GIORNATA DELLA TERRA: NOZIONI PRATICHE 1

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LA GESTIONE DEI RIFIUTI:

Perché è così centrale la normativa sui rifiuti nell’ambito del diritto ambientale,

pur nella consapevolezza che parlare di rifiuti non riguarderebbe, in se, la

tematica dell’ ‘inquinamento’?

Infatti, ed a ben guardare, una corretta gestione dei rifiuti (concetto peraltro ignoto

nel mondo naturale-biologico) riguarderebbe tuttalpiù una sorta di gestione amministrativa

e controllata dei medesimi, con un sistema coordinato, gestito in prevalenza dagli enti

locali, di prelevamento, recupero o smaltimento dei medesimi.

Ma la realtà è purtroppo ben diversa e la centralità del tema deriva prevalentemente da

due motivi:

1) LA CATTIVA GESTIONE: solo per rimanere nel nostro Paese non possiamo non 

rilevare come, a fronte di un continuo incremento quali quantitativo dei medesimi, 

sia con riferimento a quelli urbani che a quelli speciali, sussistono ancora numerosi

e gravi fenomeni di inquinamento ambientale (di aria, suolo, acque) causato proprio

dalla cattiva gestione dei rifiuti (dall’abbandono indiscriminato, alle discariche abusive;

dai siti contaminati, alle emergenze ambientali), fino a giungere anche ai fenomeni

legati alla MACROCRIMINALITA’.

Si pensi solo che lo smaltimento abusivo dei medesimi rappresenta la terza forma di

‘guadagno’ per le associazioni mafiose, e che il ‘reato’ di cui all’art. 53bis del Divo

n. 22/97 ( ATTIVITA’ ORGANIZZATE PER IL TRAFFICO DI RIFIUTI) è tra i

pochissimidelitti previsti sul terreno ambientale. 

2) LA CORRETTA GESTIONE DEI RIFIUTI PASSA ATTRAVERSO la corretta gestione

delle risorse: di un sistema generalizzato e consumistico di sprechi di risorse, una politica

ed un sistema che privilegino il riutilizzo ed il recupero delle medesime (quando non sia

addirittura possibile la riduzione degli sprechi a monte) diviene evidentemente centrale

in tutto il contesto della normativa ambientale.

“La gestione dei rifiuti dovrebbe avere come obiettivo principale la riduzione del consumo

di risorse ed un loro utilizzo ecocoefficente.

Uno sviluppo sostenibile, durevole anche per le future generazioni e più equo per

l’intera popolazione mondiale, è possibile solo se si realizza una rivoluzione nell’

ecoefficenza: se si moltiplica la capacità di fare di più e meglio con meno, con minor

consumo di risorse e minore inquinamento.

Non possiamo continuare a far crescere i consumi di materiali e di energia, né la

produzione di rifiuti e di inquinamento: non abbiamo a disposizione un Pianeta

di scorta, rischiamo di compromettere le possibilità di sviluppo delle future

generazioni.

Non si può estendere l’attuale livello di consumi di materiali e di energie dei Paesi

più industrializzati alla gran parte della popolazione mondiale: l’uso delle risorse

 o cambia o alimenterà gravi conflitti.

I sistemi economici e sociali che sapranno essere più ecoefficienti, che consumeranno

meno risorse ed inquineranno di meno, saranno anche più giusti ed economicamente

più forti e competitivi ” ( E. Ronchi).

Ecco perché la ‘rivoluzione copernicana’ operata dall’entrata in vigore nel 1997 del

cosiddetto ‘ Decreto-Ronchi’ sulla corretta gestione dei rifiuti (Divo 5 febbraio 1997,

n. 22) è così importante, tanto da far affermare a molti commentatori che siamo

dinnanzi alla ‘legge-faro’ del diritto ambientale.

Da quel momento ogni legge italiana in materia ambientale ha dovuto tener conto di

questa legge, recependo il principio fondamentale in essa riportato, cioè della

PREVENSIONE (art. 3: Le autorità competenti adottano, ciscuna nell’ambito delle

proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e

la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti): basti solo pensare alla

recente norma in materia di autorizzazioni ambientali integrate il quale impone ai

complessi produttivi la predisposizione di una dichiarazione annuale contenente

informazioni circa la identificazione del complesso aziendale e delle attività sorgenti

di emissioni che vi sono svolte, e le immissioni in aria ed acqua superiori a determinati

valori soglia. Il decreto prevede misure tese ad evitare, oppure, qualora non sia possibile,

ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria nell’acqua e nel suolo, comprese le

misure relative ai rifiuti, ‘per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel

suo complesso’.

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INVITO AL RIDICOLO 2

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Ogni atto che non sia ridicolo, in misura minore o maggiore, è un atto morto.

Questo si verifica anche nella più banale e quotidiana vita sociale.

Quando bevi il tuo tè in un salotto e metti tranquillamente la tazza a posto, hai

compiuto un gesto perfetto, privo di vita, dal momento che non ha conseguenze

nella tua coscienza né in quella altrui. Ma lascia cadere la tazza e versa il tè sulla

gonna di una signorina che parla francese, e scusati farfugliando mentre cerchi di

rimediare alla gaffe asciugando il parquet con il fazzoletto di batista.

Sii per un istante ridicolo, puramente e semplicemente ridicolo.

Di colpo quest’atto si carica di innumerevoli possibilità.

Soffri, e, in quei panici momenti di imbarazzo, arrivi a comprendere quanto sia

inutile la tua vita e quanto vuote quelle altrui, e che scimmia grottesca sei, ben 

vestito e perfettamente manierato, in una stanza dove si perde tempo e dove le

persone si ritrovano spinte dalla paura della solitudine e attratte dalla loro vacuità.

Tutta una filosofia in una tazza di tè rotta accidentalmente.

E per giunta sei stato ridicolo soltanto un po’.

Ma appresti a dir loro in faccia ciò che pensi del loro tè, di’ loro a chiare note che 

perdono il loro tempo, che s’ingannano l’un l’altro, che conducono una vita artificiosa,

fittizia, inutile.

Di’ tutto e dillo con passione.

Allora sarai davvero ridicolo, allora la gente riderà di te, allora comprenderai, che non 

puoi vivere la tua vita senza essere ridicolo.

Perché in questo si riassume il ridicolo: nel vivere la propria vita, nuda, immediata, 

rifiutandosi alle superstizioni, alle convinzioni e ai dogmi.

Più siamo personali, più ci identifichiamo con le nostre intenzioni, più le nostre azioni

coincidono con il nostro pensiero, siamo ridicoli.

Il ridicolo è una formula lanciata dagli uomini contro la sincerità.

Non esiste atto umano sincero che non sia ridicolo.

E ciò che l’amore ha di veramente sublime è d’essere riuscito a sopprimere il ridicolo

tra due esseri, a sopprimere la censura applicata di riflesso alla loro sincerità.

Ecco perché credo che i libri e gli autori che sono stati un tempo ridicoli, in ragione

della loro sincerità, nuda e totale, possiedono infinite virtualità: possono essere ripresi

e approfonditi da ciascuno di noi.

Con i libri ridicoli capita una cosa bizzarra: essi non colpisco come un fatto sociale 

ridicolo, perché li leggiamo in solitudine, e i valori della solitidine non sono gli 

stessi di quelli della collettività.

Siamo più sinceri quando siamo soli perché non abbiamo messo sotto chiave la

nostra sensibilità e la nostra intelligenza ricorrendo al buon senso e alla logica.

Perché un paradosso ascoltato in pubblico irrita mentre, letto in solitudine,

incanta?

Perché piangiamo sopraffatti dall’emozione leggendo una confessione, e ci

irrigidiamo imbarazzati quando l’ascoltiamo in pubblico?

Forse proprio perché qui appare il ridicolo, la censura contro la sincerità per

arginare gli eccessi di individualismo.

(Mircea Eliade, Oceanografia)   

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INVITO AL RIDICOLO

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Mi sembra che il ridicolo dinamico, creatore e nuovo, presente in ogni coscienza che

intenda essere viva e che sperimenti dal vivo.

Non ho memoria di alcuna trasformazione dell’umanità, di alcun guizzo audace nella

comprensione né di alcuna feconda ed entusiastica scoperta che non siano sembrati

ridicoli ai contemporanei. Ma questo non dimostra ancora molto; perché tutto ciò

che oltrepassa il presente e il limite della comprensione appare ridicolo.

C’è invece un altro suo aspetto che m’interessa: è la disponibilità, l’eterna vita,

l’eterna possibilità di dare frutti di un fatto, di un pensiero o di un atteggiamento

ridicolo. Dal ridicolo si ha sempre da imparare; lo si può assimilare o interpretare

come si vuole, si è liberi di attingervi ciò che ci aggrada e di farne ciò che ci passa

per la testa. Non va così con quanto è razionale, legittimato, verificato, riconosciuto.

Verità o atteggiamenti, questi, che non riguardano più la vita che si appresta a 

manifestarsi.

Essi paralizzano il mondo. 

Nessuno li contesta, nessuno dubita della loro veridicità. 

Sono morti.

La loro vittoria è stata la loro pietra tombale.

Buoni solo per le famiglie, le istituzioni e la pedagogia.

Leggete un buon libro, uno di quei libri scritti e costruiti in modo perfetto, segnalati dai

critici, approvati dal pubblico, insigniti di premi.

Un buon libro, vale a dire un libro morto. 

E’ talmente buono che non scuote niente il nostro marasma e la nostra mediocrità; anzi,

si integra perfettamente a tutti i nostri modesti ideali, ai nostri piccoli drammi, ai nostri

piccoli vizi, alle nostre povere nostalgie. 

E tutto.

Tra dieci o cento anni non lo leggerà più nessuno.

Tutto ciò che non è ridicolo è caduco.

Se dovessi dare una definizione dell’effimero, direi che lo è ogni cosa ‘perfetta’, ogni

pensiero ben espresso e ben precisato, tutto ciò che appare razionale e giustificato.

La mediocrità si confonde il più delle volte con il ‘perfetto’ e il ‘definitivo’.

I volumi di filosofia di un professore di provincia o di un semplice scrittore sono

più coerenti, razionali, seri e meglio scritti di questo o quel pamphlet del XIX

secolo che ha fecondato decine di pensieri, decine di spunti, decine di scopiazzature,

ed è stato in seguito commentato in decine di libri.

Evitare il ridicolo significa rifiutare l’unica opportunità di essere immortali.

L’unico diretto contatto con l’eternità.

Un libro che non è ridicolo, un pensiero che riscuote il plauso generale, per il

suo stesso successo ha rinunciato sin dall’inizio a ogni potenzialità, a ogni

possibilità di poter essere ripreso e continuato.

Una buona definizione del ridicolo è, a mio avviso, la seguente: ciò che può

essere ripreso e approfondito da qualcun altro. Non mi riferisco a quello,

meccanico, di un tizio che rincorre la sua paglietta o a quello di una ragazza

desiderosa di sembrare una donna fatale. Questo è un ridicolo superficiale,

sociale, frutto di automatismi e inibizioni, spiritualmente sterile come ogni atto

riflesso.

Pensate quale fonte di vita, quanti semi e quanta linfa ha trovato e continuerà a 

trovare la gente, mille anni dopo che le tracce dei creatori ‘perfetti’ si saranno

cancellate, nella vita e nel pensiero di questi uomini assolutamente ridicoli.

(Mircea Eliade, Oceanografia)

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IL NOME DELL’ISOLA

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Mi ritrovai disteso accanto alla zatterra, che era mezzo

affondata non in uno strato di neve, ma in una spessa                                     842150935.jpg

coltre di ceneri.

Non avevo niente di rotto, constatai sollevandomi.

Hans e mio zio s’erano già rialzati e si stavano guardando

intorno. 

– Dove siamo? chiese il professore, che sembrava addirittura

irritato d’essere tornato sulla terra.

Il cacciatore si strinse nelle spalle in segno d’ignoranza.

– In Islanda? dissi io.                                                                                       islanda2.jpg

– Nej, rispose Hans.

– Come no? gridò il professore.

– Forse Hans si sbaglia, dissi finendo di rialzarmi.

Dopo le sorprese innumerevoli di quel viaggio, un’altra

ce n’era ancora riservata.

M’ero atteso di trovarmi su un bianco pendio, tra i nevosi

deserti delle regioni artiche, nella pallida luce di un cielo

polare; e invece, contro ogni prevesione, eravamo sul fianco

di una montagna calcinata da un sole torrido.

Non volevo credere ai miei occhi, ma la vera e propria                         islanda4.jpg 

cottura a cui stavo venendo sottoposto, non lasciava alcun

dubbio.

Eravamo usciti mezzo nudi dal cratere, e l’astro radioso, al

quale non avevamo chiesto nulla da due mesi, si mostrava

fin troppo prodigo nei nostri confronti.

Quando i miei occhi si furono abituati a quello splendore

insolito per noi, non soltanto sottoterra, ma anche ad

Amburgo, cercai di mettere un po’ d’ordine nei miei                                    islanda3.jpg

pensieri.

Passai in rivista gli altri vulcani possibili, a parte quelli

d’Islanda, e avanzai l’ipotesi che ci trovassimo nell’isola di

Jean Mayen.

Mio zio fece segno di no.

– Questo non è un vulcano del nord!

Dal cratere al di sopra delle nostre terre, s’innalzava di quarto

d’ora in quarto d’ora, con una forte detonazione, un’altra colonna

di ceneri e di lapilli, mentre torrenti di lava scorrevano

lateralmente.

Sentivo le convulsioni della montagna, che respirava come una                              moby_dick_.jpg

balena, rigettando di tanto in tanto densi vapori dai suoi enormi

sfiatatoi.

Al di sotto, per un pendio molto ripido, masse di materie eruttive

scendevano a una profondità di otto o novecento piedi, il che

dava al cono eruttivo un’altezza di cento teste.

La base del cono spariva in una cintura di vegetazione nella quale

si distinguevano olivi, fichi e viti carichi di grappoli vermigli.

Non era l’aspetto delle regioni artiche, bisognava convenirne.

Oltre questa cintura verdeggiante lo sguardo si perdeva da ogni

lato nelle acque di un mare incantevole.

Eravamo in un’isola di poche leghe di diametro.                                                  stromboli2.jpg

A levante si scorgeva un piccolo porto, fiancheggiato da

poche case, e nel porto ondeggiavano battelli di una forma

particolare.

Al di là, gruppi di isolotti brillavano al sole.

Verso l’orizzonte di ponente si scorgevano coste e montagne

di conformazione armoniosa, oltre le quali appariva un cono

prodigiosa mente elevato, sulla cui cima si agitava un pennacchio

 di fumo.

A nord, il mare libero e di un azzurro intenso lasciava spuntare

qua e là l’estremità di un’alberatura o la convessità di una vela

gonfiata dal vento.     isola.jpg

Il fatto che quello spettacolo fosse del tutto imprevisto

ne accentuava la straordinaria bellezza.

– Dove siamo?

– Dove siamo?

continuavo a ripetermi, mentre Hans guardava intorno

con la solita calma.

Mio zio s’era rassegnato a non capire.

– Quale che sia questa montagna, disse alla fine,

– non varrebbe veramente la pena d’essere usciti da un’                                 VULCANO STROMBOLI.jpg

eruzione, per ricevere adesso qualche grossa pietra sulla

testa!

Scendiamo e ne sapremo di più.

Del resto muoio di fame e di sete.

(Jules Verne, Viaggio al centro della Terra)

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LA NUBE PURPUREA

Da  http://pietroautier.myblog.it

h. 14,00 gli organi di stampa informano l’arrivo della nube

proveniente dai cieli d’Islanda causa un’eruzione vulcanica……….

Questo articolo era notevole per la sua perpicacia, essendo stato

scritto molto prima degli altri: non molto dopo l’interruzione,             islanda.jpg

infatti, di ogni comunicazione con l’Australia; e già a quella

data Sloggett era in grado di dichiarare che il carattere del

disastro naturale non soltanto faceva pensare a una eruzione,

un altro Krakatoa, ma molto più imponente, senza dubbio in

una regione del Pacifico meridionale, ma inoltre indicava che

il suo elemento più attivo doveva essere, non la CO, bensì

il ferrocianuro di potassio, il quale, sottoposto a distillazione,                         nube4.jpg

insieme coi prodotti sulfurici, dal caldo dell’eruzione,

produceva acido cianidrico; e questo acido volatile,

spiegava, poiché atto a rimanere in  stato di vapore in

qualunque clima  al di sopra della temperatura di 26,5 gradi

 C., poteva avvolgere l’intero globo, spostandosi  soprattutto

nella direzione contraria alla rotazione della terra: le sole

ragioni che certamente ne sarebbero state risparmiate essendo

 quelle più fredde, entro i circoli polari artico e antartico, dove

il vapore si sarebbe condensato ritornando allo stato liquido,                           nube8.jpg

per cadere sotto forma di pioggia. 

Egli non prevedeva che la vegetazione ne dovesse subire

effetti di portata notevole, a meno che la durata e l’attività

del fenomeno si protrassero inconcebilmente a lungo, e

questo perché, sebbene il carattere venefico dell’acido

cianidrico consista soprattutto nella sua capacità di impedire

l’ossidazione, i vegetali hanno due fonti  di sussistenza: il

terreno, oltre che l’aria; tranne  questa sola eccezione, tutte                     nube7.jpg

le altre specie viventi, fino alle forme più elementari di vita,

sarebbero scomparse.

Quanto alla velocità della nube dilagante, secondo i suoi

calcoli essa variava tra le 100 e le 105 miglia al giorno; e

la data in cui probabilmente l’eruzione aveva avuto luogo,

egli la fissava  tra il 14, il 15 e il 16 aprile; ossia uno, due o

tre giorni dopo l’arrivo al Polo degli esploraori del Boreal;

e finiva l’articolo osservando che, se le cose stavano davvero 

come lui pensava, non c’erano rifugi di sorta dove la razza                nube2.jpg

umana potesse trovare scampo, a meno che si riuscisse a

chiudere ermeticamente miniere, gallerie e luoghi simili.

Avevo già pensato alle miniere, ma piuttosto distrattamente,

finché questo articolo, e altri che lessi in seguito, non

vennero a schiaffarmi, per così dire,

l’idea in testa.                                         

Perché lì mi dicevo ‘troverò un uomo, se mai lo trovo….’.     

Uscii dal palazzo, quel mattino come un uomo prostrato                            nube3.jpg

dalla vecchiaia; perché gli abissi di orrore che avevo

intravisti nel corso di quelle ore tenebrose mi avevano

reso debole, i miei piedi inciampavano, il mio cervello

barcollava.

Presi Farringdon Street, e arrivato a Piccadilly Circus,

dove quattro strade si incontrano, scorsi a perdita d’occhio,

quattro campi di cadaveri, cadaveri, vestiti come da uno                           nube.jpg

straccivendolo  in ogni sfumatura dello stinto; o vestiti a

metà, o del tutto svestiti, alle volte perfino ammucchiati

gli uni sugli altri, come già avevo osservato a Reading;

ma qui il loro aspetto scheletrico era più appariscente:

vedevo le spalle gonfie, le ossa dell’anca sporgenti, i

ventri svuotati……

(M.P. Shiel, La Nube purpurea)

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ISTRUZIONI SCIENTIFICHE PEI VIAGGIATORI 2

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Al viaggiatore cui tocchi la sorte di visitare un                             issel.jpg 

vulcano in eruzione, sono da raccomandarsi le

seguenti ricerche:

1) Determinare la posizione, la forma, le dimensioni

approssimative del cratere o dei crateri;

2) Prender nota della durata e della intensità delle varie fasi di

un’eruzione. Notare le condizioni metereologiche della località

(pressione atmosferica,temperatura, stato igrometrico, stato del

cielo) prima e durante ogni eruzione;

3) Vedere in quale ordine e in quanta copia relativa ne escano fumi

di varia natura, lapilli, bombe vulcaniche, lave;

4) Osservare se la notte i crateri emettono fiamme;

5) Osservare se gli sbuffi di vapori e di ceneri provenienti dal cratere sono preceduti da

rombi, e di quanti minuti secondi i rombi li precedono;

6) Osservare se i boati hanno un suono diverso quando sono seguiti da sbuffi di

varia natura;

7) Analizzare collo spettroscopio il bagliore delle lave incandescenti e le fiamme vulcaniche.

Per questa esperienza delicatissima è acconcio uno spettroscopio di Duboscq.

Lo spettroscopio a visione diretta di Hofmann non diede al Palmieri soddisfacenti risultati;

8) Osservare la forma, le dimensioni, l’aspetto dei torrenti di lava fluente;

9) Determinare la rapidità della lava, appena sia sgorgata dal cratere, quando corre per

forti pendenze o per piani lievemente inclinati;

10) Osservare l’odore ed il colore del fumo che emana dalle lave;

11) Osservare come procede in ordine alla temperatura delle lave lo svolgersi del fumo;

(Arturo Issel, Istruzioni scientifiche pei viaggiatori, 1881)

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ISTRUZIONI SCIENTIFICHE PEI VIAGGIATORI

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Rispetto alla comparsa del vulcano, ai mutamenti che ha subiti, alle conflagrazioni

cui ha dato luogo, bisognerà attingere precise informazioni dagli indigeni ….

chiedendo loro:

1) Se il vulcano comparve o no in tempi storici, e, in quest’ultimo caso, in qual

epoca;

2) Se in proposito si conservano antiche tradizioni;

3) Da quali circostanze, da quali fenomeni fu preceduta ed accompagnata la

formazione del vulcano;

4) Quali modificazioni ha subito l’apparato eruttivo dacché se ne conserva memoria;

5) Quante e quali sono state le eruzioni nei tempi storici;

6) Quali furono le eruzioni più grandiose, da quali fenomeni furono precedute o 

susseguite. Se si videro in alcune di esse sorger fiamme dal suolo o dal cratere;

7) Quale fu approssimativamente la massa dei vari espandimenti di lava emessi

dal vulcano;

8) Quando il vulcano acquistò la sua forma presente;

9) Da quanto tempo cessò di emettere fumo (se il vulcano non dà più segno di 

vita);

10) Se il paese è soggetto a terremoti, e qual sia l’estensione e l’intensità dei 

medesimi.

Le risposte a tutte queste domande, ottenute qualche volta da persone rozze ed

ignoranti, dovranno essere accolte colla massima riserva e confrontate con ragguagli

d’altra fonte, e, ove sia possibile, verificare colla vista personale dei luoghi; 

s’intende per ciò che concerne i fatti suscettibili di verificazione.

Ove esistono documenti antichi e moderni, come carte, cronache, storie, atti ufficiali,

si dovranno consultare per cercarvi ulteriori notizie sugli accennati argomenti.

Al viaggiatore cui tocchi la sorte di visitare un vulcano in eruzione, sono da 

raccomandarsi le seguenti ricerche:

…..

(Arturo Issel, Istruzioni scientifiche pei viaggiatori 1881)

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FRA GHIACCIO E FUOCO 3

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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Essa descrive un sistema globale molto simile a quello prospettato due secoli prima

da James Hutton, ma con messe a punto e ampliamenti tali da spiegare le contraddizioni

che la vecchia teoria non era stata in grado di chiarire. Secondo la concezione della tettonica

a zolle, la crosta terrestre si era spezzata in varie zolle; le principali sono la pacifica,

l’antartica, l’americana e l’africana, l’eurasiatica e l’australiana. Alcune di queste portano i

continenti, e tutte si muovono. I loro margini si estendono sulla superficie del pianeta 

secondo grandi linee curve frastagliate come le spaccature nel guscio di un uovo 

congelato. Il loro spostamento è variabile, così che in alcune aree le zolle si comprimono

una contro l’altra, in altre si allontanano e in altre ancora si muovono insieme.

Quando esse collidono, di solito una zolla si immerge sotto l’altra fin negli strati profondi

e fusi della terra in un’area detta zona di subduzione.

Una carta delle zone di subduzione postulate dalla teoria a zolle, paragonata con una mappa

dei vulcani di tipo esplosivo, mostra che esse coincidono. Apparentemente la parte

di crosta vischiosa, spessa 100-150 km, che si immerge in profondità, fonde mentre

penetra in parti sempre più calde del mantello superiore. Il magma prodotto nel processo

trova la sua via di uscita in superficie e forma delle cinture lungo le zone di subduzione.

La tettonica a zolle offre anche un argomento valido per spiegare l’anomalia dei vulcani

hawaiiani, che eruttano con un andamento tranquillo e si trovano lontani da 

qualsiasi zona di subduzione o, di conseguenza, da qualsiasi parte marginale di una 

zolla. I vulcanologi presto avanzarono l’ipotesi dell’esistenza di ‘punti caldi’ simili a 

torce, di materiale fuso che si intravede verso l’alto e proviene da una zona fissa sotto

la zolla pacifica; mentre la zolla si muoveva verso nord-ovest attraverso il punto caldo,

i vulcani che formavano le isole hawaiiane emergevano uno dopo l’altro secondo una

direttrice nord-ovest sud-ovest, con i vulcani più recenti ancora attivi situati nelle 

isole a sud-est. 

Se però, come presuppone la tettonica a zolle, molte zone crostali sprofondavano e si

distruggevano, dove si riformavano? La risposta alla domanda era, da una parte, un 

punto di vitale importanza per confermare la validità della teoria della tettonica a 

zolle. Essa fu inoltre una delle più stupefacenti rivelazioni della natura del vulcanesimo

in tutta la storia della scienza.

I vulcani di tipo esplosivo sono da sempre nemici dell’uomo. Fin da quando si hanno 

testimonianze storiche essi hanno oscurato i cieli, sepolto città e alimentato la creazione

di miti. L’uomo, d’altra parte, ha estratto dai vulcani le loro ricchezze minerarie e ha

arditamente fatto pascolare il bestiame sui loro pendii insicuri. Nel 1950 nel disegnare la

mappa dei fondali oceanici di tutto il mondo, gli scienziati si resero conto che queste 

grandi montagne esplosive erano solo la parte visibile dell’attività vulcanica terrestre.

Nelle profondità marine gli oceanografi scoprirono infatti un grandioso sistema, che si

estendeva per 65.000 km, di dorsali medio-oceaniche, cioè enormi catene montuose divise

nel senso della lunghezza da una fossa tettonica centrale, che delimitava due zolle in 

allontamento fra loro. Lo strano comportamento dei vulcani dell’Islanda diveniva così

comprensibile quando apparve chiaro che questo era uno dei rari luoghi sulla terra dove

una dorsale medio-oceanica poteva essere osservata in superficie. Il magma basaltico

sgorgava da queste lunghe fessure terrestri, ma il processo eruttivo era per la maggior

parte tranquillo e regolare, come se del cemento fosse iniettato in uno stampo. I geologi

si convinsero presto che questo magma basaltico grigio e uniforme era davvero una 

specie di cemento universale, che risaliva in superficie lungo le zone di sprofondamento,

per riempire ciò che altrimenti sarebbe stata una spaccatura tra due zolle tettoniche in

allontanamento. Date le proprietà contrastanti del fuoco e dell’acqua, sembrerebbe

probabile che, quando questi vulcani a fessura si aprono in profondità sotto il mare,

ne derivino violente perturbazioni. Ma questo non è avvenuto.

In nessun luogo, l’aspetto magnifico e armonico del pianeta terra è più evidente che 

nella zona di incontro tra il greggio e incadescente magma e la trasparente acqua marina,

lungo le fessure dei rifts medio-oceanici. Mentre la lava incandescente fluisce dalle 

fessure, la pressione del mare sovrastante è così alta che i gas volatili contenuti nel

magma, che in altri casi potrebbe causare esplosioni e un parossismo di vapore e di

rocce, sono tenuti in soluzione. Il magma comincia a solidificare a contatto con l’acqua e

si rompe in milioni di blocchi a forma per lo più ellissoidale: è la lava a cuscini, che 

si accumula lungo le fratture.

Queste sono le rocce che pavimentano i fondali oceanici. 

Esse migrano lentamente sulla crosta terrestre, gradualmente vengono coperte con

sedimenti, finché, milioni di anni dopo, saranno spinte di nuovo giù, nella fornace

interna della terra, dal processo di subduzione. Nel frattempo, altre nuove rocce da 

pavimentazione verranno prodotte lungo i rifts in un processo incessante, che si

può definire come l’origine stessa della superficie della terra.

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FRA GHIACCIO E FUOCO 2

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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L’Islanda sta mostrando ai geologi un vulcanesimo dall’aspetto completamente diverso da

quello conosciuto in altre zone. I suoi 100.000 km quadrati di terre emerse composti quasi

totalmente da basalto nero, inframezzato da sporadici pascoli subartici e boschi di conifere,

erano squarciati da grandi fenditure, di solito parallele, come se l’isola fosse stata sottoposta

ai fendenti di un enorme coltello che aveva solcato il terreno. Parecchi vulcani islandesi

eruttavano, non come altrove, dalla sommità del cono, ma da fessure talora formatesi di

recente e talora preesistenti. Sebbene fossero incapaci di spiegare questo strano fatto, i

geologi erano aconoscenza della particolare natura dei vulcani islandesi fin dalla

spaventosa eruzione del Laki, avvenuta nel 1783.

All’inizio di giugno di quell’anno una serie di fratture, lunghe 25 km circa, si era aperta

all’improvviso vicino alla costa meridionale dell’Islanda. Dopo un preludio esplosivo,

accompagnato dall’emissione di grandi quantità di nuvole di ceneri, la lava basaltica

aveva cominciato a defluire dalle FRATTURE. Essa aveva continuato a scorrere per 

tutta l’estate, con una serie di eruzioni intermittenti, originate da nuove fessure che

si aprivano nella stessa zona. In agosto un’area di circa 580 km quadrati era stata 

ricoperta da nuove rocce. L’eruzione del Laki era terminata nel febbraio 1784, ma

ormai l’atmosfera intorno all’isola si era impregnata di una nebbia bluastra e 

sulfurea che aveva contaminato i raccolti ed ucciso oltre la metà del bestiame.

La nebbia era poi così acceccante che i pescatori islandesi, di solito molto coraggiosi,

non se l’erano sentita di uscire a pescare. Quell’inverno un quinto dei 49.000 abitanti

dell’isola era morta di fame.

Nella prima metà del XX secolo i vulcanologi raccolsero dati su molti altri espandimenti

lavici di tipo non esplosivo. Uno di questi creò, circa 100 milioni di anni fa, il Tavolato

di Deccan, nell’India nord-occidentale, che si estende su un’area di circa 518.000 km

quadrati e 25 milioni di anni fa un altro espandimento formò, nel nord-ovest degli 

Stati Uniti, il Tavolato del Fiume Columbia, che si estende su 227.000 km quadrati.

Nel 1947 una spettacolare eruzione, di tipo lineare, del vulcano Hekla in Islanda

offrì l’opportunità di una ricerca approfondita; gli studiosi furono così costretti a dare

una risposta alla domanda che ne scaturiva: perché i vulcani dell’Islanda si comportavano

in modo così diverso da quelli del Mediterraneo, e questi differivano a loro volta da 

quelli delle Hawaii?

Gli scienziati alla fine trovarono la chiave dell’enigma nella viscosità del magma.

La viscosità del magma può essere definita come l’attrito interno di un fluido.

Nei fluidi ad alta viscosità, come il catrame, il grande attrito interno fa sì che essi 

scorrano molto lentamente. Fluidi meno vischiosi, come l’acqua, si muovono facilmente

perché le singole particelle si spostano, una rispetto all’altra, con un attrito minimo. 

L’elemento presente in maggior quantità nel magma è la silice. 

I geologi sapevano che oltre il 50% della massa della crosta terrestre è composta di silice,

essa è infatti il costituente principale della maggior parte delle rocce del magma.

Continue ricerche sul chinismo del magma portarono alla conclusione che è la quantità

di silice di solito a determinare la viscosità del magma: maggiore è il contenuto di 

silice, più vischioso è il magma.

Quando il contenuto di silice raggiunge o supera il 70% del totale, il magma risultante

è vischioso ed ha consistenza pastosa; esso viene definito magma fesico o acido perché la

roccia che ne deriva è ricca di silice e di feldspati.

Quando il magma contiene meno del 50% di silice, è meno vischioso e più simile all’acqua,

ed è detto magma fenico o basico a causa del contenuto in magnesio e ferro di minerali che

da esso si formano. La viscosità può essere determinata anche da sbalzi di temperatura, o

dalla presenza, nel magma, di gas  o di intrusioni solide come frammenti della roccia

incassante o grandi cristalli.

La comprensione del problema della variazione di viscosità del magma portò a una

spiegazione del perché alcuni vulcani, soprattutto quelli hawaiiani e quelli mediterranei

antichi, lanciavano enormi quantità di gas nell’atmosfera senza esplodere in modo

catastrofico, come il Krakatoa o La Pelée. Alcuni, come lo Stromboli nelle Isole Lipari,

ribollivano e crepitavano. Altri, come il Kilauea nelle Hawaii, emettevano semplicemente

delle colate di lava. Ciò che questi vulcani relativamente tranquilli avevano in comune

era il loro magma, a basso contenuto di silice, di tipo basico; la sua viscosità era talmente

bassa che quando i gas volatili si liberavano dal magma, potevano salire a velocità costante

ed espandersi tranquillamente nell’atmosfera. D’altra parte, vulcani esplosivi come il

Vesuvio, il Tambora, il Krakatoa e La Pelée avevano tutti un magma acido, ad alto

contenuto di silice, che agiva in modo diverso. Quando questo magma denso e vischioso

raggiunge la superficie, tende a ostruire il camino vulcanico. Esso si solidifica a una

temperatura molto più alta del magma basico, cosicché a volte forma sopra la bocca

del cratere una crosta, che i geologi chiamano cupola di ristagno. Tutto ciò intrappola

il gas al di sotto della superficie, lasciando che esso faccia aumentare così tanto la

pressione interna che i fianchi della montagna vulcanica si gonfiano sotto la tensione.

Ad un certo momento inevitabilmente la cupola si spacca e il magma, in forma solida,

liquida e semisolida, mescolato con frammenti di rocce antiche e grandi quantità di gas

inclusi viene lanciato in aria.

Nonostante la più approfondita comprensione del funzionamento dei diversi tipi di

vulcani, gli scienziati non potevano ancora spiegare la distribuzione dei vulcani in tutto

il mondo. Dei 600 vulcani attivi identificati, quasi tutti erano di tipo esplosivo e si trovavano

localizzati in strette fasce; una di queste, nota come Anello di Fuoco, descrive approssima

tivamente un cerchio che seguiva le coste dell’OCEANO PACIFICO; un’altra cintura

si allungava attraverso il Mediterraneo settentrionale, l’ASIA MINORE e l’HIMALAYA.

Ora, mentre i vulcanologi erano in grado di spiegare in che modo i vulcani dell’Islanda

e delle Hawaii erano radicalmente diversi dagli altri vulcani eruttivi, non potevano

precisare perché queste aree isolate mostravano un vulcanesimo in apparenza così

anomalo.

Le risposte giunsero nel modo più anaspettato a metà degli anni 70, in conseguenza

di una spinosa controversia nella comunità scientifica che rispettava la tradizione delle

dispute tra vulcanisti e nettunisti nel XVIII secolo. Quando, dopo alcuni anni di

discussione, le acque si calmarono, fu proposta una nuova teoria con la quale i 

misteri della vulcanologia e di tutte le scienze della terra vennero chiariti come non

lo erano mai stati prima; la nuova visione strutturale della terra fu chiamata 

TEORIA DELLA TETTONICA  A  ZOLLE  O  A  PLACCHE.

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FRA GHIACCIO E FUOCO 1

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

      http://pietroautier.myblog.it

Una tera difficile: eruzione di un vulcano 15 aprile 2010

Il territorio islandese è quasi completamente formato da rocce vulcaniche, profondamente

rimodellate da fenomeni glaciali e agenti atmosferici. Vaste aree sono costituite da tavolati

di rocce basaltiche stratificate, originati dalla sovrapposizione di colate successive di lave

molto fluide, con la capacità di scorrere come fiumi e percorrere in questo modo grandi

distanze. In Islanda l’emissione di queste lave è legata principalmente ad un’attività eruttiva

di tipo non centrale (vulcani propriamente detti), ma fessurale. 

Le fessure eruttive corrispondono alle zone attive della dorsale medioatlantica, che

attraversa l’isola in direzione NORD-SUD da Husavik al vulcano Askja, per poi dividersi

in due rami, orienali verso SUD e SUD-OVEST. In quest’area si trovano fessure eruttive

ad attività recente come Eldgja e Laki, a SUD-OVEST del Vatnajokull, e Ludentborgir

nella zona del lago Myvatn, tutte caratterizzate da l’accumulo di materiali vulcanici sciolti

attorno ai condotti eruttivi e allineati secondo fratture della superficie rocciosa lunghe

parecchi chilometri. Tali fratture sono dovute ai processi di estensione della crosta 

terrestre che avvengono lungo la dorsale oceanica e ne hanno, infatti, la stessa orientazione.

Nelle zone dove l’estensione non è stata accompagnata da rilevanti fenomeni vulcanici

si sono formate ampie depressioni dal fondo piatto e dalle pareti a gradinate, dette 

fosse tettoniche o graben, alcune delle quali sono attualmente accupate da laghi, come il 

Pingvallavatn e il Porisvatn.

La sovraposizione di bancate di rocce basaltiche, spesso intercalate con sottili strati di

tufi prodotti in fasi più esplosive, è ben osservabile nelle zone vulcaniche più antiche, dove

i tavolati sono stati più profondamente erosi, come ad esempio lungo le ampie valli scavate

dai ghiacciai, molte delle quali terminano in spettacolari fiordi o sono occupati da laghi;

oppure anche nelle profonde gole incise dai corsi d’acqua, come quella del Jokulsà à

Fjollum, a est del lago Myvatn. I fiumi che scavano il loro letto in questi tavolati devono

spesso superare dislivelli di varie decine di metri fra due successive bancate, formando

imponenti cascate, quali quelle di Dettifoss e Hafragilsfoss, Godafoss e Svartifoss, nel

parco di Skaftafell. Spesso queste cascate mettono a nudo spettacolari strutture a colonne

esagonali della roccia basaltica, originatesi per contrazione durante il raffreddamento

successivo alla solidificazione della lava e orientate sempre perpendicolarmente rispetto

alla superficie originaria della colata.

I carattere superficiali delle colate sono facilmente osservabili sui vasti campi di lave

recenti, non ancora ricoperti da vegetazione. Lave molto fluide, che si raffreddano

mentre scorrono, sono all’origine di superfici rugose e ondulate, in forme che ricordano

delle corde arrotolate. Talvolta al di sotto della superficie già solidificata si costituisce

un tunnel entro il quale scorre la lava ancora fluida: al cessare del flusso restano grotte

e gallerie cave, come quelle notissime di Surtshellir e Stefanshellir, nei pressi del

Langjokull.

Lave meno fluide producono, invece, colate formate da blocchi già parzialmente

solidificati, che rotolano lentamente e si ammassano gli uni contro gli altri.

Sebbene le eruzioni fessurali siano le più comuni in Islanda, non mancano però eruzioni

provenienti da un unico condotto che danno luogo a edifici vulcanici di differenti 

tipologie, a seconda delle modalità di eruzione. 

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