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Luogo: Sudamerica; data: nomembre 1735; porta: Cartagena de las Indias.
Con null’altro che i passaporti firmati dai re
borboni, i nostri filosofi della natura avevano
fatto breccia nelle pareti fitte di licheni della
ciclopica fortezza posta di guardia al fondaco
per eccellenza delle Americhe.
Percorsa la Boca Chica ed entrati nella baia,
i nostri furono come sopraffatti dagli ardenti
affluvi dei fiori, dall’aroma di vaniglia, dai
piacevoli odori di delizia della terra ferace attorno al gran porto.
Ogni cosa divenne motivo di delizia e meraviglia ai loro occhi.
Lungo il melacon, vestiti di bianchi calzoni attillati e di corte giacche pure bianche,
i copricapi di paglia brunastra, i peoni ondeggiavano sotto il peso de ‘las cosas de
Espana’: pelli di Cordova, vino della Mancia, arrobas d’olio di Jaén, e prodotti delle
fabbriche di tutta Europa – oggetti di vetro, armi da fuoco, tessuti di Madras.
Sul litorale, lambito dalla risacca una teoria di palme; balsaminacee e acacie, in
piena fioritura, empivano a onde le strade animate dal loro profumo.
Ai margini della città, i nostri attraversarono boschetti di alberi di cacao; di quel
cacao che dava la cioccolata, che solo i parigini più ricchi potevano permettersi.
Mangiarono papaya, guyaba, chirimoya; si empirono da scoppiare del frutto
delizioso e tenero del sapote: si sciolsero in rapsodie al gusto dell’ananasso,
‘che maturo e scortecciato, trabocca a tal punto di succo, da sciogliersi interamente
in bocca’.
Cartagena – non tardarono a scoprire – era il perno, l’arteria commerciale principe
della Spagna e i reami di questa sul Pacifico. Ogni legno diretto al Nuovo Mondo
era costretto a farvi il primo scalo. L’onore di essere tra le uniche porte d’accesso alle
Americhe spettava, oltre che a Cartagena, a Puerto Bello (Panama) e a Vera Cruz (Messico).
I convogli provenienti dalla Spagna toccavano per prima Cartagena, dove sbarcavano
il carico destinato a quella che ora è la Colombia ed era allora il vicereame di Santa Fe.
La scelta di Cartagena era stata determinata non tanto dalla posizione geografica, quanto
dall’inaccessibilità del sito della medesima, che ne faceva una città praticamente
inespugnabile.
Passeggiandovi, e considerando anche i sobborghi, i francesi la giudicarono ‘ben disegnata’.
Strade dritte, ampie, uniformi e ben lastricate; case in gran parte di pietra, talune di
mattoni, in generale a un solo piano oltre il pianterreno, con appartamenti abilmente
progettati.
Cartagena aveva il suo governatore, il quale, sebbene nominato dal re, dipendeva dal
viceré; il suo cabildo, che amministrava gli affari locali; una guarnigione con un
comandante responsabile verso il governatore: e una sede DELL’ INQUISIZIONE
che non dava conto di sé a nessuno.
Per i francesi, freschi freschi da Parigi dove vigeva libertà d’azione e dove la libertà di
parola, purché si osservassero le sfumature dell’urbanità, permetteva di dire tutto
ciò che si volesse (o quasi), il constatare la presenza concreta della SANTA INQUISIZIONE
fu un rude colpo. ROBA DA MEDIOEVO, né più né meno.
Fondato nel 1569 per decreto di Filippo II, IL TRIBUNALE era composto di tre inquisitori,
due segretari e un certo numero di accoliti che ne metteva in pratica le decisioni:
IMPICCANDO, BRUCIANDO sul rogo, incarcerando.
Gli spiritacci di Cartagena dicevano che il Tribunale consisteva di ‘ UN SANTO CRISTO
DOS CANDELEROS Y TRES MADEROS’ e cioè un crocefisso, due candelabri e tre babbei;
ma, data la potenza del medesimo, che andava ben oltre quella dell’autorità temporale,
sarebbe stato poco prudente per uno straniero far eco a simili sentimenti.
Il Tribunale deteneva il controllo dell’intera vita INTELLETTUALE degli abitanti, esercitando
una rigida supervisione (COSTANTE E TEMPORALE) su ogni cosa, incluse INTRODUZIONE,
PUBBLICAZIONI E VENDITA di qualsiasi forma di prodotto letterario.
I librai erano tenuti a fornire elenchi dei libri in vendita e a distruggere quelli condannati
dall’Inquisizione: tale era il potere di questa.
La popolazione della ‘Perla delle Indie’ aveva imparato da tempo a tenersi lontana dagli
occhi del Tribunale e, per buona memoria, amava ripetersi il proverbio ‘DE REY E
INQUISICION – CHITON’.
A Cartagena, gli accademici incontrarono i capitani dell’Armada Real destinati a esser loro
colleghi nella misurazione dell’arco meridiano. Si trattava dell’emerito Don Jorge Juan y
Santacilla, matematico e comandante dell’ordine di Aliaga e di Malta, e del suo vice
e portaparola del re don Antonio de Ulloa, giovane, notevolmente astuto, matematico
valente e, per breve periodo, governatore della Luisiana.
Il re aveva dato loro due ordini: contribuire al meglio delle possibilità alla riuscita
del programma scientifico dei francesi e IMPEDIRE AI MEDESIMI OGNI INVESTIGAZIONE
DEL REAME AL DI FUORI DI DETTO PROGRAMMA.
Erano stati inoltre incaricati di compilare un rapporto sullo ‘stato dell’impero coloniale’,
al quale diedero titolo di NOTICIAS SECRETAS DE AMERICA.
Questo rapporto, il più sagace e penetrante mai stato scritto su un impero coloniale, con
corredo di raccomandazioni di riforma ben specificate, non provocò misure di alcun
genere né venne pubblicato.
In seguito, ne capitò in mano inglese una copia, che fu stampata 75 anni dopo la
stesura.
PER IL VERO POCO O NULLA SI SEPPE MAI DELL’INTREPIDA COLONIA….DURANTE
LA PERMAMENZA DEI COLONI.
(Charles-Marie de La Condamine, V.V. Hagen, Scienziati-Esploratori alla scoperta
del SudAmerica)
….in riferimento ai tribunali dell’inquisizione….