UNA DIAGNOSI (terza seduta)

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Innanzitutto il materiale etnografico non accredita alcuna base ‘biologica’ alla

cosiddetta malattia sciamanica, che apparentemente compare negli anni della

maturazione sessuale. Ci sono certamente molte testimonianze secondo le

quali la malattia comincia a manifestarsi nel futuro sciamano durante la

pubertà, ma la letteratura abbonda anche di notizie su persone in cui questi

disturbi ebbero inizio all’età di venti, trenta o persino quarant’anni.

Un ‘Selkup che diverrà sciamano si ammalerà a diverse età, a 14 anni o 15

anni, ma anche più tardi, a 20 o 21 anni’, scrive E.D. Prokof’ Eva.

E leggiamo in Anokhin:’ L’inizio della chiamata allo sciamanesimo varia tra

i 6 e i 50 anni di età. La più alta percentuale la riceve nel ventesimo’.

Le affermazioni di questo tipo sono moltissime e, in base al materiale in mio

possesso, un buon numero di sciamane uzbeche furono afflitte dalla

malattia ben dopo il matrimonio, quando avevano già avuto da uno a tre

figli.

Incontrai personalmente una di esse, alla quale gli spiriti erano apparsi intorno

ai 60 anni. Quindi, la cosiddetta malattia sciamanica non è necessariamente e

naturalmente connessa con i cambiamenti corporei legati all’età e si può presumere

che dipenda da fattori di diversa natura.

Risulta necessario risalire alle origini della civiltà umana.

Tanto per cominciare, nella remota antichità si pensava che pazzia e disordine mentale

fossero causate dal volere degli spiriti, perciò una persona ‘posseduta’ sarebbe dovuta

svenire e avrebbe dovuto assumere comportamenti inspiegabili in una mente sana.

La necessità di avere attacchi e di manifestare sintomi di pazzia potrebbe dunque

essere stata suggerita allo sciamano dalle tradizioni della sua gente.

Chi fosse stato scelto dagli spiriti, infatti, sarebbe caduto preda di attacchi non perché

epilettico o nevrotico, ma perché sapeva, fin dall’infanzia, che essi colpiscono sempre

e inevitabilmente coloro che sono destinati a diventare ‘servitori degli spiriti’.

(M. M. Balzer, V.N. Basilov, I mondi degli sciamani)

…allego in PDF dichiarazione dei diritti dei nativi e segnalo due siti…

dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.pdf

http://www.unric.org/it/diritti-umani/54

http://www.nativiamericani.it

sciamani.jpg

QUELLI DI CARTAGENA

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Luogo: Sudamerica; data: nomembre 1735; porta: Cartagena de las Indias.

Con null’altro che i passaporti firmati dai re                      sud america.jpg

borboni, i nostri filosofi della natura avevano

fatto breccia nelle pareti fitte di licheni della

ciclopica fortezza posta di guardia al fondaco

per eccellenza delle Americhe.

Percorsa la Boca Chica ed entrati nella baia,

i nostri furono come sopraffatti dagli ardenti

affluvi dei fiori, dall’aroma di vaniglia, dai

piacevoli odori di delizia della terra ferace attorno al gran porto.

Ogni cosa divenne motivo di delizia e meraviglia ai loro occhi.

Lungo il melacon, vestiti di bianchi calzoni attillati e di corte giacche pure bianche,

i copricapi di paglia brunastra, i peoni ondeggiavano sotto il peso de ‘las cosas de

Espana’: pelli di Cordova, vino della Mancia, arrobas d’olio di Jaén, e prodotti delle

fabbriche di tutta Europa – oggetti di vetro, armi da fuoco, tessuti di Madras.

Sul litorale, lambito dalla risacca una teoria di palme; balsaminacee e acacie, in

piena fioritura, empivano a onde le strade animate dal loro profumo.

Ai margini della città, i nostri attraversarono boschetti di alberi di cacao; di quel

cacao che dava la cioccolata, che solo i parigini più ricchi potevano permettersi.

Mangiarono papaya, guyaba, chirimoya; si empirono da scoppiare del frutto

delizioso e tenero del sapote: si sciolsero in rapsodie al gusto dell’ananasso,

‘che maturo e scortecciato, trabocca a tal punto di succo, da sciogliersi interamente

in bocca’.

Cartagena – non tardarono a scoprire – era il perno, l’arteria commerciale principe

della Spagna e i reami di questa sul Pacifico. Ogni legno diretto al Nuovo Mondo

era costretto a farvi il primo scalo. L’onore di essere tra le uniche porte d’accesso alle

Americhe spettava, oltre che a Cartagena, a Puerto Bello (Panama) e a Vera Cruz (Messico).

I convogli provenienti dalla Spagna toccavano per prima Cartagena, dove sbarcavano

il carico destinato a quella che ora è la Colombia ed era allora il vicereame di Santa Fe.

La scelta di Cartagena era stata determinata non tanto dalla posizione geografica, quanto

dall’inaccessibilità del sito della medesima, che ne faceva una città praticamente

inespugnabile.

Passeggiandovi, e considerando anche i sobborghi, i francesi la giudicarono ‘ben disegnata’.

Strade dritte, ampie, uniformi e ben lastricate; case in gran parte di pietra, talune di

mattoni, in generale a un solo piano oltre il pianterreno, con appartamenti abilmente

progettati.

Cartagena aveva il suo governatore, il quale, sebbene nominato dal re, dipendeva dal

viceré; il suo cabildo, che amministrava gli affari locali; una guarnigione con un

comandante responsabile verso il governatore: e una sede DELL’ INQUISIZIONE

che non dava conto di sé a nessuno.

Per i francesi, freschi freschi da Parigi dove vigeva libertà d’azione e dove la libertà di

parola, purché si osservassero le sfumature dell’urbanità, permetteva  di dire tutto

ciò che si volesse (o quasi), il constatare la presenza concreta della SANTA INQUISIZIONE

fu un rude colpo. ROBA DA MEDIOEVO, né più né meno.

Fondato nel 1569 per decreto di Filippo II, IL TRIBUNALE era composto di tre inquisitori,

due segretari e un certo numero di accoliti che ne metteva in pratica le decisioni:

IMPICCANDO, BRUCIANDO sul rogo, incarcerando.

Gli spiritacci di Cartagena dicevano che il Tribunale consisteva di ‘ UN SANTO CRISTO

DOS CANDELEROS Y TRES MADEROS’ e cioè un crocefisso, due candelabri e tre babbei;

ma, data la potenza del medesimo, che andava ben oltre quella dell’autorità temporale,

sarebbe stato poco prudente per uno straniero far eco a simili sentimenti.

Il Tribunale deteneva il controllo dell’intera vita INTELLETTUALE degli abitanti, esercitando

una rigida supervisione (COSTANTE E TEMPORALE) su ogni cosa, incluse INTRODUZIONE,

PUBBLICAZIONI E VENDITA di qualsiasi forma di prodotto letterario.

I librai erano tenuti a fornire elenchi dei libri in vendita e a distruggere quelli condannati

dall’Inquisizione: tale era il potere di questa.

La popolazione della ‘Perla delle Indie’ aveva imparato da tempo a tenersi lontana dagli

occhi del Tribunale e, per buona memoria, amava ripetersi il proverbio ‘DE REY E

INQUISICION – CHITON’.

A Cartagena, gli accademici incontrarono i capitani dell’Armada Real destinati a esser loro

colleghi nella misurazione dell’arco meridiano. Si trattava dell’emerito Don Jorge Juan y

Santacilla, matematico e comandante dell’ordine di Aliaga e di Malta, e del suo vice

e portaparola del re don Antonio de Ulloa, giovane, notevolmente astuto, matematico

valente e, per breve periodo, governatore della Luisiana.

Il re aveva dato loro due ordini: contribuire al meglio delle possibilità alla riuscita

del programma scientifico dei francesi e IMPEDIRE AI MEDESIMI OGNI INVESTIGAZIONE

DEL REAME AL DI FUORI DI DETTO PROGRAMMA.

Erano stati inoltre incaricati di compilare un rapporto sullo ‘stato dell’impero coloniale’,

al quale diedero titolo di NOTICIAS SECRETAS DE AMERICA.

Questo rapporto, il più sagace e penetrante mai stato scritto su un impero coloniale, con

corredo di raccomandazioni di riforma ben specificate, non provocò misure di alcun

genere né venne pubblicato.

In seguito, ne capitò in mano inglese una copia, che fu stampata 75 anni dopo la

stesura.

PER IL VERO POCO O NULLA SI SEPPE MAI DELL’INTREPIDA COLONIA….DURANTE

LA PERMAMENZA DEI COLONI.

(Charles-Marie de La Condamine, V.V. Hagen, Scienziati-Esploratori alla scoperta

del SudAmerica)

….in riferimento ai tribunali dell’inquisizione….

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www.museogalileo.it

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PRIMA TERAPIA: LA MUSICA

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In un articolo pubblicato su ‘Civiltà Cattolica’ del 1960 padre Des Places esaminava

le valenze di ‘separazione’, ‘entusiasmo’, ‘scossa’, ‘stupore’, ‘delirio’ e ‘pazzia’ nell’

antica GRECIA e concludeva che in essa vi furono forti esperienze estatiche con

un retroterra molto simile in parte al mondo spirituale dell’Asia centrale e della

Siberia, e in parte all’India vedica.

Nuccio d’Anna riconosce in EPIMENIDE DI CRETA un tipico rappresentante di

estatico vagante greco, al quale si attribuivano una vita spirituale fatta di dure

ascesi, digiuni e l’uso di sostanze allucinogene come l’asfoledo e l’alimon;

questi elementi assieme ai caratteri di indovino, purificatore, consigliere politico

oltreché l’uso di tatuaggi richiamano ad una figura molto arcaica d’estatico la

cui tipologia è tipicamente sciamanica centroasiatica.

Per un aprofondimento dell’idea di uomo come microcosmo nelle culture

precristiane e sciamaniche non possiamo non rimandare all’opera del benedettino

C.K. Krasinski intitolata ‘Microcosmo e Macrocosmo nella storia delle religioni’.

L’autore, esperto di filosofia medica tibetana, scrive: “Il complesso rituale vedico

e brahmano dell’altare, la speculazione astrologica dell’antica Mesopotamia,

l’architettura dello stupa nel buddismo e gli edifici culturali chorten del lamaismo

tibetano, il monumentale sacrificio celeste degli imperatori cinesi, nonché quello

dei nomadi Na-Khi cinesi-tibetani, la primitiva tenda culturale degli sciamani

siberiani, l’adattamento cerimoniale degli indiani sioux, ma anche quello mosaico

delle dodici tribù ebree nel deserto, o i misteri della creazione degli indiani Algonchini:

sono tutte evidenti variazioni dell’unico e identico tema della ‘corrispondenza’ intrinseca

fra l’uomo inserito nel microcosmo dell’evento culturale e il ‘grande mondo’ che lo

circonda”.

E’ in quest’ottica che abbiamo considerato sia l’utilizzo della musica nelle sedute

sciamaniche, sia la lettura del folclore poetico e musicale dei popoli ugro-finnici

ed altaici, essendo la musica una scienza che si fonda anch’essa su leggi numeriche ed

analogiche.

CANTA    CANTA……

‘Canta, canta’, ripetete  voi,

supponendo  che  sia  una  cosa  semplice;

‘Parla, parla’,  ripetete  voi,

supponendo  che  sia  una  cosa  semplice….

se  bisogna  cantare,  si  canti,

mettendovi  il  proprio  cuore,

se  bisogna  parlare,  si  parli

con  tutto  il  proprio  spirito.

Cantare  senza  mettervi  il  proprio  cuore,

non  è  possibile!

Raccontare  senza  tutto  il  proprio  spirito,

non  è  possibile!

Di  che  potrebbe  bene

raccontarvi  la  storia?

Su  che  si  potrebbe  bene

cantare  una  canzone?

E’  di  altri  tempi

che  io  vi parlerò.

che  io  vi  canterò!

Le parole  delle  mie  storie,

le  arie  delle  mie  canzoni

quando  ero  piccolo

gli  anziani  le  cantavano

gli  anziani  le  hanno dette,

le  hanno  messe  in  un  sacco (di scorza di tiglio)

L’hanno  chiuso  con  una  ritorta

di  tiglio  solido,

hanno introdotto  il  sacco

proprio  nel  fondo  di  un  krez,

hanno  nascosto  il  krez,

nella  cavità  di  un  tiglio,

per  trovare  il  tiglio (e il mulino),

bisogna  sapere  la  strada;

per  conoscere  la  strada

bisogna  bere  una  buona  sorsata:

l’arak  mette  il  cuore d’umor  leggero.

(G. Bardini, Musica e Sciamanesimo in Eurasia)

…è di altri tempi che io vi parlerò…..

http://www.lascaux.culture.fr

http://www.culture.gouv.fr/culture/arcnat/chauvet/fr/index.html

http://www.lattara.culture.fr

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