BAMIYAN

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Dopo alcuni giorni trascorsi fra le ricche contraddizioni di Kabul

partimmo per


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il nostro primo viaggio. Ci recammo nell’Hindukush, a Bamiyan, il più

famoso sito buddhista afghano.

Avevo letto i testi buddhisti, mi incuriosivano le origini dell’arte bud-

dhista e ho un’autentica passione per i monasteri in rovina.

Sotto molti aspetti, almeno agli inizi del loro sviluppo storico, bud-

dhismo e cristianesimo sono fenomeni del tutto paralleli. Ero assillato

da pensieri niente affatto impersonali (oltre che da una giovane ed

inesperta per quanto adolescenziale guida, tutrice, interprete, non-

ché spia. Talvolta faceva anche da psicologa volendo ‘penetrare’ a

forza sentimenti e stati d’animo, impressioni e altro. 

Ma la lasciammo venire con noi, dandogli l’illusione di contare

qualcosa, la sapevamo asservita e cultrice del potere, lo ammirava

idolatrava, venerava, di qualsiasi forma ed ispirazione fosse, l’im-

portante che l’etichetta della bevanda con cui si dissetava ogni

giorno portasse su scritto, ‘potere ascoltare prima dell’uso’.

Potere in un mondo dove le donne contano meno del bestiame…).

Né buddhisti né i cristiani, a quanto ne so, hanno mai convertito

una popolazione nomade, forse neppure l’Islam.

Quando il buddhismo si diffuse in Afghanistan le invasioni delle

tribù nomadi erano ancora lontane; è vero il buddhismo si conso-

lidò e mise radici sotto l’impero Kushana, ma i Kushana, cugini dei

parti, a quel punto erano già diventati stanziali e permissivi.

Pare che la dottrina di Siddharta Gautama non sia mai riuscita a

spingersi a ovest nel regno dei parti o nel rinato impero persiano

dei sassanidi, dove i buddhisti non avrebbero dovuto competere

con il paganesimo, bensì con un culto monoteista del fuoco, con

l’ebraismo e con il cristianesimo ortodosso e nestoriano.


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Buddhismo e nestorianesimo arrivano in Cina, mentre il culto del

fuoco e il buddhismo coesistettero nell’impero Kushana; eppure, a

quei tempi, buddhismo e cristianesimo si sfiorarono appena lungo

le piste commerciali, e nessuno dei due riuscì a insinuarsi nelle du-

re religioni tribali dei nomadi.

Sia i mongoli sia gli arabi invasori erano monoteisti di una certa

purezza e ferocia; è molto difficile scindere il loro spirito intransi-

gente dalla vita disagevole che conducevano, ma credo che se mai

verrà scritta una storia del monoteismo, cioè se mai si potrà dare

una vera spiegazione storica del suo sviluppo, allora si vedrà che

la fede monoteista rappresenta uno stadio particolare dello svilup-

po umano che si è meravigliosamente preservato, e che deve puri-

ficarsi di continuo per sopravvivere.

Forse, alle sue origini, il monoteismo ha più a che vedere con il

cielo reale e con l’idea di una giustizia fatta soltanto di luce e te-

nebra, piuttosto che con qualsiasi istituzione politica.

Gli insegnamenti di Siddharta Guatama sono puri come neve ap-

pena sciolta.

Era un santo della filosofia, come Socrate ed Epicuro; la vita del

Buddha e quella di Socrate si svolgono nell’arco degli stessi cent’-

anni.


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Il culto del buddhismo dei primordi era molto rarefatto; il Buddha

era un grande maestro venerato per i suoi insegnamenti, proprio

come Socrate in Occidente: il buddhismo di questo periodo può es-

sere studiato solo attraverso iscrizioni e testi letterari.

Ma la venerazione diede origine al pellegrinaggio.

Dal III secolo a.C. in poi si moltiplicarono i monumentali tumuli

cupola edificati per custodire reliquie del Buddha di sempre più

dubbia autenticità, e a partire dalla nascita di Cristo si affermarono

varie ondate di arte figurativa in qualche modo grecizzante; il bud-

dhismo era diventato una religione popolare piuttosto tollerante

verso le superstizioni.

I principali luoghi del pellegrinaggio erano i tumoli a cupola

(gli stupa) e i decoratissimi monasteri.

Forse i monasteri meglio conservati si trovano nella Cina nordoc-

cidentale, ma anche quello di Bamiyan, in Afghanistan, è un com-

plesso di vaste proporzioni e di grande interesse archeologico.

E’ costituito da più colonie di centinaia di celle scavate nelle pareti

rocciose, con due o tre statue colossali alloggiate in altrettante nic-

chie.

(Peter Levi, Il giardino luminoso del re angelo)

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