VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan) (7)

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Il disco, che costò all’editore ben 50.000 dollari, non valse tuttavia a riportarlo

sulla cresta dell’onda, come era nelle sue speranze, e non lo aiutò molto neppure

la sua, pur abbastanza intensa, attività svolta dopo di allora alla testa di complessi

di medie dimensioni: sestetti o ottetti, per lo più.

“Se non hai un gruppo fisso, che suoni tutte le sere, la gente e i produttori di

dischi non si accorgono neppure che esisti”.

Si lamenta Mulligan, “quanto a quel disco, ‘The Age of Steam’, lo sbaglio della

A & M è stato di presentarlo come un album jazz. Ma allora erano tutti pieni

di ottimismo a proposito di una resurrezione del jazz”.

E aggiunge con un po’ di amarezza:”Del resto io non ho mai saputo far bene i

miei affari”.

Prescindendo da qualche incisione con Dave Brubeck, sono dovuti passare più

di tre anni prima che il sassofonista si assumesse nuovamente la capacità e

paternità – sia pure condivisa con un altro – di un microsolco. Per inciderlo,

nell’autunno del 1974 venne addirittura a Milano, dove si incontrò col compositore

argentino Astor Piazzolla – che aveva conosciuo, e subito apprezzato, attraverso

dei dischi – per registrare con lui una serie di tanghi, in gran parte composti e

tutti orchestrati dallo stesso Piazzolla: musiche sontuose e molto originali,

a cui Mulligan aggiunse una lieve coloritura jazzistica.

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E forse altre cose importanti accadranno per lui nel prossimo futuro: la voglia

di fare non gli manca di sicuro.

Il bilancio del suo apporto al mondo del jazz, tuttavia, si può già fare, ed

è molto positivo. Benché si tratti di un eccellente e personalissimo strumentista –

è certamente il miglior baritonsassofonista che il jazz abbia espresso, assieme

a Harry Carney -, merita considerazione soprattutto come compositore e

arrangiatore, come capo di complessi di grandi o piccole dimensioni e più in

generale come musicista: un musicista che riesce a far prevalere le proprie

concezioni anche nelle partiture commissionate da altri.

Forse anche per questo i numerosi bei temi scritti da lui sono rimasti quasi

esclusivamente nel repertorio dei suoi complessi. Di alcuni dei più conosciuti

si è già fatto cenno. Se ne possono aggiungere altri, eseguiti infinite volte

dai suoi complessi e registrati quasi tutti in più versioni: ‘Bweebida Bobbida’,

‘Westwood walk’, ‘Turnstile’, ‘Motel’, ‘Utter chaos’, ‘A ballad’, ‘Demanton’, e

il più recente ‘Unfinished woman’.

Non esistono praticamente suoi figli spirituali fra i baritonsassofonisti, ma

non sono mancati coloro che si sono rifatti alle sue concezioni orchestrali e

più in generale musicali. gran parte del jazz bianco prodotto verso la metà

degli anni 50, infatti, fu fortemente influenzato dalla musica dei suoi primi

complessi: il cosiddetto ‘West Coast jazz’ sarebbe stato probabilmente molto

diverso se Mulligan non avesse affascinato, col quartetto e con le incisioni del

‘tentette’ per la Capitol, gli ex alunni di Stan Kenton da poco insediatisi a Los

Angeles.

(A. Polillo, Jazz)

vedi anche

mulligan

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VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan)

Per molti amatori del                                              Gerry_Mulligan.jpg

jazz Gerry Mulligan è

l’ultimo grande che abbia

fatto della musica accettabile

prima che venisse il caos.

Per tanti altri invece

è stato l’ultimo dei borghesi:

un conservatore che si

presentò sotto le mentite

spoglie dell’innovatore

per fare della blanda

musica di consumo,

ben costruita e gradevole

quanto disimpegnata.

Mulligan, in verità è

un personaggio emblematico,

uno di quelli che vengono portati

a esempio di un certo modo di

concepire e di gustare il jazz:                                           Mulligan Monterey.jpg 

un modo ‘bianco’, per certi

aspetti antitetico a quello

‘negro’, e questo basta,

agli occhi di molti, per

contestarne il valore.

Non agli occhi di alcuni

illustri musicisti negri, ad

ogni modo. Miles Davis,

per cominciare, non ha

nascosto la sua ammirazione

per lui; e il compositore George

Russell, che gli fu vicino nel

primo periodo della carriera,

non ha esitato a definirlo ‘il più

importante innovatore degli

anni 50.

Comunque lo si voglia giudicare,

non si può negare che Mulligan

fu il solista che fece parlare di sé,                                             mulligan.jpg

più di ogni altro, negli anni 50,

e che esercitò la più forte

influenza su gran parte del jazz

prodotto in quel periodo.

La sua apparizione in mezzo ai

protagonisti della scena del jazz

fu pressoché improvvisa, e fu 

sensazionale. 

Ebbe luogo nel 1948, quando

alcuni musicisti che gravitavano

attorno a Gil Evans si riunirono

sotto la guida di Miles Davis per

esibirsi per un paio di settimane al

Royal Roost, a Broadway, e per 

incidere nei mesi successivi una 

serie di dischi rimasti famosi.

A quel tempo Gerald

Mulligan, un ragazzo                                             saxmulligan.jpg

allampanato dai corti

capelli biondo-rossicci, di origine

irlandese, era sconosciuto ai più.

Era nato a New York il 6 aprile

1927, ma aveva trascorso l’infanzia

e l’adolescenza in diverse località

degli Stati Uniti, e da ultimo a 

Filadelfia; a New York era 

tornato soltanto da un paio d’anni,

dopo aver lavorato soprattutto come

arrangiatore per le orchestre da ballo

di Tommy Tucker e di Elliot Lawrence.

Era stato poi assunto, per un anno, come

arrangiatore per l’orchestra di Gene Krupa,

per cui scrisse un azzeccato ‘Disc jockey jump’,

e quindi nella formazione di Claude Thornhill,

in cui era stato introdotto da Gil Evans e nella

quale incontrò Lee Konitz.

Si è già avuto occasione di dire delle serate trascorse nell’appartamento di Evans e

della nascita del complesso di Davis e dei suoi dischi per la Capitol, che costituirono

i più felici esempi di cool jazz. Il ruolo avuto da Mulligan in quell’impresa fu di grande

rilievo: l’idea di utilizzare il suono (quello cioè dato dai corni e dal basso tuba) dell’

orchestra di Thornhill in un suo gruppo squisitamente jazzistico fu infatti sua e di Evans,

e suoi furono alcuni degli arrangiamenti più belli da esso eseguiti: Godchild Jeru,

Rocker e Venus de Milo. I mesi che seguirono la prima esibizione con quel complesso

furono molto difficili per Mulligan, non soltanto perché stentava a trovare lavoro ma

perché era divenuto ormai prigioniero dell’eroina.

Di quel periodo si ricordano le prime incisioni realizzate sotto suo nome, per la Prestige,

con un gruppo di studio in cui erano George Wallington e il tenorsassofonista Allen

Eager, due brevi associazioni coi suoi vecchi capiorchestra Tommy Tucker e Claude

Thornhill, le prove fatte al Central Park con una grande formazione che non trovò

mai una scrittura, e la sua affettuosa amicizia con Gale Madden, una donna famosa

per il suo non conformismo e che esercitò su di lui un’influenza notevole. Fu lei a

convincerlo a lasciare New York, nella primavera del 1951, e ad accompagnarlo verso

Ovest, in cerca di fortuna. 

(A. Polillo, Jazz)

…a proposito di jazz

http://www.terranews.it/opinioni/2010/11/cena-segreta-grana-al-banco

da http://giulianolazzari.splinder.com

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