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Senza caciotta e senza pagnotta (6)
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Senza oggi e senza domani (un racconto ‘eretico’) (8) &
Senza cavalli e senza somari (9)
Ogni infamia sarà cancellata (e donata a calui che neppur l’ha pensata) (31/32) &
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….Dopo talune considerazioni il mio maestro decise di non fare
più nulla. Ho già detto che aveva talvolta di questi momenti di
totale mancanza di attività, come se il ciclo incessante degli astri
si fosse arrestato, ed egli con esso e con essi.
Così fece quel mattino.
Si distese sul pagliericcio con gli occhi aperti nel vuoto e le mani
incrociate sul petto, muovendo appena le labbra come se recitas-
se una preghiera, ma in modo irregolare e senza devozione.
Pensai che pensasse, e risolsi di rispettare la sua meditazione.
Tornai nella corte e vidi che il sole si era affievolito. Da bella e
limpida che era, la mattina stava diventando umida e brumosa.
Grosse nuvole muovevano da mezzanotte e stavano invadendo la
sommità del pianoro coprendola di una caligine leggera.
Pareva nebbia, e forse saliva anche da terra, ma a quella altezza e-
ra difficile distinguere le brume che venivano dal basso da quelle
che scendevano dall’alto.
Si incominciava a distinguere la mole degli edifici più lontani.
Vidi Severino che radunava i porcai e alcuni dei loro animali, con
allegria. Mi disse che andavano lungo le falde del monte, e a valle,
a cercare i tartufi.
Io non conoscevo ancora quel frutto prelibato del sottosuolo che
cresceva in quella penisola e sembrava tipico delle terre benedet-
tine, vuoi a Norcia – nero – vuoi in quelle terre – più bianco e pro-
fumato.
Severino mi spiegò cosa fosse, e quanto fosse gustoso, preparato
nei modi più vari. E mi disse che era difficilissimo da trovare, per-
ché si nascondeva sotto la terra, più segreto di un fungo, e gli unici
animali capaci di scovarlo seguendo il loro olfatto erano i porci.
Salvo che, come lo trovavano, volevano divorarselo, e bisognava
subito allontanarli e intervenire a dissotterarlo. Seppi più avanti
che molti gentiluomini non sdegnavano darsi a quella caccia, se-
guendo i porci come fossero segugi nobilissimi, e seguiti a loro
volta dai servi con le zappe. Ricordo anzi che più avanti negli an-
ni un signore dei miei paesi sapendo che conoscevo l’Italia, mi
chiese come mai aveva visto laggiù dei signori andare a pascola-
re i maiali, e io risi comprendendo che invece andavano in cerca
di tartufi.
Ma come io dissi a colui che questi signori ambivano a ritrovare
il ‘tar-tufo’ sotto la terra per poi mangiarselo, quello capì che io
dicessi che cercavo ‘der-Teufel’, ovvero il diavolo, e si segnò de-
votamente guardandomi sbalordito. Poi l’equivoco si sciolse e ne
ridemmo entrambi.
Tale è la magia delle umane favelle, che per umano accordo si-
gnificano spesso, con suoni uguali, cose diverse.
Incuriosito dai preparativi di Severino risolsi di seguirlo, anche
perché compresi che egli si dava a quella cerca per dimenticare le
tristi vicende che opprimevano tutti; e io pensai che aiutando lui a
dimenticare i suoi pensieri avrei forse, se non scordato, almeno te-
nuto a freno i miei.
Né nascondo, poiché ho deciso di scrivere sempre e solo la verità,
che segretamente mi seduceva l’idea che, disceso a valle, avrei for-
se potuto intravedere qualcuno di cui non dico.
Ma a me stesso e quasi ad alta voce asserii invece che, siccome per
quel giorno si attendeva l’arrivo delle due legazioni, avrei forse po-
tuto avvistarne una.
(U. Eco, Il nome della rosa)