FRA GHIACCIO E FUOCO 2

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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L’Islanda sta mostrando ai geologi un vulcanesimo dall’aspetto completamente diverso da

quello conosciuto in altre zone. I suoi 100.000 km quadrati di terre emerse composti quasi

totalmente da basalto nero, inframezzato da sporadici pascoli subartici e boschi di conifere,

erano squarciati da grandi fenditure, di solito parallele, come se l’isola fosse stata sottoposta

ai fendenti di un enorme coltello che aveva solcato il terreno. Parecchi vulcani islandesi

eruttavano, non come altrove, dalla sommità del cono, ma da fessure talora formatesi di

recente e talora preesistenti. Sebbene fossero incapaci di spiegare questo strano fatto, i

geologi erano aconoscenza della particolare natura dei vulcani islandesi fin dalla

spaventosa eruzione del Laki, avvenuta nel 1783.

All’inizio di giugno di quell’anno una serie di fratture, lunghe 25 km circa, si era aperta

all’improvviso vicino alla costa meridionale dell’Islanda. Dopo un preludio esplosivo,

accompagnato dall’emissione di grandi quantità di nuvole di ceneri, la lava basaltica

aveva cominciato a defluire dalle FRATTURE. Essa aveva continuato a scorrere per 

tutta l’estate, con una serie di eruzioni intermittenti, originate da nuove fessure che

si aprivano nella stessa zona. In agosto un’area di circa 580 km quadrati era stata 

ricoperta da nuove rocce. L’eruzione del Laki era terminata nel febbraio 1784, ma

ormai l’atmosfera intorno all’isola si era impregnata di una nebbia bluastra e 

sulfurea che aveva contaminato i raccolti ed ucciso oltre la metà del bestiame.

La nebbia era poi così acceccante che i pescatori islandesi, di solito molto coraggiosi,

non se l’erano sentita di uscire a pescare. Quell’inverno un quinto dei 49.000 abitanti

dell’isola era morta di fame.

Nella prima metà del XX secolo i vulcanologi raccolsero dati su molti altri espandimenti

lavici di tipo non esplosivo. Uno di questi creò, circa 100 milioni di anni fa, il Tavolato

di Deccan, nell’India nord-occidentale, che si estende su un’area di circa 518.000 km

quadrati e 25 milioni di anni fa un altro espandimento formò, nel nord-ovest degli 

Stati Uniti, il Tavolato del Fiume Columbia, che si estende su 227.000 km quadrati.

Nel 1947 una spettacolare eruzione, di tipo lineare, del vulcano Hekla in Islanda

offrì l’opportunità di una ricerca approfondita; gli studiosi furono così costretti a dare

una risposta alla domanda che ne scaturiva: perché i vulcani dell’Islanda si comportavano

in modo così diverso da quelli del Mediterraneo, e questi differivano a loro volta da 

quelli delle Hawaii?

Gli scienziati alla fine trovarono la chiave dell’enigma nella viscosità del magma.

La viscosità del magma può essere definita come l’attrito interno di un fluido.

Nei fluidi ad alta viscosità, come il catrame, il grande attrito interno fa sì che essi 

scorrano molto lentamente. Fluidi meno vischiosi, come l’acqua, si muovono facilmente

perché le singole particelle si spostano, una rispetto all’altra, con un attrito minimo. 

L’elemento presente in maggior quantità nel magma è la silice. 

I geologi sapevano che oltre il 50% della massa della crosta terrestre è composta di silice,

essa è infatti il costituente principale della maggior parte delle rocce del magma.

Continue ricerche sul chinismo del magma portarono alla conclusione che è la quantità

di silice di solito a determinare la viscosità del magma: maggiore è il contenuto di 

silice, più vischioso è il magma.

Quando il contenuto di silice raggiunge o supera il 70% del totale, il magma risultante

è vischioso ed ha consistenza pastosa; esso viene definito magma fesico o acido perché la

roccia che ne deriva è ricca di silice e di feldspati.

Quando il magma contiene meno del 50% di silice, è meno vischioso e più simile all’acqua,

ed è detto magma fenico o basico a causa del contenuto in magnesio e ferro di minerali che

da esso si formano. La viscosità può essere determinata anche da sbalzi di temperatura, o

dalla presenza, nel magma, di gas  o di intrusioni solide come frammenti della roccia

incassante o grandi cristalli.

La comprensione del problema della variazione di viscosità del magma portò a una

spiegazione del perché alcuni vulcani, soprattutto quelli hawaiiani e quelli mediterranei

antichi, lanciavano enormi quantità di gas nell’atmosfera senza esplodere in modo

catastrofico, come il Krakatoa o La Pelée. Alcuni, come lo Stromboli nelle Isole Lipari,

ribollivano e crepitavano. Altri, come il Kilauea nelle Hawaii, emettevano semplicemente

delle colate di lava. Ciò che questi vulcani relativamente tranquilli avevano in comune

era il loro magma, a basso contenuto di silice, di tipo basico; la sua viscosità era talmente

bassa che quando i gas volatili si liberavano dal magma, potevano salire a velocità costante

ed espandersi tranquillamente nell’atmosfera. D’altra parte, vulcani esplosivi come il

Vesuvio, il Tambora, il Krakatoa e La Pelée avevano tutti un magma acido, ad alto

contenuto di silice, che agiva in modo diverso. Quando questo magma denso e vischioso

raggiunge la superficie, tende a ostruire il camino vulcanico. Esso si solidifica a una

temperatura molto più alta del magma basico, cosicché a volte forma sopra la bocca

del cratere una crosta, che i geologi chiamano cupola di ristagno. Tutto ciò intrappola

il gas al di sotto della superficie, lasciando che esso faccia aumentare così tanto la

pressione interna che i fianchi della montagna vulcanica si gonfiano sotto la tensione.

Ad un certo momento inevitabilmente la cupola si spacca e il magma, in forma solida,

liquida e semisolida, mescolato con frammenti di rocce antiche e grandi quantità di gas

inclusi viene lanciato in aria.

Nonostante la più approfondita comprensione del funzionamento dei diversi tipi di

vulcani, gli scienziati non potevano ancora spiegare la distribuzione dei vulcani in tutto

il mondo. Dei 600 vulcani attivi identificati, quasi tutti erano di tipo esplosivo e si trovavano

localizzati in strette fasce; una di queste, nota come Anello di Fuoco, descrive approssima

tivamente un cerchio che seguiva le coste dell’OCEANO PACIFICO; un’altra cintura

si allungava attraverso il Mediterraneo settentrionale, l’ASIA MINORE e l’HIMALAYA.

Ora, mentre i vulcanologi erano in grado di spiegare in che modo i vulcani dell’Islanda

e delle Hawaii erano radicalmente diversi dagli altri vulcani eruttivi, non potevano

precisare perché queste aree isolate mostravano un vulcanesimo in apparenza così

anomalo.

Le risposte giunsero nel modo più anaspettato a metà degli anni 70, in conseguenza

di una spinosa controversia nella comunità scientifica che rispettava la tradizione delle

dispute tra vulcanisti e nettunisti nel XVIII secolo. Quando, dopo alcuni anni di

discussione, le acque si calmarono, fu proposta una nuova teoria con la quale i 

misteri della vulcanologia e di tutte le scienze della terra vennero chiariti come non

lo erano mai stati prima; la nuova visione strutturale della terra fu chiamata 

TEORIA DELLA TETTONICA  A  ZOLLE  O  A  PLACCHE.

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Una tera difficile: eruzione di un vulcano 15 aprile 2010

Il territorio islandese è quasi completamente formato da rocce vulcaniche, profondamente

rimodellate da fenomeni glaciali e agenti atmosferici. Vaste aree sono costituite da tavolati

di rocce basaltiche stratificate, originati dalla sovrapposizione di colate successive di lave

molto fluide, con la capacità di scorrere come fiumi e percorrere in questo modo grandi

distanze. In Islanda l’emissione di queste lave è legata principalmente ad un’attività eruttiva

di tipo non centrale (vulcani propriamente detti), ma fessurale. 

Le fessure eruttive corrispondono alle zone attive della dorsale medioatlantica, che

attraversa l’isola in direzione NORD-SUD da Husavik al vulcano Askja, per poi dividersi

in due rami, orienali verso SUD e SUD-OVEST. In quest’area si trovano fessure eruttive

ad attività recente come Eldgja e Laki, a SUD-OVEST del Vatnajokull, e Ludentborgir

nella zona del lago Myvatn, tutte caratterizzate da l’accumulo di materiali vulcanici sciolti

attorno ai condotti eruttivi e allineati secondo fratture della superficie rocciosa lunghe

parecchi chilometri. Tali fratture sono dovute ai processi di estensione della crosta 

terrestre che avvengono lungo la dorsale oceanica e ne hanno, infatti, la stessa orientazione.

Nelle zone dove l’estensione non è stata accompagnata da rilevanti fenomeni vulcanici

si sono formate ampie depressioni dal fondo piatto e dalle pareti a gradinate, dette 

fosse tettoniche o graben, alcune delle quali sono attualmente accupate da laghi, come il 

Pingvallavatn e il Porisvatn.

La sovraposizione di bancate di rocce basaltiche, spesso intercalate con sottili strati di

tufi prodotti in fasi più esplosive, è ben osservabile nelle zone vulcaniche più antiche, dove

i tavolati sono stati più profondamente erosi, come ad esempio lungo le ampie valli scavate

dai ghiacciai, molte delle quali terminano in spettacolari fiordi o sono occupati da laghi;

oppure anche nelle profonde gole incise dai corsi d’acqua, come quella del Jokulsà à

Fjollum, a est del lago Myvatn. I fiumi che scavano il loro letto in questi tavolati devono

spesso superare dislivelli di varie decine di metri fra due successive bancate, formando

imponenti cascate, quali quelle di Dettifoss e Hafragilsfoss, Godafoss e Svartifoss, nel

parco di Skaftafell. Spesso queste cascate mettono a nudo spettacolari strutture a colonne

esagonali della roccia basaltica, originatesi per contrazione durante il raffreddamento

successivo alla solidificazione della lava e orientate sempre perpendicolarmente rispetto

alla superficie originaria della colata.

I carattere superficiali delle colate sono facilmente osservabili sui vasti campi di lave

recenti, non ancora ricoperti da vegetazione. Lave molto fluide, che si raffreddano

mentre scorrono, sono all’origine di superfici rugose e ondulate, in forme che ricordano

delle corde arrotolate. Talvolta al di sotto della superficie già solidificata si costituisce

un tunnel entro il quale scorre la lava ancora fluida: al cessare del flusso restano grotte

e gallerie cave, come quelle notissime di Surtshellir e Stefanshellir, nei pressi del

Langjokull.

Lave meno fluide producono, invece, colate formate da blocchi già parzialmente

solidificati, che rotolano lentamente e si ammassano gli uni contro gli altri.

Sebbene le eruzioni fessurali siano le più comuni in Islanda, non mancano però eruzioni

provenienti da un unico condotto che danno luogo a edifici vulcanici di differenti 

tipologie, a seconda delle modalità di eruzione. 

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