NEGLI STESSI ANNI

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hanno sparato

al presidente

 

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…..Alle cinque c’è una grande conferenza stampa che non

dimenticherò mai.

Sulle prime procede bene nel salotto della mia suite.

Ci sono venti o trenta uomini e donne della stampa e Billy

Strayhorn va avanti e indietro da una stanza all’altra.

Dopo un’oretta in cui tutto scorre liscio, esce da un angolo

un tale con occhi da serpente.

 

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– Perché,

mi domanda,

– gli Stati Uniti non sovvenzionano gli artisti come fa la

Russia?

– Non credo di capire la domanda,

rispondo.

– La Russia, per dire, sovvenziona il balletto.

– Credo sia perché il balletto è un’arte classica, vecchia di

secoli, o almeno così mi pare, ed è dunque necessario che

venga sovvenzionata. Negli Stati Uniti la competizione è

tutto, e il ritmo è così frenetico che artisti, scienziati e com-

pagnia bella sono tutti intenti a fare nuove scoperte a cre-

are sempre qualcosa di nuovo (non campano di sovvenzio-

ni….o di…).

 

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Credo di essermela cavata, e da lì passo a spiegare che sa-

rebbe molto difficile fare paragoni tra gli Stati Uniti e altri

paesi del mondo, visto che parliamo lingue diverse e abbi-

amo valori diversi.

– …. E della questione razziale che mi dice?

  – Di nuovo, stessa cosa,

rispondo.

– Dovunque ci sono diversi livelli di abbienti e meno ab-

bienti, di minoranze, razze, fedi religiose, colori e caste.

Ma a questo punto Billy Strayhorn ne ha abbastanza.

Si fa avanti nella camera ed esclama, rivolto ai giornali-

sti:

– Pensavo che questa conferenza stampa avesse a che fa-

re con la musica!

 

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Prende e se ne va.

Dopo una pausa io continuo:

– Gli Stati Uniti hanno un problema di minoranze. I neri

sono uno dei numerosi gruppi di minoranze, ma la base

del problema è un fatto economico più che di colore del-

la pelle.

 

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…Ma proseguiamo il viaggio…..

Oltrepassiamo il Forte Rosso e vedo tante scimmie sui

tetti. Ci fermiamo a parlare con un gruppo di himalayani

che sono giunti a Nuova Delhi e siedono ai lati della stra-

da, quieti e composti.

Hanno degli interessanti articoli himalayani da vendere

e compriamo alcuni dei loro lavori. Andiamo avanti ver-

so un negozio controllato dal governo pieno di broccati

di seta, scialli di cashmere, tessuti stampati, gioielli primi-

tivi. Ci sono smeraldi grezzi, zaffiri, perle e un posto in-

credibile dove hanno rubini di ogni grandezza e colore,

alcuni grandi come uova di piccione.

Visitiamo tutto l’edificio che ha parecchi piani e molte

stanze vuote. In una stanza gli artigiani lavorano l’avo-

rio, molto seri e con evidente amore per quello che fan-

no. In un’altra stanza lavorano il legno di sandalo.

Alla fine della lunga visita arriva la ‘piece de résistan-

ce’, o quello che possiamo chiamare il finale del primo

atto……

(D. Ellington, L’autobiografia)




 

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INTANTO IN EUROPA (la prima sconfitta)

 


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La grande guerra aveva illuminato di luce cruda e improvvisa

il declino economico dell’Europa rispetto agli Stati Uniti.

Prima potenza economica mondiale già nel 914, gli USA accele-

larono il ritmo del loro sviluppo; centro propulsore, essi promos-

sero la prosperità degli anni 925-929 e la grande crisi del 929-33.

E furono ancora essi che, decidendo di risolvere la crisi con i pro-

pri mezzi, anziché ricorrendo a una collaborazione internaziona-

le, contribuirono più di ogni altra forza alla compartimentazione

economica del mondo, che costituisce la regola dopo il 1933.

Quando il 6 aprile 917, gli Stati Uniti erano entrati in guerra, l’In-

tesa era finanziariamente a terra. Gli alleati avevano ottenuto

prestiti privati americani, ma il loro credito era pressoché annien-

tato.

 

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Nell’aprile del 917, una legge votata al Congresso diede loro modo

di attingere al Tesoro americano, e su scala ben maggiore.

Ma si tratta di un fatto meno importante di un altro fenomeno: nel

914, gli investimenti americani all’estero ammontavano a 2.500 mi-

lioni di dollari e gli investimenti europei negli USA erano di 4.500-

5.000 milioni di dollari.

Ma, grazie alle loro immense forniture all’Intesa, gli americani vi-

dero riassorbirsi a loro profitto buona parte dei capitali europei in-

vestiti, mentre dal canto loro si trovarono in grado, grazie agli e-

normi benefici accumulati, di investire all’estero oltre 9.000 milio-

ni di dollari. 

 

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Che gli Stati Uniti si fossero notevolmente arricchiti durante la

guerra ci è rivelato anche da altre cifre, precisamente quelle re-

lative al prodotto nazionale e all’incremento della domanda di

beni di consumo.

Ebbe insomma luogo un vero e proprio boom economico, l’aspet-

to più spettacolare del quale fu l’incremento dei beni di consumo

durevoli, come automobili, case, frigoriferi e apparecchi radio, e

si raggiunse così quello che Walt Rostow definisce ‘alto consumo

di massa’, grazie al quale gli americani superarono gli europei

per tutti i beni personali. 

 

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Certo la miseria continuò a essere retaggio di vasti gruppi della popo-

lazione, e inoltre i patner commerciali degli USA ricavarono relativa-

mente scarsi benefici dall’espansione; ma ciò non toglie che una nuova

forma di vita umana facesse la propria comparsa, e che ad essa gli eu-

ropei guardassero con un misto di invidia ed ironia. 

 

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Grazie a questa prospettiva e preponderanza, fino al 929 gli USA

imposero la propria volontà sul mercato finanziario internaziona-

le, nel quale, dopo il 29, esportarono la crisi e i suoi disastri.

Per comprendere a fondo il sistema, che ebbe corso in quei anni,

bisogna prendere le mosse dai grandi debiti interstatali causati

dalla guerra, in primo luogo ‘le riparazioni tedesche’, il cui prin-

cipio era stato imposto dal trattato di Versailles.

 

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Una seconda categoria comprendeva i debiti che i paesi dell’Intesa

avevano contratto reciprocamente e soprattutto verso il Tesoro de-

gli USA.

L’ammontare delle ‘riparazioni’ tedesche fu fissato solo dallo ‘stato

dei pagamenti’ del 1° maggio del 921 e risultò di 126 miliardi di mar-

chi d’oro.

Cifra illusoria, essendo rappresentata simbolicamente da obbliga-

zioni A, B e C, e che era un mezzo grossolano per nascondere ai

francesi ossessionati dallo slogan ‘la Germania pagherà’ che in

effetti si rinunciava a 76 miliardi sui 126 dovuti. 

I creditori principali erano la Francia, l’Inghilterra, l’Italia e il

Belgio in ordine decrescente.

I tedeschi, unanimamente ostili alle ‘riparazioni’, esitavano tra

due politiche: il rifiuto e l’adempimento. Nel 921, gli alleati prati-

carono una politica di ricostruzione, e il piano Dawes del 924, la

cui durata era prevista in cinque anni, fissava i pagamenti che

la Germania avrebbe dovuto effettuare in rate annuali da 1 a 2,5

miliardi di marchi d’oro, il cui trasferimento in divise non sareb-

be più stato compiuto dalla Germania, bensì da un ‘agente gene-

rale delle riparazioni’ con sede a Berlino.



 

 

 

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NEGLI STESSI ANNI (leggende del West: Butch Cassidy & Sundance Kid)

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Come gli dei dell’Olimpo, i fuorilegge del vecchio West occupano i posti

più alti della mitologia americana.

Proprio perché Butch Cassidy e Sundance Kid vissero in tempi così vicini

a noi, prima del 1969 erano poco più di due semidei. Quell’anno uscì un

film su di loro che fece nascere un vero e proprio caso ed alimentò la

curiosità attorno a Butch, Sundance e la loro banda (qualche anno più

tardi avverrà la stessa cosa con ‘Pat Garrett & Billy the Kid); tanto che

in poco tempo diventarono detentori del posto d’onore nell’Olimpo dei

fuorilegge americani.


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Quando Butch e Sundance si incontrarono per la prima volta avevano

trent’anni; uno era cresciuto nello Utah, l’altro nel Wyoming. Finché non

diventarono adulti usarono i loro veri nomi.

Butch all’anagrafe era Robert LeRoy Parker, nato il 13 aprile 1866 nei

pressi di Beaver, nello Utah.


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Sundance si chiamava Harry Longabaugh. Le sue origini non sono certe.

Alcune fonti lo dicono nato a Plainfield, nel New Jersey, altre nella contea

di Lancaster in Pennsylvania. La sua data di nascita oscilla tra il 1866 e il

1870.


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Dal dossier dell’Agenzia Investigativa Nazionale conservato a Pinkerton,

risultava aver rubato un cavallo, da ragazzo, ed essere stato in prigione per

18 mesi a Sundance, nel Wyoming. Fu rilasciato il 4 febbraio 1889.

Durante il breve periodo in cui lavorò in un ranch nel Wyoming, si dice che

riuscì a battere tre cowboy, a minacciare di uccidere un cuoco e compiere

una rapina a mano armata nella città di Lusk.


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Qualunque osservatore imparziale dei due futuri fuorilegge avrebbero detto

che tra i due il capo sarebbe dovuto essere quella canaglia di Harry Longabaugh.

Robert LeRoy Parker sembrava uno con la testa sulle spalle, un bravo ragazzo

cresciuto in una famiglia mormore di grandi lavoratori nella campagna

rurale presso il Sevier River, nello Utah centrale. I suoi antenati furono i

pionieri di piccoli mezzi artigianali di locomozione, mormoni che nel 1856

viaggiavano per le Grandi Pianure spingendo rudimentali trabiccoli.

Chiunque avrebbe giurato che sarebbe diventato un bravo cowboy o il

proprietario di un ranch dalle parti della Circle Valley. Alcuni dicono che

furono le ‘cattive compagnie’ a portare sulla strada del crimine il giovane

Parker, altri dicono che la responsabilità della sua generazione, cresciuta

in quel tempo e in quel luogo dell’America.


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Era l’epoca dei grandi ladri, del libero commercio che si sviluppava incurante

dell’interesse generale.

Nel West, i piccoli proprietari di ranch e i contadini guardavano alle

grandi industrie finanziate dagli stati orientali o dall’Europa come nemici

mortali che si prendevano tutti i terreni migliori, monopolizzavano le

risorse acquifere ed erano coinvolti nella corruzione legata allo sviluppo

delle ferrovie.


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Quando Robert LeRoy Parker era ancora un ragazzino, incontrò un cowboy

di nome Mike Cassidy che gli insegnò non solo a cavalcare, tirare il lazo,

marchiare gli animali, ma anche a rubare bestiame e cavalli. Mike Cassidy,

diventò un vero e proprio eroe per il giovane Parker e, quando l’uomo dovette

abbandonare il paese per sfuggire alla giustizia, la gente iniziò a sospettare

del ragazzo e dei suoi amici per i successivi furti di cavalli e bestiame.

(Dee Brown, Lungo le rive del Colorado)





 

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NEGLI STESSI ANNI: 5 SETTEMBRE 1568

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Tommaso Campanella nacque il dì cinque di settembre dell’anno 1568

in San Biagio, borgo di Stilo.

Dell’età prima del Campanella assai scarse ed oscure notizie ci pervennero;

pure di quelle poche io varrommi in questo scritto.

Dall’età di cinque anni, com’egli nel ragionamento de’ suoi libri racconta,

datosi con grande ardore agli esercizi di pietà ed allo studio delle

lettere, ogni cosa che da’ parenti in casa, o da’ preti in chiesa udisse,

ogni cesa da’ maestri in iscuola gli venisse insegnata, meravigliosamente

riteneva nell’animo. 

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Il che per l’eccedere l’ordinario de’ fanciulli di quell’età m’è piaciuto

notare. Concordi in questo gli autori che di lui scrissero affermano,

che egli fino da quell’età diede prova di non volgare ingegno, e di

memoria meravigliosa.

Adunque prestamente in lui queste due facoltà si manifestarono,

la fantasia e la memoria, le quali di primo lancio lo spinsero alla

poesia, bisogno istintivo, primo linguaggio degli uomini come

de’ popoli, espressione fedele dell’effetto che in noi produce lo

spettacolo del mondo esteriore. 

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Imperciocché ripiegare lo spirito sulle ricevute impressioni, e

rintracciare le cagioni de’ fenomeni a più matura età si appartiene.

Di tredici anni il Campanella dettava versi con rara felicità, onde

bene è deplorare uno de’ suoi biografi ch’ei s’imbattesse in barbari

precettori.

Negli anni che hanno a seguire, il Campanella vestì l’abito religioso,

i Domenicani di Stilo il mandarono ad un altro luogo in San Giorgio,

perché meglio vi si addottrinasse nelle cose della filosofia.

Avvenne che appunto in que’ giorni capitò in San Giorgio il nuovo

signor di quel feudo, ed il Campanella fu eletto a recitare l’orazione

da lui composta per quella occasione, e versi ed inni recitò ancora,

i quali furono avidamente uditi dalla gente di quello e de’ vicini

paesi concorsa in folla per godere di quelle magnifiche feste 

feudali.

(M. Baldacchini, Vita di Tommaso Campanella)

 

 

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