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Devastando in maniera cieca e vandalica la natura che la
circonda e da cui trae il suo nutrimento, l’umanità civiliz-
zata attira su di sé la minaccia della rovina ecologica.
Forse riconoscerà i propri errori quando comincerà a sen-
tirne le conseguenze sul piano economico, ma allora, mol-
to probabilmente, sarà troppo tardi.
Ciò che in questo barbaro processo l’uomo avverte di me-
no è tuttavia il danno che esso arreca alla sua anima.
L’alienazione generale, e sempre più diffusa, dalla natura
vivente è in larga misura responsabile dell’abbrutimento
estetico e morale dell’uomo civilizzato.
Come può un individuo in fase di sviluppo imparare ad
avere rispetto di qualche cosa, quando tutto ciò che lo cir-
conda è opera, per giunta estremamente banale e brutta,
dell’uomo?
In una grande città i grattacieli e l’atmosfera inquinata dai
prodotti chimici non permettono nemmeno più di vedere
il cielo stellato.
Non c’è perciò da stupirsi se il diffondersi della civilizza-
zione va di pari passo con un così deplorevole deturpa-
mento delle città e delle campagne.
Basta confrontare con occhi spassionati il vecchio centro
di una qualsiasi città con la sua periferia moderna, oppu-
re quest’ultima, vera lebbra che rapidamente aggredisce
le campagne circostanti, con i piccoli paesi ancora intatti.
Si confronti poi il quadro istologico di un tessuto organi-
co normale con quello di un tumore maligno, e si trove-
ranno sorprendenti analogie!
Se consideriamo obiettivamente queste differenze e le e-
sprimiamo in forma numerica anziché estetica, constate-
remo che si tratta essenzialmente di una perdita di infor-
mazione.
La cellula neoplastica si distingue da quella normale
principalmente per aver perduto l’informazione genetica
necessaria a fare di essa un membro utile della comunità
di interessi rappresentata dal corpo.
Essa si comporta perciò come un animale unicellulare o,
meglio ancora, come una giovane cellula embrionale: è
priva di strutture specifiche e si riproduce senza misura e
senza ritegni, con la conseguenza che il tessuto tumorale
si infiltra nei tessuti vicini ancora sani e li distrugge.
Tra l’immagine della periferia urbana e quella del tumo-
re esistono evidenti analogie: in entrambi i casi vi era uno
spazio ancora sano in cui erano state realizzate una molte-
plicità di strutture molto diverse, anche se sottilmente dif-
ferenziate fra loro e reciprocamente complementari, il cui
saggio equilibrio poggiava su un bagaglio di informazio-
ni raccolte nel corso di un lungo sviluppo storico; laddove
nelle zone devastate dal tumore o dalla tecnologia moder-
na il quadro è dominato da un esiguo numero di strutture
estremamente semplificate.
Il panorama istologico delle cellule cancerogene (dannose),
uniformi e poco strutturate, presenta una somiglianza di-
sperante con la veduta aerea di un sobborgo moderno con
le sue case standardizzate, frettolosamente disegnate in
concorsi lampo da architetti privi ormai di ogni cultura.
Gli sviluppi di questa competizione dell’umanità con se
stessa esercitano sull’edilizia un effetto distruttivo.
(Prosegue…)
(K. Lorenz, Gli otto peccati capitali della nostra civiltà)
(Fotografie di: A. Sergeev)