LA FINE DEL LAVORO 3

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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Si è scritto e letto molto sui circoli di qualità, sul lavoro di gruppo e sulla maggiore 

partecipazione dei lavoratori sul luogo del lavoro. 

Poco o nulla si è detto e scritto, invece, sulla dequalificazione del lavoro, sui ritmi di

produzione sempre più accelerati, sui maggiori carichi di lavoro e sulle nuove forme

di coercizione e di sottile intimidazione utizzate per costringere il lavoratore a sottomettersi

alle esigenze della produzione post-fordista.

Le tecnologie dell’informazione sono progettate per eliminare le ultime, pallide vestigia 

del controllo che l’uomo ha sul processo produttivo, attraverso la programmazione di

istruzioni dettagliate direttamente nella macchina, che è così in grado di eseguirle alla

lettera. 

Il lavoratore viene privato dalla capacità di esercitare il libero arbitrio, sia in fabbrica sia

negli uffici, e del controllo sul risultato, che viene pianificato in anticipo da esperti 

programmatori. Prima del computer, il manager produceva istruzioni dettagliate in forma

di ‘schedulazioni’ che ci si aspettava venissero rispettate dai dipendenti; poichè l’esecuzione

dell’incarico era nelle mani dei lavoratori, era possibile introdurre nel processo un elemento

soggettivo: nel mettere in atto la pianificazione del lavoro, ogni lavoratore dava la propria

impronta personale al processo produttivo. Il passaggio della produzione pianificata alla

produzione programmata ha profondamente alterato il rapporto tra lavoratore e lavoro;

oggi un numero crescente di lavoratori agisce esclusivamente come osservatore, incapace di

partecipare o intervenire sul processo produttivo: qualunque cosa accade in fabbrica o nell’

ufficio è già stata pre-programmata da un’altra persona che potrebbe non partecipare mai 

alla realizzazione del futuro che ha creato.

(J. Rifkin, La fine del lavoro)

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LA FINE DEL LAVORO 2

Da http://pietroautier.myblog.it

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Quasi tutti i leader della comunità economica e la maggior parte degli economisti

ortodossi continuano ad affermare che i drammatici cambiamenti tecnologici della

Terza rivoluzione industriale avranno un effetto a cascata, riducendo il costo dei 

prodotti, stimolando una crescente domanda di consumo, creando nuovi mercati e

offrendo a un numero crescente di persone un posto di lavoro meglio retribuito nei

settori dell’alta tecnologia. Comunque, per un numero sempre più grande di disoccupati

o sottoccupati, il concetto di effetto a cascata è una magra consolazione.

Alla USX Corporation, i dipendenti hanno sperimentato in prima persona l’effetto a 

cascata della tecnologia. Il 26 marzo 1991 la USX – uno dei maggiori produttori di 

acciaio negli Stati Uniti ha annunciato il licenziamento dei 2000 dipendenti dello 

stabilimento di Fairless sul fiume Delaware, in Pennysylvania. 

Benché gli azionisti abbiano tratto profitto dalle nuove tecnologie e dai balzi in avanti

della produttività, i benefici non sono scesi ‘a cascata’ verso il lavoratore medio. 

Durante gli anni 80, la retribuzione oraria media reale nel settore industriale è 

diminuita da 7,78 a 7,69 dollari. Alla fine di quel decennio, circa il 10% dei lavoratori

americani era disoccupato, sottooccupato o occupato a tempo parziale in 

mancanza di un impiego a tempo pieno, se non era così scoraggiato da non cercare

più un posto di lavoro. 

Tra il 1989 e il 1993, nel settore manifatturiero più di 1,8 milioni di occupati sono stati

licenziati, nella maggior parte vittime dirette o indirette dell’automazione: dirette 

nel caso in cui l’automazione dei processi abbia avuto luogo nelle imprese in cui erano

impiegati; indirette nel caso in cui le nuove tecnologie, applicate in imprese straniere

e concorrenti, abbiano costretto le aziende americane a ridimensionarsi e a licenziare.

Di tutti coloro che hanno visto sacrificare il proprio lavoro sull’altare dell’automazione,

solo un terzo ha potuto trovare una nuova riduzione media nella retribuzione del 20%.

I dati ufficiali sulla disoccupazione sono spesso fuorvianti e mascherano la reale

dimensione dell’attuale crisi accupazionale. 

(J. Rifkin, La fine del lavoro)

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