FRA IL 1480 E IL 1680 (2)

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– E di chi la colpa! – chiesero i giudici.

– L’opinione pubbica accusò il Perger!

A seguito di tale testimonianza i giudici decisero un nuovo interrogatorio.

L’imputato fu tradotto nell’aula della giustizia e sottoposto a contestazioni vivaci. 

Gli si rimproverò il passato di miscredente ed egli per tutta risposta obiettò che una

buona parte dell’umanità professa una religione per consuetudine e non per sentimento:

– C’è molta gente – disse – che va ogni giorno in chiesa, si confessa e si comunica e che

ogni giorno peggiora nei costumi……

Confessò ancora di aver suggerito ai contadini sortilegi contro i ladri e i maltempo, ma poi

tornò al suo abituale silenzio.

Fu allora che i giudici decisero di mettere in azione mezzi più convincenti. I documenti narrano

che il 26 maggio 1645 vennero applicati al Perger i pollici di ferro. 

L’orco di Rodengo resistette, poi sciolse la lingua e iniziò quella che, a scatti, sarà la 

più IMPRESSIONANTE confessione che mai essere umano abbia compiuto.

Confessò cioè di aver esercitato la magia, fornendo ad alcuni valligiani il mezzo di 

artificiosamente conquistare la simpatia di altre persone.

– Adoperava un filtro?

– No. Si pigliava una raganella, la i chiudeva in una scatola bucata: il tutto si sotterreva

in un formicaio e ivi si lasciava per nove giorni.

E dopo i nove giorni, aperta la scatola – aveva soggiunto lo stregone – vi si trovavono

due ossicini a forma di forchetta. Bastava toccare la persona desiderata con la forchetta

magica per acquistarne la profonda, inestinguibile simpatia.

Dopo la confessione, il Perger fu ancora una volta lasciato in pace. 

I giudici inquirenti però non dimenticarono che gli stregoni portavano sul corpo il 

marchio diabolico della loro professione. 

Satana – così dicono antiche storie – in un punto più o meno nascosto, lasciava visibili i segni

della sua sovranità. Perciò ordinarono una perizia che fu eseguita da un cerusico di 

Rodengo, Sebastiano Hofstetter, il quale esaminò l’epidermide dell’imputato, millimetro

per millimetro. Già si stava abbandonando senza successo l’indagine, quando il Perger,

sbadigliando, mostrò sotto la lingua una curiosa deformazione, che attentamente 

esaminata risultò essere il cercato marchio. 

La prova principale fu così raggiunta, ma tutto questo non bastò. 

Legato mani e piedi, sottoposto a nuove torture, lo stregone non proferì verbo.

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FRA IL 1480 E IL 1680

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Fra il 1480 e il 1680 nella storia atesina si inserisce una pagina che ha il sapore di leggenda.

Per circa un secolo e mezzo infatti si susseguirono processi giudiziari contro maghi, streghe

e stregoni. E questo aspetto della vita atesina che va considerato con interesse anche

se in effetti non si discosti gran che nei particolari da analoghi episodi registrati al di

là delle Alpi e a sud di Trento.

Processi contro supposte streghe e contro stregoni, furono celebrati in ordine di tempo

un po’ dappertutto.

Nel 1548 a Luson, nel 1550 a Volturno, nel 1592 ad Anterselva, nel 1595 a Sesto Pusteria,

nel 1645 a Rodengo, nel 1690 a Merano, nonché nella diocesi di Forni.

Roma era il principio.

Per offrire un indice delle caratteristiche di siffatti procedimenti ci riferiremo al processo

di Rodengo, del quale esiste tuttora un’ampia e ‘romanzata’ e direi ‘romanizzata’

documentazione.

Protagonista fu certo Mattia Perger, DETTO L’ORCO DI RODENGO, abitante in un maso

di Monte Ponente sulla strada della Plose.

Per molti anni il Perger sfuggì all’attenzione del grosso pubblico sino al giorno in cui

circolò una strana voce sul suo conto. Egli aveva – dicevano i valligiani – venduto l’anima

al diavolo e in compenso era diventato l’amante di una strega, possessore di segreti infami

sulla distribuzione della vita e della morte, della felicità e della infelicità.

Non corse molto tempo, che i sospetti divennero certezza.

I magistrati della zona, sulla scorta di precise DENUNZIE, ordinarono il suo arresto.

In ceppi Mattia Perger fu condotto a Rodengo, dinanzi al giudice Michele Schgraffer.

Contava 58 anni e il viso mostrava i segni di un incipiente decadimento fisico.

Gli occhi vivaci e cattivi esprimevano tuttavia una vitalità prepotente.

L’arresto fu parco di ammissioni: non negò d’aver tenuto una condotta morale

deplorevolissima – vagabondaggio e disobbedienza ostinata alle sacre scritture –

ammise pure d’essersi occupato di astrologia e di avere indicato ad alcuni contadini

il mezzo per allontanare dai campi il pericolo di rovinosi temporali. 

Poi si chiuse in un mutismo impenetrabile, o meglio parlò ancora, ma soltanto per

riepilogare ciò che aveva affermato.

I giudici lo lasciarono intanto in pace e chiamarono a deporre un contadino di Castelrotto,

certo Mairegger, proprietario di un mulino, il quale narrò una storia che fece rizzare i 

capelli sulle teste dei giudici. 

Il Perger batteva spesso alla sua porta e molto spesso era anche trattenuto a cena.

Una sera il Perger, raccontò un episodio strano avvanuto in un certo periodo della 

sua esistenza, durante il quale s’era dato alla professione del MUGNAIO.

” S’era accollato – DISSE IL TESTE – in un angolo della cucina, e roteava gli occhi 

spiritati. Le parole gli uscivano a malapena, sibilanti dalla bocca….

– Narra, narra, gli dicemmo, ed egli:

– Nel mio mulino s’erano rifugiati tutti i topi della regione; ratti, topacci, topini gialli, 

neri, bianchi….

Quando la ruota si muoveva urlavano pazzamente in coro: ” NON MI UCCIDERE…”.

– Ebbene, gli chiedemmo, e poi?…..

– …. E poi nulla!….

Sorrideva di un riso sinistro che mai fino allora, era errato sulle sue labbra. 

Al mattino successivo se ne andò, dopo aver chiesto una ciotola di latte….Non ve ne era 

in cascina e gli fu risposto garbatamente di no. 

Se ne andò agitando convulsamente le mani e profferendo oscure frasi di minaccia.

– Ebbene, è tutto qui? – chiesero i giudici. 

– Questo non è che il principio! Qualche ora dopo la ruota del mulino fu messa in moto.

Girava a stento, quasi fosse inceppata da durissimi ostacoli. Fu aperto lo sportello e 

esaminato il grano: era frammisto a resti macinati di GROSSI TOPI! …..

Il teste si asciugò il sudore freddo, che il ricordo dell’episodio gli faceva fermentare in 

fronte, poi riprese: 

– Il mulino fu ripulito, la macinazione riprese, l’incidente si ripeté. Così per molti 

mesi…ANNI…SECOLI!!

(M. Ferrandi, L’Alto Adige nella storia)

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