LA FATTORIA DEGLI ANIMALI

Quanta fatica e sudore per ritirare il fieno !

Ma i loro sforzi furono infine compensati perché il raccolto fu assai 

migliore di quanto avessero potuto sperare.

Talvolta il lavoro era duro; gli strumenti erano stati fatti per 

l’uomo e non per animali, ed era un grande svantaggio che nessun 

animale potesse usare utensili per i quali sarebbe stato necessario 

reggersi sulle gambe posteriori.

Ma i maiali erano tanto intelligenti che sapevano superare ogni 

difficoltà.

Quanto ai cavalli, essi conoscevano il campo a palmo a palmo e 

in realtà si intendevano e sapevano di mietitura e di rastrellatura

assai più e meglio di Jones e dei suoi uomini. 

I maiali non lavoravano, ma dirigevano gli altri.

Con la loro cultura superiore era naturale che assumessero la dire

zione della comunità.

Gondrano e Berta si attaccavano al falciatoio o al grande rastrello

e andavano senza sosta su e giù pel campo con un maiale che 

camminava al loro fianco gridando : – Avanti, compagni !  o 

– Indietro, compagni ! 

a seconda del caso.

E ogni animale, fino al più umile, lavorava a voltare il fieno e 

a raccoglierlo.

Persino le anatre e le galline nonché le oche si affannavano qua

e là tutto il giorno sotto il sole, portando fili di fieno nel becco.

( G. Orwell, La fattoria degli animali, Oscar Mondadori )

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IL MENDICO E IL POLITICO

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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– Voi vi pensate, disse il mendico, – per l’aspetto ch’io mostro

ch’io fossi un uomo infelice, bruttissimo, sporcissimo e di 

miserie e d’infermità ripieno ?

– Così, disse il politico ( ed il graduato ), io mi penso ancora.

– E pur, ripigliò il mendico, voi di gran lunga v’ingannate, 

perché tale io  non sono . E’ ben vero che il tutto con arte

faccio e molto più di quello che voi vedete.

E quantunque agli occhi vostri io appaia qual vi rassembro,

tuttociò d’altro aspetto son riguardevole.

Perché, oltre che mi trovo assai giovane e gagliardo, non 

vivo così poveramente come a voi par che viva.

Anzi se  ‘l ver dir voglio, trapasso una vita felicissima

d’allegrezze e di comodità ripiena.

Io me ne vo tutto ‘l giorno a spasso a l’altrui spese, ricerco

tutto il mondo senza spendervi pur un picciolo, con l’altrui 

danaro soccorrendomi.

Cammino securamente giorno e notte senza punto temer di 

ladri; anzi talor rubo loro con le affettate parolucce mie molti

denari.

Godo quello ch’io m’attrovo, nè di perderlo temenza m’affligge.

Non son obbligato ad alcuno di render di mia roba.

Né alcuno mi porta invidia, ma tutti hannomi compassione;

son iscusato di non prestar giammai o di dar a credenza.

Non ho de liti travaglio.

E manco temo che le tignuole mi rodano le vestimenta.

Non dubito de’ corsari, di tempeste o di scogli che mi 

rubino, sommerghino o rompino le mie navi.

Né punto temo di guerre o di revoluzioni di stati.

Di gabelle, di dazi di decime non son tassato : solamente

per riscuotere ho qualche obbligo.

Per me può tempestare, venir la gragnuola, soffiare i venti

e scuotersi il mondo, che non mi si leveranno le mie entrate.

Non temo di ladri che mi rubino l’oro, che gli avari facciano

carestia, o chi per ereditar mi brami la morte.

Manco dubito che alcuno, per levarmi le comodità, tradir mi 

voglia.

Io non sono ansioso di accumular molto, nè tormento da diligenza

di conservarlo, o afflitto da temenza di perderlo.

Dove io mi trovo vi son anco co  ‘l cuore.

Ciò che mi guadagno il giorno me logodo la sera e quello che la

sera godo, non temo che involato mi sia la notte.

( P. Camporesi, Il libro dei Vagabondi, Garzanti )

 

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IL PONTE

Da   http://pietroautier.myblog.it

       http://giulianolazzari.myblog.it

Attraverso il ponte la strada conduce oltre il ruscello montano

fiancheggiando la cascata. Già una volta ho percorso questa

strada-già molte, molte volte, ma una volta in particolare.

Fu in tempo di guerra e la mia licenza era alla fine, dovevo

di nuovo rimettermi in cammino ed affrettarmi su strade

provinciali e ferrovie per ripresentarmi puntualmente e

riprendere il servizio.

Guerra e servizio, licenza e richiamo, cartolina rossa e carto

lina verde, eccellenze, ministri, generali, uffici- tutto un mondo

incredibile e babelico, che pure viveva ed aveva per di più

potere di avvelenare il mondo e di snidare un piccolo viandante

e acquarellista come me dal suo rifugio.

Qui si estendevano prato e vigna, e sotto il ponte, era sera,

gorgogliava il ruscello nell’oscurità, e il cespuglio bagnato 

abbrividiva, un cielo serale agonizzante si inarcava in una 

frescura rosata, presto vi sarebbero state le lucciole.

Non una pietra, qui, che non amassi.

Non una goccia della cascata alla quale non fossi grato, 

non una goccia che non provenisse direttamente dalla dimora

di Dio. 

Ma tutto ciò era niente, ed il mio amore per il cespuglio bagnato

e incurvato era sentimentalismo, la realtà era ben diversa, si 

chiamava guerra e dava fiato alla tromba per bocca di un generale

o di un maresciallo, ed io dovevo correre a da tutte le valli del

mondo mille altri dovevano correre, e un tempo immenso aveva 

inizio. 

E noi, povere buone bestie correvamo in fretta e quel tempo cresceva

a dismisura. 

Ma per l’intero viaggio cantò in me l’acqua gorgogliante sotto il 

ponte e risuonò la morbida stanchezza dell’umido cielo serale, e 

tutto era oltremodo folle e doloroso.

Ora ce ne andiamo di nuovo, ognuno lungo il suo ruscello, ognuno

per la sua strada ed osserviamo il vecchio mondo, cespuglio e 

prati, con occhi fatti più silenziosi e più stanchi.

Pensiamo agli amici che sono sepolti e sappiamo solo che così

doveva essere, e sopportiamo con tristezza.

Ma ancora scorre graziosa l’acqua bianca e azzurra colando dalla 

montagna bruna e canta la vecchia canzone, e il cespuglio è gremito

di merli.

La tromba non strepita dalla lontananza sino a noi, il tempo è 

di nuovo costituito da giorni e notti colme di malie, di mattini e

di sere, di mezzodì e tramonti, ed il paziente cuore del mondo ha

ripreso a battere.

Se ci distendiamo sul prato con l’orecchio alla terra, o ci curviamo 

dal ponte sull’acqua, o scrutiamo a lungo nel cielo chiaro, lo sentiamo,

l’immenso placido cuore della terra, ed è il cuore della madre di cui

noi siamo i figli.

Se oggi ripenso a quella sera quando percorsi qui il cammino del 

commiato, risuona già da orizzonti lontani il rimpianto la cui 

azzurrità profumata niente sa di battaglie e di grida.

Ed un giorno non esisterà più niente di ciò che ha consumato e 

tormentato la mia vita e che tanto spesso l’ha colmata di opprimente

angoscia.

Un giorno verrà la pace con l’ultima stanchezza, e la terra madre mi 

accoglierà in sé.

Non sarà la fine ma una nuova nascita, sarà un bagno e un sapore in

cui si inabisserrà tutto il vecchio e l’appassito e il giovane e il nuovo

riprenderanno ad alitare.

Allora con altri pensieri voglio ripercorrere tali strade, origliare ai 

ruscelli, spiare i cieli serali, sempre e poi sempre.

(  H. Hesse,Il ponte, Storie di vagabondaggio, Newton ed. )

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