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L’anno dopo, a febbraio…, verso il 9 se ricordo bene, la riserva inviò
un distaccamento speciale sull’Erinat, e ne assegnò la guida sempre
allo stesso Danil Molokov, felicemente tornato dalla guerra.
Il diciottenne Tigrij Dul’kejt faceva parte del distaccamento.
– Ci incamminammo col pensiero di convincere i Lykov ad abbandonare
l’eremo, per non rovinare i figli.
Colto dalle tempeste in punti inaccessibili delle montagne per ben due
volte il distaccamento si trovò sull’orlo della catastrofe, eppure riuscirono
a raggiungere l’izba.
Era vuota.
Dall’aspetto era chiaro che i Lykov se ne erano andati subito dopo aver
accompagnato il distaccamento. Avevano portato le loro carabattole.
In una fossa era però rimasta parte delle patate e delle rape.
– Eravamo convinti che sarebbero tornati per le patate.
Scrissi su un grosso foglio, a stampatello, che eravamo venuti e feci il
nome di Molokov. Scrissi quale fosse lo scopo del distaccamento.
Esortavamo i genitori ad avere compassione dei figli, a tornare.
Dicemmo che non avremmo fatto loro nulla di male.
Capivamo che non potevano essere andati lontani.
Ma trovare nella taiga gente che voglia nascondersi è una faccenda
difficile, non esente da pericoli. Allargai le braccia: che vivano pure
come gli pare.
Il resto è noto.
I Lykov, agitati dalla comparsa degli uomini, se ne andarono subito
dopo avere raccolto le patate.
Si spostarono più in basso lungo il corso dell’Abakan, ma non si stabilirono
vicino al fiume, si insediarono bensì un po’ più in alto sul fianco del monte,
e scelsero un punto vicino a un ruscello.
Là iniziò la loro singolar tenzone con la natura al fine di sopravvivere,
durata trent’anni in segreto.
Tutti questi anni Agaf’ja li definisce di fame. L’orto esposto al Nord li
nutriva male.
– Mangiavamo foglie di sorbo, radici commestibili, erbe, funghi, steli di
patate, corteccia.
Avevamo sempre fame.
Ogni anno deliberavamo se mangiare oppure lasciare per la seminagione.
Nel 1958 degli escursionisti che scendevano lungo il corso dell’Abakan
videro inaspettatamente un uomo barbuto con la canna da pesca.
– Un uomo ben piantato. E accanto, sul mucchietto di rami di abete,
c’era una vecchietta magra, tutta curva, una reliquia vivente.
Dal capo ell’escursione i gitanti appresero che da qualche parte lì vicino
doveva esserci l’eremo dei Lykov, e indovinarono di dovere avere davanti
proprio Akulina e Karp, gli ‘eremiti’.
Alle domande sui loro figli essi risposero:
– Alcuni sono con noi, altri se ne sono andati.
Non riuscirono a fare una grande conversazione.
Gli abitanti della taiga erano palesemente preoccupati di essere stati sorpresi.
Al tempo dell’incontro con i geologi la famiglia era già talmente sfinita dalla
lotta per la sopravvivenza che non aveva più voglia di seppellirsi lontano dagli
uomini, e accettò mite i dettami del destino.
(Vasilij Peskov, Eremiti nella taiga)
(Le tre foto sono opera del curatore del blog, eremita …nella taiga….)