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Omero: Odissea, 13, 102-112 :
” In capo al porto vi è un olivo dalle ampie foglie:
vicino è un antro amabile, oscuro,
sacro alle Ninfe chiamate Naiadi;
in esso sono crateri e anfore
di pietra; lì le api ripongono il miele.
E vi sono alti telai di pietra, dove le Ninfe
tessono manti purpurei, meraviglia a vedersi;
qui scorrono acque perenni; due porte vi sono,
una, volta a Borea, è la discesa per gli uomini,
l’altra, invece, che si volge a Noto, è per gli dèi
e non la varcano gli uomini, ma è il cammino degli immortali”.
……Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverne al cosmo
considerato nella sua totalità o nelle sue parti, poiché facevano della terra il
simbolo della materia di cui il cosmo è costituito (per questo motivo alcuni
identificavano terra e materia) e d’altra parte gli antri rappresentavano per loro
il cosmo che si forma dalla materia: essi infatti, per la maggior parte sono di
formazione spontanea e connaturali alla terra, circondati da un blocco uniforme
di roccia, che internamente è cava e all’esterno si perde nella infinita illimitatezza
della terra.
Il cosmo d’altra parte è di formazione spontanea ed è connaturale alla materia,
che gli antichi designavano enigmaticamente pietra e roccia per il fatto che appare
inerte e ostile alla forma, e la consideravano infinita per il suo essere amorfa.
Poiché la materia è fluida, priva in sé della forma che la modella e le conferisce
apparenza, gli antichi, come simboli delle qualità insite nel cosmo in virtù di
essa, accolsero l’acqua che sgorga e trasuda dagli antri la tenebrosità e, come dice
il poeta, l’oscurità.
A causa della materia, quindi, il cosmo è oscuro tenebroso, ma è bello e amabile
per l’intrecciarsi delle forme che lo adornano, per le quali è chiamato cosmo.
Pertanto è giusto dire che l’antro è amabile non appena vi si entra per il fatto che
esso partecipa della forma ma, per chi esamina le sue profondità e le penetra con
l’intelletto, è oscuro; quindi, ciò che è all’esterno e in superficie è amabile, ciò che
è all’interno e in profondità è oscuro.
Così anche i Persiani danno il nome di antro al luogo in cui durante i riti introducono
l’iniziato al mistero della discesa delle anime sulla terra e della loro risalita da qui.
Eubulo testimonia che fu Zoroastro il primo a consacrare a Mitra, padre e artefice
di tutte le cose, un antro naturale nei vicini monti della Persia, ricco di fiori e fonti:
l’antro per lui recava l’immagine del cosmo di cui Mitra è demiurgo, e le cose situate
nell’antro a intervalli calcolati erano simboli degli elementi cosmici e delle regioni del
cielo.
(Porfirio, L’antro delle Ninfe, 5/6)
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