

ciazioni dei malfattori, come fra i pazzi le manie religiose, la demo-

nomania, le follie di imitazione.

 

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La ‘progredita civiltà’, centuplicando i desideri ed i bisogni e facili-

tando con la maggior ricchezza gli eccitamenti dei sensi, nei mani-

comi aumenta gli alcolismi e le paralisi generali e nelle carceri i rei

contro le proprietà e contro il buon costume.

Nel 1869, la popolazione delle città nostre e grosse borgate, che

non passava i 5 milioni e mezzo, diede una quota pressoché ugua-

le di delinquenti e delinquenze a quella dei piccoli borghi che tocca-

va gli 11 milioni; né reati contro l’ordine pubblico, contro il buon co-

stume la sorpassava del doppio, mentre uguagliava, anzi le era in-

feriore, nei delitti contro le persone.

 

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Chi esamina le belle carte grafiche, pubblicate dal Bodio nell’Italia

Economica trova un parallelismo tra il numero dei delitti contro le

proprietà, la densità della popolazione, e la coltura.

Così Milano, Livorno, Venezia, Torino offrono un maggior numero di

possibilità e indi di reati contro la proprietà, per non parlare in que-

sto luogo sulla migrazione dei capitali delle mafie, e presentano la

maggiore densità della popolazione, e più scarso numero di analfa-

beti.

GLI ABRUZZI, LE CALABRIE, LA SICILIA, Roma, con molti analfabe-

ti ed ignoranti, dànno le cifre massime di reati contro le persone.

 

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Che la civiltà non possa fare di più, che essa non possa altro che

cambiare l’indole, e forse accrescere il numero dei delitti, per quanto

spiacevole, sarà facile a comprendersi, da chi ha veduto, quanto po-

co giovi alla difesa e quanto più all’offesa la progredita ‘istruzione’.

La civiltà, grazie alle ferrovie, alle concentrazioni burocratiche, com-

merciali, ecc., tende sempre ad ingrandire i grossi centri, ed a popo-

lare sempre più i capo-luoghi.

E, come è noto, è in questi, che si condensa la maggior parte dei de-

linquenti abituali. Questo malaugurato concorso si spiega per i mag-

gior profitti o le maggiori immunità che offrono ai rei i grandi centri.

 

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Chi ha studiato l’uomo, o meglio ancora se stesso prima di esamina-

re gli altri…, in mezzo ai gruppi sociali, di qualunque genere siano, a-

vrà osservato come esso sovente vi si trasforma (e questo grazie e

soprattutto ai nuovi progressi della ‘comunicazione’..), e da onesto e

pudico, che egli era e che è tutt’ora da solo e nelle pareti domestiche,

si fa licenzioso, calunniatore, beffeggiatore della comune morale civi-

le fino ad arrivare ad una sgradevole immoralità legalizzata o meglio

‘istituzionalizzata’ (questo fu un problema anche del povero Nazzare-

no con gli scribi ed i farisei suoi più vili nemici suoi più acerrimi nemi-

ci…).

 

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La civiltà accumuna delitti e pazzie (di gruppo.. l’agnello sacrificale di-

venta testimonio oltre che di comportamento sociale anche di compor-

tamento ripetuto ed elevato ad istinto ad uso per appunto della civiltà…),

ed aumenta l’uso di droghe, quasi sconosciute al selvaggio (così come

lo era l’alcool per l’incivile indiano..); tanto che vediamo adesso in Inghil-

terra ed in America aggiungersi all’abuso di alcolici anche quello dell’op-

pio….

 

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La civiltà promuovendo la creazione e diffusione dei giornali (la casta de-

gli scribi…), che hanno diffuso sempre la cronaca scandalosa, qualche

volta anzi null’altro che questa, sono una causa di eccitare l’emulazione

e l’istinto imitativo dei criminali quanto delle persone comuni.

Le leggi politiche, e le nuove forme di governo popolare, imposte dall’ir-

rompere del moderno incivilimento, ed in parte anche da una vera con-

traffazione di libertà, favoriscono, in ogni modo la formazione di sodali-

zi, sotto specie di comuni tripudi, o di imprese politiche, amministrative,

o di mutuo soccorso…..

 

(Cesare Lombroso)

 

 

 

 

 

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LE SFIDE DELLA NATURA: il colonnello & la gazza (6)

 

Precedente capitolo:

Migrazioni & relazioni (5)

Prosegue in:

Le sfide della Natura: la civiltà (7)

Passeggiate… &

Viaggi onirici: migrazioni & relazioni (23)

Foto del blog:

Migrazioni & relazioni (1)  (2)  (3)

Da:

i miei libri

 

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Il seguente fatto avvenne non si sa bene se all’indomani

o due giorni dopo la visita dell’Alta commissione forestale.

Il Procolo dopo cena passeggiava per la spianata davanti

alla casa.

Il crepuscolo stava per finire quando si udì il segnale della

gazza.

Il colonnello chiese a Vettore chi potesse arrivare a quell’-

ora.

Vettore rispose che non sapeva proprio.

Dopo venti minuti non era ancor giunto nessuno.

Fu allora che la gazza gridò per la seconda volta.

– Una volta può sbagliare ma due volte non è mai accadu-

to, notò Vettore.

Il colonnello, camminando su e giù per il prato aspettò tre

quarti d’ora, senza che comparisse alcuno. Finalmente de-

cise di andare a letto e incaricò Vettore di fare la guardia.

Erano le 21,30 quando egli spense la luce e si rivoltò con la

pancia in giù per addormentarsi. Proprio in quel momento

giunse per la terza volta il richiamo della gazza. Ma non

venne nessuno.

La voce si udì alle 22,30, alle 23,10, alle 24 in punto, all’1,40

alle 2,55 e alle 3,45.

Il colonnello ogni volta cominciava un’attesa nervosa, ri-

cacciando indietro il sonno. Ogni volta accendeva la luce,

guardava l’orologio d’oro. Alle 3,49, quando per la decima

volta giunse la voce dell’uccello, il colonnello balzò sul let-

to, si vestì, prese un fucile, con alcune cartucce e si avviò

per la strada verso l’albero della gazza.

Quella notte c’era la luna piena, appena calante.

Giunto al limite del bosco, benché ci fosse abbastanza luce,

il colonnello non capiva più se avesse o no oltrepassato la

pianta della gazza.

Ma d’un tratto, proprio sopra la sua testa, echeggiò il rau-

co richiamo dell’uccello.

Alzati gli occhi, il Procolo riconobbe, su uno dei rami estre-

mi, la gazza guardiana. Allora alzò il fucile, mirò e lasciò

partire il colpo.

Spentasi l’eco della detonazione, rimasero solo le grida

altissime della gazza ch’era stata colpita e si dibatteva sul

ramo.

Il colonnello comprese benissimo che erano feroci maledi-

zioni.

– Ne avevo abbastanza di questi stupidi scherzi. Non vo-

glio perdere il sonno per colpa tua, gridò Sebastiano Pro-

colo.

– Dieci volte hai dato il segnale questa notte e non è venu-

to nessuno.

– Vigliacco!,

gridava la gazza,

– Adesso mi hai ferita gravamente. No che non ti dirò chi

ho visto passare stanotte, no che non te lo dico.

– Un bel niente hai visto passare,

disse il colonnello.

– La prova ne è che ti sei messa a gridare anche quando

sono arrivato io, eppure venivo da casa.

– Mi ero un po’ addormentata, ti ho visto fermo qui sot-

to. Non ho capito chi fosse. Poteva ben essere qualcuno

venuto dal basso… Sarà lecito sbagliare una volta!

Intanto la gazza con molta fatica era scesa di ramo in

ramo, fino un quarto dell’altezza dell’albero. Per tenersi

diritta, ferita com’era, appoggiava le ali come puntelli,

cercando di nascondere la sua infermità.

Seguì un silenzio e poi cominciarono a udire dei piccoli

colpi regolari sulla base del tronco. Il colonnello si accor-

se ch’erano gocce di sangue che cadevano dall’alto.

– Chi era passato di qui? Per chi avevi dato il segnale?

Domandò ancora Sebastiano Procolo.

– Non te lo dico,

rispose la gazza,

– E’ inutile che tu insista.

Un altro silenzio.

Si udì ancora il ticchettio sul tronco.

– Forse è una ferita da niente,

osservò il colonnello.

– Non importa, non preoccupartene. Del resto un giorno

o l’altro volevo ben andarmene da questo posto maledet-

to. Ingenua che ero: pensavo che il mio servizio di segna-

lazioni fosse gradito. Ma il posto non lo posso soffrire.

Tutto è vecchio decrepito, tutto va in putrefazione. Mor-

ro è morto. E tu, come età, non scherzi, caro il mio signor

colonnello.

– Ti sparo un altro colpo se non la smetti,

fece Procolo irritato.

La gazza gorgogliò qualche cosa, senza che si potesse

capire.

La voce divenne ancora più opaca del solito e usciva a

stento.

– Mi hai ferita a tradimento,

disse infine la gazza.

– Forse dovrò morire. Lasciami allora dire una poesia.

– Una poesia?

– Sì,

fece la gazza con tristezza,

– E’ il mio unico svago. Solamente faccio fatica. Le rime

non mi riescono quasi mai. Naturalmente bisogna che

qualcuno mi stia a sentire, senò è inutile. Due volte sole

in quest’ultimo anno…

– Be’,

disse il colonnello interrompendola,

– Fa’ presto, allora…

Si ebbe un silenzio che lasciò udire il ticchettìo delle

gocce del sangue, oramai fioco e rado. La gazza si e-

resse con tutte le forze, puntellandosi con le ali. Alzò

la testa verso la luna. Poi si udì la sua rauca voce, con

dentro una specie di dolcezza:

 

Ricordo i giorni in cui mi dicevano:

‘Certo tu volerai molto bene

tu avrai la vita facile e lieve

molto più lunga di quelle nostre’.

 

Così dicevano i miei fratelli.

Io mi affrettavo a risponder loro:

‘Non io bensì voi diventerete

di un’abalità eccezionale…’

 

Qui la gazza si fermò, ansimando, per avvertire:

– Mi dispiace ho perso una sillaba. Accade alle volte

così, non si sa come….’

Il colonnello, con la destra, fece un indulgente segno di

tolleranza.

– Dunque,

riprese allora l’uccello,

– Eravamo rimasti…:

 

‘…Non io bensì voi diventerete

di un’abilità eccezionale.

Voi sì diventerete famosi.

Forse vi faranno monumenti.

Di me sarete molto più bravi

e morirete molto più tardi’.

 

I miei fratelli allora dicevano:

‘Perché vuoi nascondere i tuoi meriti?

Possiedi tali disposizioni

da ottenere il più grande successo’.

 

Allora fingevo d’irritarmi:

‘No fratelli, siete proprio voi

che trionferete un dì nelle Americhe

tra rosse nubi napoleoniche’.

 

Non qui finiva la discussione.

In aprile, in agosto, in settembre,

anche in dicembre, tra i freddi venti,

sempre questi eterni complimenti’.

 

– Hai fatto una rima!,

notò ad alta voce il colonnello dal basso.

– Sì,

rispose la gazza,

– Me ne sono accorta. Peccato che….

Sebastiano Procolo stava attento. Vide la testa della gazza

afflosciarsi come se fosse mancato il sostegno. Tutto il cor-

po si piegò da una parte, restò un momento in bilico e poi

cadde giù dal ramo, fino a che giacque sul terreno.

Il colonnello raccolse da terra l’uccello, lo soppesò in una

mano, lo adagiò nuovamente al suolo.

Quando egli se n’andò, la notte stava per finire.

 

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)

 

 

 

 

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LE SFIDE DELLA NATURA: migrazioni & relazioni (5)

 

Precedente capitolo:

Un nobile viaggiatore

Prosegue in:

Le sfide della Natura: il colonnello & la gazza (6)

Prima & Seconda passeggiata &

Il libretto da guida  &  La testa del lupo  (prenderò Old Club Foot!)

Foto del blog:

Relazioni pericolose (3)  & (4)

Da:

i miei libri

 

 

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I biologi che studiano i lupi sul campo condividono in larga parte una

credenza secondo la quale ai lupi piace viaggiare, spostarsi…

Anch’io lo penso, come credo che una delle ragioni per cui conser-

vare un ampio territorio sia proprio il poter disporre di spazi per viag-

giare liberamente in lungo e in largo.

Rimane molto da imparare sul modo in cui i lupi entrano in relazione

con lo spazio, su come lo occupano e quanto ne sanno. L’ululato e i

marchi odorosi sono due sistemi che i lupi sembrano utilizzare per

garantire un certo intervallo tra i branchi, tendendo quindi a distribui-

re le risorse alimentari e lo spazio individuale.

Esistono però altre e più intriganti idee al proposito…

 

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Alcune ricerche sostengono che i lupi siano capaci di spostarsi negli

spazi aperti e di intercettare mandrie di animali migratori che non pote-

vano aver visto nel momento in cui avevano intrapreso il viaggio, mo-

strando così un misterioso intuito circa la destinazione delle prede.

Sembra che i lupi sappiano con sufficiente certezza quando i caribù

sono diretti verso di loro da muoversi lungo i crocevia preferiti (che

devono ricordarsi da episodi precedenti) e preparate le imboscate.

Ricordo una volta in cui mi avvicinai a un branco nel Nelchina Basin,

nell’Alaska centromeridionale.

 

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Uno degli animali, una femmina, che era stato colpito con un tranquil-

lante dall’elicottero, andò ad accasciarsi in un fitto bosco. Per raggiun-

gerla dovemmo atterrare in una radura e trascinarci nella neve fino al-

le anche.

Nell’avvicinarmi, notai il suo aspetto assolutamente sano. Era marzo,

un periodo di carestia nell’arco dell’anno, ma la lupa aveva uno spes-

so strato di grasso lungo il dorso. Si era alimentata bene.

Quando le aprii la bocca, vidi che i canini erano stati ridotti a delle pro-

tuberanze. Doveva avere otto o nove anni. No era lei a procurarsi la

carne di cui si nutriva, e tra i lupi coloro che non contribuiscono alla

vita associata sono destinati alla morte.

Quale apporto forniva questo esemplare?

Per quanto antropomorfa fosse, non riuscivo a liberarmi dell’idea che il

suo contributo si limitasse alla sua esperienza. Era un componente del

branco, pensai, che sapeva dove trovare i caribù.

 

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I lupi si relazionano con gli animali di cui non sono predatori in modi poco

conosciuti. Alcuni, come il coyote e la lince, abbandonano l’area in cui si

trovano non appena vi si stabiliscono i lupi. Altri,  quali la volpe, il corvo o

il ghiottone, si nutrono delle carogne lasciate dai lupi, che a loro volta uti-

lizzano le tane di volpe in disuso e di altri animali per costruire la propria,

ne razziano i nascondigli e in certe occasioni si nutrono delle prede vitti-

me degli orsi.

I lupi presentano una curiosa dipendenza dai caribù in qualità di spazza-

neve. Appare chiaro che in inverno i lupi della tundra non seguono i cari-

bù e gli alci unicamente per cacciarli, ma anche perché questi grossi er-

 

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bivori aprono e appiattiscono le piste innevate. I lupi, senza queste auto-

strade, non potrebbero muoversi tra le nevi profonde delle foreste del

nord.

Sembra che i lupi intessano poche relazioni definibili a carattere sociale

con altri animali, malgrado sembrino a proprio agio in compagnia dei cor-

vi imperiali. Il corvo imperiale, con un areale ampio quanto quello del lupo,

tra cui persino la tundra, segue spesso i lupi durante la caccia per appro-

fittare dei loro avanzi.

In inverno, quando le piste sono visibili dal cielo, i corvi seguono la pista di

un branco nella speranza di trovare una carcassa. Si appollaiano sugli al-

beri circostanti o saltellano ingerendo pezzetti di neve insanguinata in atte-

sa che i lupi finiscano di mangiare e abbandonino la carogna. Il rapporto

tra i due animali, però, è più profondo, come viene illustrato dal seguente

episodio….

 

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Un branco in viaggio si fermò a riposare, quando quattro o cinque corvi im-

periali che si erano accodati cominciarono a infastidirlo. Gli uccelli si tuffa-

vano sulla testa e sulla coda dei lupi, che chinavano la testa per poi salta-

re in loro direzione.

A volte i corvi inseguivano i lupi volando radenti sopra le loro teste e, in u-

na occasione, uno di essi camminò verso un lupo sdraiato, prese a bec-

cargli la coda e poi fece un salto di lato mentre il lupo reagiva con un ge-

sto di stizza.

Quando il lupo volle vendicarsi del volatile assumendo un atteggiamento

da caccia, quest’ultimo gli concesse di avvicinarsi fino ad una trentina di

centimetri per poi volare via, atterrare qualche metro più in là e ripetere la

beffa.

 

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Sembra, così, che il lupo e il corvo abbiano raggiunto un accordo secon-

do cui ognuno è compensato in qualche modo dalla presenza dell’altro e

pienamente consapevole delle capacità altrui.

Entrambe le specie sono caratterizzate da un’alta socialità e devono quin-

di possedere i meccanismi psicologici necessari alla formazione di legami

sociali. Forse, per certi versi, gli appartenenti a ciascuna specie hanno in-

cluso membri dell’altra nel proprio gruppo sociale e con essi hanno svilup-

pato dei vincoli.

 

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Il lupo può intrattenere rapporti simili anche con altri animali; ci sono per-

sone che hanno sentito strolaghe e gufi rispondere ai loro ululati e vice-

versa.

Con gli orsi, invece, sono poche le possibilità di incontri importanti.

Nella gran parte dei casi, i lupi si scagliano sui talloni e sui fianchi dell’or-

so per allontanarlo da una carcassa o dai cuccioli, e l’orso a sua volta si

sbraccia e tenta di abbrancarli.

Alla fine, tutte le speranze del lupo si riducono a indirizzare l’orso dalla

parte giusta.

 

(B. Lopez, Lupi)

 

 

 

 

 

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LE SFIDE DELLA NATURA: l’orientamento (2)

 

Precedente capitolo:

L’orientamento (1)

Prosegue in:

L’orientamento (3/4) &  Il libretto da guida &

Pagine di Storia:  Prima  &  Seconda passeggiata

Foto del blog:

Un nobile viaggiatore (1)  &  (2)

Il libretto da guida (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

 

 Giuliano Lazzari per la sfida della Natura 19

 

 

 

 

 

La prima prova di tale ipotesi venne da un esperimento con lo

specchio.

Se la direzione di incidenza del raggio del sole sulle pareti del-

la gabbia veniva modificata dallo specchio, gli storni mutavano

in modo prevedibile la loro direzione preferenziale.

Così fu dimostrata sperimentalmente l’importanza del sole come

grandezza di riferimento per l’orientamento degli animali, la bus-

sola solare era stata scoperta.

Nello stesso periodo, il biologo von Frisch poté fornire la prova

di un orientamento analogo nelle api.

In seguito, Kramer e i suoi collaboratori approfondirono i risulta-

ti con storni addestrati a preseguire determinate direzioni, che po-

tevano quindi essere saggiati in apposite gabbie di addestramen-

to anche nei periodi non migratori.

Se il sole viene impiegato dagli uccelli come parametro, ossia come

bussola, anche il moto apparente del sole, determinato dalla rota-

zione terrestre, dev’essere tenuto in considerazione.

Il fatto che gli uccelli tengano effettivamente conto di questa traiet-

toria del sole e la compensino (ossia che posseggano il ‘senso del

tempo’) è stato dimostrato da Hoffmann, un collaboratore di Kra-

mer, su storni in gabbia, e da Schmidt-Koening sui piccioni viag-

giatori.

Gli uccelli sperimentali, se si modifica il loro ‘orologio interno’, os-

sia il periodo circadiano, mediante uno sfasamento del ritmo luce-

buio, alla fine valuteranno in modo erroneo la posizione del sole e

modificheranno di conseguenza l’orientamento.

La compensazione del moto apparente del sole si realizza quindi

mediante l’orologio interno.

I piccioni viaggiatori possono seguire il corso del sole con una pre-

cisione di circa 5 gradi.

Il parametro decisivo per l’orientamento degli uccelli in base al so-

le è l’azimut, e non l’altezza del sole; è corretto quindi parlare di bus-

sola solare-azimutale per indicare questo meccanismo di orientamen-

to, che oggi è stato provato per una decina di specie di uccelli.

Non è ancora chiaro in quale misura gli uccelli migratori utilizzino la

bussola solare nei loro spostamenti.

I pinguini la usano a quanto pare per le loro escursioni sul ghiaccio.

I piccioni viaggiatori la usano con certezza, come hanno mostrato gli

esperimenti di sfasamento dell’orologio interno; spesso ne fanno uso

fino alle immediate vicinanze della colombaia, senza fare ricorso ai

punti di riferimento visivi.

Dunque la bussola solare non è solo uno strumento per orientarsi

nei voli a lungo raggio, ma anche per ‘le necessità di ogni giorno’.

 

 

 

 

 

Giuliano Lazzari per la sfida della Natura 10

LE SFIDE DELLA NATURA: l’orientamento (1)

 

Prosegue in:

L’orientamento (2)

 

 

 Giuliano Lazzari per la sfida della Natura 9

 

 

 

 

 

Le bussole biologiche sono meccanismi che abilitano gli esseri

viventi a mantenere direzioni costanti per mezzo di sistemi di

riferimento esterni, percepiti mediante processi fisiologico-sen-

soriali.

Le bussole biologiche furono sviluppate da creature arcaiche

fin dai primi tempi della storia biologica della terra. Esse offro-

no il vantaggio di poter essere impiegate indipindentemente da

punti di riferimento visivi, per esempio in condizioni di visibili-

tà insufficienti o del tutto assenti, o in regioni sconosciute.

Gli ucclli sono dotati di almeno tre bussole.

BUSSOLA SOLARE:                                                            877767.jpg

Intorno al 1950 il biologo e ornitologo

Gustav Kramer

fece una scoperta sensazionale, che apriva

nuovi orizzonti 

alla ricerca.

Durante il periodo migratorio egli osservò che gli storni

in laboratorio, tenuti in gabbie circolari di orientamento,

esibivano il seguente comportamento: quando gli uccelli

manifestavano inquietudine migratoria durante il giorno,

con la vista del sole, tendevano in una direzione corrispon-

dente alla direzione migratoria degli storni liberi; ma se il

sole era completamente coperto, la direzione preferenziale

veniva meno.

Da questa osservazione Kramer derivò la supposizione che

il sole rappresentasse un parametro di riferimento per il loro

orientamento.

 

 

 

 

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VIAGGI ONIRICI: il correttore di bozze (19)

Precedente capitolo:

Viaggi onirici: il correttore di bozze (18)

Prosegue in:

Viaggi onirici: il correttore di bozze (20) &

Viaggi onirici: ‘lezioni di vita’ (21/22)

Foto del blog:

‘Savoir Vivre’ &

‘Savoir Mourir’

Appunti, ricordi, dialoghi….. e rime:

i miei libri

 

 

easy

 

 

 

 

  

L’avvocato non tentò di interrompere il discorso, ma continuò

a guardarsi distratto le unghie mentre Ninheimer parlava.

Poi disse, molto pacatamente:

– Però professore, considerata l’età che avete, non potreste cer-

to sperare di guadagnare nell’arco di tempo che vi resta da

vivere di più di, siamo generosi 150.000 $. Eppure state chie-

dendo al tribunale che vi conceda cinque volte quella somma.

– Il danno che ho ricevuto non si estende solo all’arco di tempo

che mi resta da vivere,

disse Ninheimer, con ancora più foga.

– Non so per quante generazioni ancora verrò additato dai so-

ciologi come esempio di …stupidità e follia. I miei studi ver-

ranno ignorati e cadranno nell’oblio. Non solo sono rovinato

fino al giorno della mia morte, il mio nome sarà infangato

anche dopo, perché ci sarà sempre gente che non crederà che

sia stato un robot ad apportare quelle modifiche al testo….

A quel punto EZ-28 si alzò. 

Susan Calvin non cercò in alcun modo di trattenerlo. 

Rimase seduta immobile, con lo sguardo fisso davanti.

Il difensore emise un lieve sospiro.

Easy parlò con voce chiara e melodiosa.

– Vorrei spiegare a tutti…..

disse,

– che sono stato effettivamente io ad apportare in certi punti

alcune modifiche alle bozze, modifiche per cui il testo sembra-

va dire proprio il contrario di quanto affermava in precedenza……

Il pubblico ministero si stupì talmente di vedere un robot alto

più di due metri rivolgersi alla corte con un discorso diretto,

che non ebbe la prontezza di opporsi subito a una procedura

chiaramente irregolare.

Quando riuscì a riprendersi dallo sbalordimento, era troppo

tardi. Perché Ninheimer si era alzato, nel banco dei testimoni,

e fissava il robot con espressione furiosa.

– Maledetto!

urlò a squarciagola.

– Ti era stato ordinato di tenere la bocca chiusa su questa…..

(Isaac Asimov, Tutti i miei robot)

 

 

 

 

easy

 

IN SENSO INVERSO

Prosegue in:

Pagine di Storia:  Se la pizzetta non avete digerito… 

Santa  Ildegarda cura lo stomaco appesantito…

Dialoghi con Pietro Autier 2:  Viaggi onirici….

Foto del blog:

Lo sbarco (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

  

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Accanto al suo gomito sul piccolo tavolo da cucina il rice-

vitore del videofono saltò dal suo sostegno sul tavolo, e

da esso venne una vocina acuta e lontana.

– Addio, Doug.

Una voce di donna.

Portando il ricevitore all’orecchio lui disse:

– Addio.

– Ti amo, Doug,

disse Charise McFadden con la sua voce quasi senza

fiato, piena di emozione.

– Tu mi ami?

– Sì, anch’io ti amo,

disse lui.

– Quando ci vediamo? Spero presto. Dimmi che ci vedremo

presto.

– Probabilmente stasera, rispose Charise. Dopo il lavoro.

C’è qualcuno che voglio farti conoscere, UN INVENTORE vir-

tualmente sconosciuto che ha bisogno disperato di avere una

cancellazione ufficiale della sua TESI su, ahem, L’ORIGINE

PSICOGENA DELLA MORTE PER INVESTIMENTO DA ME-

TEORA. Gli ho detto siccome tu sei nella sezione B….

– Digli di cancellarsi da solo la sua tesi. A sue spese.

– Ma non è per niente prestigioso! Il volto di lei sul videoscher-

mo era implorante.

– Si tratta veramente di una TEORIA PAZZESCA. Doug è com-

pletamente folle. Questo gonzo, questo Lance Arbuthnot…

– Si chiama così? Quel nome aveva quasi convinto Appleford ad

accettare, ma non del tutto.

Ogni giorno riceveva numerose richieste di questo tipo, e ognu-

na di esse, senza eccezione, veniva rappresentata come una teo-

ria pazzesca di un inventore eccentrico con un nome buffo.

Lavorava alla sezione B da troppo tempo per farsi fregare così

facilmente. Eppure doveva approfondire questo caso: la sua strut-

tura etica, la sua responsabilità nei confronti della società glielo

imponevano.

Sospirò.

– Ti ho sentito gemere,

disse subito Charise.

Appleford ribatté.

– Accetto, purché non sia uno della LMN.

– Be’…. è proprio così. La voce e il volto di Charise assunsero

un’aria di colpevolezza.

– Però penso che l’abbiamo sbattuto fuori. Ecco perché si trova

Los Angeles e non là.

Alzandosi in piedi, Douglas Appleford disse freddamente:

– Ciao, Charise. Ora devo andare al lavoro. Non voglio e non

posso discutere ulteriormente di queste CAZZATE.

E questo, per quanto lo riguardava, segnava la parola fine.

Almeno così sperava.

Rientrando nel suo appartamento alla fine del giro, l’agente

Joe Tinbane trovò sua moglie seduta al tavolo della colazione.

Imbarazzato, distolse lo sguardo fino a quando lei lo notò e

finì rapidamente di riempire la sua tazza di caffé scuro bollente.

– Vergogna,

disse Bethel in tono di rimprovero.

– Avresti dovuto bussare alla porta della cucina. Con grande di-

gnità, lei poggiò attentamente la bottiglia di succo d’arancio nel

frigorifero e rimise nella dispensa la scatola ora quasi piena di

Happy-Oats.

– Me ne andrò tra un minuto. Il mio impulso a denutrirmi ora è

quasi sazio. A ogni modo, non si affrettò.

– Sono stanco disse lui, sedendosi.

Bethel gli mise davanti delle scodelle vuote, un bicchiere, una

tazza e un vassoio.

– Indovina cosa dice oggi il giornale, disse mentre si ritirava

discretamente nella sala in modo che anche lui potesse rimet-

tere.

– Quel delinquente fanatico di Raymond Roberts sta arrivando.

In pellegrinaggio.

– Hmm, disse lui, godendosi il caldo gusto liquido del caffé men-

tre lo rimuginava nella sua stanca bocca.

– Il capo della polizia di Los Angeles prevede che quattro milioni

di persone verranno a vederlo.

Lui celebrerà il sacramento della Unificazione Divina al Dodger

Stadium, e naturalmente verrà tutto trasmesso dalla TV fino a

quando non saremo tutti fuori di testa. 

Ventiquattr’ore su ventiquattro…. questo dice il giornale. Non

me lo sto inventando.

– Quattro milioni,

le fece eco Tinbane, pensando, da professionista,

– a quanti agenti antisommossa ci sarebbero voluti per tenere a

bada una folla simile, così tanta gente. Tutti gli agenti del corpo,

comprese le pattuglie aree e le riserve.

Gemette tra sé: che lavoro!

– I suoi seguaci prendono quelle droghe, disse Bethel, per rag-

giungere l’Unificazione; qui sul giornale c’è un lungo articolo che

lo spiega. 

– Hanno dei corridoi e strade preferenziali per distribuirle.

La droga è un derivato del TNT; qui è illegale, ma quando Rober-

ts celebrerà il sacramento gliela lasceranno prendere, a lui e a tutti

gli altri.

Perché le leggi della California dicono che…

– So bene cosa dicono, nessuno si può opporre altrimenti viene e-

liminato da quelli del TNT.

– So bene che poi li mandano in vacanza per far svolgere meglio il

lavoro ad altri…

– Dicono che una droga psichedelica può essere assunta in una ce-

rimonia religiosa celebrata in buona fede, sono sempre in buona

fede.

Bethel riprese:

– Ho una mezza idea di andare. E partecipare. E’ l’unica occasio-

ne, a meno che non vogliamo fuggire nella, ugh, Libera Munici-

palità Negra. E sinceramente non ho  molta voglia di farlo.

– E vacci, disse lui, vomitando felicemente cereali, pesche scirop-

pate e latte zuccherato, nell’ordine.

– Vuoi venire? Sarà eccitante.

– Pensa migliaia di persone fuse in un’unica entità….

(P. K. Dick, osrevni osnes ni)

 

 

  

 

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IL DISCORSO DI ANTIOCHIA (4)

Eretico, gnostico…. ed apostata:

una lettera

Prosegue in:

(o Misopogon) &

Dialoghi con Pietro Autier 2:  il cimitero di guerra &

gli occhi di Atget:  la persecuzione 

Foto del blog:

Misopogon (1) &  (2)

Da:

i miei libri

 

 

 

 

Il poeta Anacreonte compose molti canti gradevoli;

infatti, ebbe in sorte dalle Moire di vivere beatamente;

invece il dio non concesse né ad Alceo né ad Archiloco

di Paro di volgere la musa alle gioie e ai piaceri, ora 

per motivo ora per un altro, a vivere con fatica, per

questo si servirono della poesia: per rendere più leg-

gero a sé stessi quanto mandava il cielo con l’invetti-

va contro chi recava loro ingiustizia.

A me, però, la legge proibisce, come se non erro anche

a tutti gli altri, di accusare per nome chi cerca di esser-

mi ostile senza aver ricevuto alcuna ingiustizia, men-

tre il tipo di educazione, che oggi prevale tra i liberi,

impedisce il canto in versi……

 

 

 

 

 

il discorso di antiochia

   

GIULIANO IMPERATORE (il nemico della barba e i nemici della storia) (3)

 

Prosegue in:

Pagine di storia &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

 

 

la biblioteca

 

 

 

 

Nel cuore della fortezza vi era una sorgente.

Protetta da una doppia porta, era la biblioteca.

Le volte che riuscivo ad entrare, in piedi, accostato a un ripiano

leggevo a grandi sorsi, alla luce che entrava da una finestrella,

il profilo aguzzo dei monti in lontananza.

Erano larghi i fogli delle Scritture sacre ai galilei, fitti i trattati

di Origene e Dione Crisostomo, ritmate le invettive di Tertul-

liano.

Sotto di essi spianavano, nascondendogli al primo rumore di

passi, i messaggi dell’antico, che chissà come, forse per presun-

zione o noncuranza, erano finiti in quel luogo. 

Oppure era lo stesso vescovo Giorgio che, magnanimo nel suo

risentito senso di vittoria, considerava innocui sperdimenti e 

vanità del pensiero certe opere pagane.

Leggevo, e leggevo.

Il resoconto terroso di Esiodo, lo scintillare malinconico di Pla-

tone, soprattutto il canto di Omero; nei suoi poemi antravede-

vo un mondo dove si componevano in una superiore serenità

ingiustizia e violenza.

Il mondo come sarebbe dovuto essere.

Finché un giorno scoprii un’opera mutilata di Giamblico il

Caldeo, che in seguito seppi discepolo di Plotino.

M’immersi in quella lettura.

Presto le parole divennero uno scorrere fluido: quello era un

cibo che rimandava a un sapore misterioso, già gustato chissà

quando, chissà dove, la cui reminiscenza era, pur nella difficol-

tà dei termini, un annuire amico.

Erano parole balsamiche, era la Parola.

Essa si spande come un flutto privo di peso, come una nuvola

benefica che cala giù dalla montagna.

Il sole è basso all’orizzonte, eppure un fascio di luce penetra

ancora attraverso la finestra.

Mi alzo.

Mi affaccio.

 

la biblioteca

 

Un volo di uccelli muto, geometria di spirali, gli angeli si presen-

tano al giudizio di Dio, al tramonto.

Nel cortile sottostante chiuso fra quattro mura i servi hanno ac-

ceso un braciere.

Il dono di Promoteo agli uomini, quel fuoco materiale, immagine

dell’altro, luminosissimo che è la ragione, luce riflessa e specchio

dell’anima.

Sento di sentire, sensazione lancinante.

L’anima, questo frammento di natura divina che la luce del sole

avverte: la tua dimora è in cielo.

Tra poco mi avvolgerà la conoscenza, tra poco.

Uno splendore emana dal sole, sorgente della vita da un estre-

mo all’altro dell’universo: la luce.

Essa agisce, il vuoto chiama il pieno, l’assenza la presenza, il

principio e la fine delle cose si congiungono.

La benda che avevo davanti agli occhi è caduta.

Quasi sei anni d’esilio sono passati, ed io non sono più un fan-

ciullo.

Altri se ne aggiungeranno.

Molto scriverai, molte rime comporrai.

Eppure esito.

Mi muovo a tentoni.

Col piede inciampo nel tripode che in mezzo alla biblioteca

rende accogliente la lettura nel gelo dell’inverno.

Delle ombre mi perseguitano, i delatori di Costanzo.

Uno stordimento, quasi un sospetto.

Un membro della dinastia reale, nella sua dimora terrena…il

Dio vaga, gli uomini lo vegliano…da lontano.

Tramano, come sempre hanno fatto.

Vorrebbero barattare il proprio nome con quello….

Vogliono confondere…

Eppure, un sapore di vittoria sale da quelle pagine: non sono io

che devo andare verso gli Dèi, sono loro che devono venire a me,

nella potenza di un’immagine: il sole.

Il Sole.

Solo lui può spiegarmi il mondo.

Solo la luce e il suo opposto può svelarmi il vero.

Solo il buio profondo può svelare la luce interiore….

(L. Desiato,  Giuliano L’Apostata)

 

 

 

 

 

la biblioteca

      

MISOPOGON (il nemico della barba e i nemici della storia) (2)

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Prosegue in:

Pagine di storia &

Dialoghi con Pietro Autier 2 &

gli occhi di Atget

 

 

 

 

 Quanta ipocrisia!

Dici di non essere padrone e non sopporti di farti chiama-

re così, ti sdegni a tal punto che hai già persuaso la mag-

gior parte di noi, da lungo tempo abituata a rimuovere

come odioso questo nome del comando; TUTTAVIA ci

costringi poi a essere SCHIAVI DEI MAGISTRATI e del-

le leggi.

Certo, quanto sarebbe meglio che ti chiamassimo padro-

ne, ma che di fatto ci lasciassi liberi, tu mitissimo nei no-

mi, durissimo invece nei fatti.

Tu ci tormenti, inoltre, imponendo che i ricchi non com-

mettano abusi nei tribunali, e impedisci ai poveri di ca-

lunniare.

Allontanando le compagnie teatrali, i mimi e i ballerini,

hai mandato in rovina la nostra città, così da te non ci

viene alcun bene se non la pesantezza; sopportandola

ormai da sette mesi, da un lato per liberarci completa-

mente di questo malanno abbiamo fatto ricorso alle

preghiere delle vecchiette che si aggirano tra le tom-

be, d’altro canto abbiamo ottenuto lo stesso con le no-

stre facezie, trafiggendoti con gli scherni come con

saette.

E tu, valoroso, come sopporterai i dardi dei Persiani,

tu che hai tremato di fronte ai nostri scherni?

Ecco, per l’appunto, voglio diffamarmi di nuovo, pren-

dendo altre mosse: Ci vai spesso nei templi, misantro-

po, screanzato, odioso in tutto.

Per te le moltitudini accorrono nei santuari, e anzi an-

che la maggior parte dei magistrati, e nei santuari ti

accolgono con acclamazioni e applausi, splenditamen-

te, come a teatro.

Perché, dunque, non li hai cari e non li elogi, ma in que-

ste cose pretendi di essere più saggio del dio pitico, e ar-

ringhi la folla, e rimproveri quelli che  gridano….

(Giuliano Imperatore, Misopogon)

 

 

 

 

 

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