UNA VISIONE PIENA DI SORPRESE (2)

Galileo scriveva, nel 1623, che il primo inventore del telescopio fu certo un semplice occhialaio

il quale, maneggiando per caso lenti di diversa forma, guardò sempre per caso attraverso due

di queste, una convessa e l’altra concava, e ponendole a diversa distanza dall’occhio osservò

l’inaspettato risultato e così scoprì lo strumento.

Questa fortunata combinazione di lenti probabilmente si sarebbe potuta verificare, più o meno

nello stesso periodo, nel laboratorio di diversi occhialai. La storia più verosimile fa risalire

questo episodio cruciale al 1600 circa e lo colloca a Middelburg, nel laboratorio di un oscuro

occhialaio olandese di nome Hans Lippershey.

Si racconta che due bambini capitati nel suo laboratorio, giocando con le lenti, ne misero due

assieme, vi guardarono attraverso puntandole verso una distante banderuola posta sulla

chiesa della città la videro meravigliosamente grande; anche l’occhialaio guardò e da allora

si dedicò alla fabbricazione dei telescopi. Si riteneva che questo Lippershey fosse un ‘meccanico

illeterato’, ma evidentemente non lo era tanto da non sapere come sfruttare la sua buona

sorte; il 2 ottobre 1608 infatti gli Stati Generali che governavano la nazione olandese ricevettero

una sua petizione: ” Un occhialaio inventore di uno strumento per vedere a distanza, come

è stato dimostrato agli Stati, rivolge preghiera che il detto strumento sia tenuto segreto e

che gli sia garantito un privilegio di trent’anni per effetto del quale a chicchessia venga

proibito di imitare questi strumenti oppure che gli venga erogata una pensione annuale che

gli permetta di costruire questi strumenti per l’utilità del suo paese soltanto, senza venderne

alcuno a re e principi stranieri. E’ stato deciso che alcuni membri dell’Assemblea formino una

commissione che prenda contatti con il postulante riguardo alla detta invenzione, per

domandargli se non sia possibile migliorarla in modo da potervi guardare attraverso con

entrambi gli occhi…”.

Galileo stesso soleva guardare un oggetto attraverso il telescopio e poi andargli vicino per

essere sicuro di non essersi ingannato. Egli dichiarò che dal 24 maggio 1610 aveva sperimentato

il suo telescopio ‘centomila volte in centomila stelle e oggetti diversi’.

Dodici mesi più tardi lo stava ancora provando:” Né potendo dubitare che io, per lo spazio

hormai di due anni, abbia del mio strumento, anzi pur di decine di miei strumenti, fatte 

centinara di migliara di esperienze in mille e mille oggetti, et vicini e lontani, e grandi e 

piccoli, e lucidi et oscuri, non so vedere come ad alcuno possa cadere in pensiero che 

io troppo semplicemente sia rimasto nelle mie osservazioni ingannato”. 

INGENUO DAVVERO!

Galileo fu precoce crociato dei paradossi della scienza contro la tirannide del buonsenso.

Il grandioso messaggio del telescopio non consisteva nel mostrare gli oggetti terrestri 

che Galileo poteva andare a verificare di persona e a occhio nudo, ma nel mostrare 

piuttosto l’infinità di ‘oggetti diversi’ che non solo non si potevano osservare di persona,

ma nemmeno vedere a occhio nudo. 

Anche John Milton fu sconcertato della nuova cosmologia e dubbioso del suo significato.

Appena trentenne visitò l’ormai cieco Galileo ad Arcetri, vicino Firenze, dove era confinato

per ordine papale. Successivamente nella sua opera Areopagitica (1644), pubblicata due

anni dopo la morte di Galileo, Milton lo descrisse come una vittima eroica. 

“QUESTO E’ CIO’ CHE HA SOFFOCATO LA GLORIA DELLE ECCELSE …MENTI ITALIANE

(presi da altri intrallazzi e sollazzi…), nulla è stato scritto colà in tutti questi anni se non 

lusinghe e ampollosità. Là ho trovato e visitato il famoso e ormai vecchio Galileo, 

IMPRIGIONATO DALL’INQUISIZIONE, per aver espresso in materia di astronomia (et altri

argomenti…) idee diverse da quelle dei censori francescani e domenicani”. 

(D.J.Boorstin, L’avventura della scoperta)

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UNA VISIONE PIENA DI SORPRESE

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Il passaggio dall’osservazione a occhio nudo alla visione con strumenti ottici sarebbe

stato uno dei più grandi progressi della storia del pianeta, fino al 1600 nessuno si

dedicò alla ricerca sul telescopio. Uno dei più radicati e diffusi pregiudizi era la

fede nella percezione non aiutata e non mediata dei sensi umani.

Non sappiamo da chi, come o dove siano stati inventati gli occhiali; a quanto sembra 

ci si arrivò per caso e per opera di un profano privo di qualsiasi cognizione di ottica.

Forse un vecchio artigiano, eseguendo dischi di vetro per finestre piombate, si accorse

guardandovi attraverso che consentivano di vedere meglio. Possiamo comunque 

ritenere che l’inventore non fosse un accademico, perché questi personaggi amavano

vantarsi delle proprie scoperte, mentre non abbiamo notizia di nessun sedicente

inventore di lenti prima del 200. 

Il nome ‘lente’, scelto per analogia con la forma del legume omonimo, non è il tipo

di parola che un dotto avrebbe usato per definire l’applicazione delle sue teorie 

ottiche. 

Dai primi usi menzionati degli occhiali, prima del 300, all’invenzione del telescopio,

quasi trecento anni dopo, le lenti furono ignorate dagli studiosi per molte ragioni.

A quei tempi si sapeva pochissimo sulla teoria della rifrazione della luce, perché chi

aveva intrapreso ricerche in questo campo, invece di studiare la rifrazione attraverso

semplici superfici curve, si era lasciato attrarre dal culto delle forme perfette, come 

cerchi e sfere, e aveva preferito ricercarne gli effetti su una sfera completa di vetro

che implicava le più complesse aberrazioni, non approdando così a nulla.

Un altro ostacolo alle ricerche sugli effetti delle lenti erano le teorie sulla luce e la

visione. Fin dai tempi più antichi i filosofi europei si erano preoccupati essenzialmente

di spiegare non la luce come fenomeno fisico, ma ‘come la gente vedesse’.

In effetti gli antichi greci ritenevano la visione un processo attivo dell’occhio umano,

più che la passiva registrazione di impressioni fisiche ricevute dall’esterno.

La teoria prospettica di Euclide poneva nell’occhio e non nell’oggetto visto l’origine

delle linee di visione. Platone e i pitagorici descrivevano il processo visivo come

dovuto a emissioni dell’occhio che in qualche modo circondavano l’oggetto visto.

Tolomeo condivideva questa impostazione, mentre Democrito e gli atomisti suggerivano

che emissioni da parte dell’oggetto visto entrassero nell’occhio e producessero le

immagini. Galeano, l’arbitro dell’anatomia europea, sollevò l’assennata obiezione che

immagini grandi come quelle delle montagne non avrebbero potuto restringersi per

passare attraverso la minuscola pupilla dell’occhio e sostenne che gli atomisti non

avrebbero neanche potuto spiegare come un unico oggetto potesse produrre abbastanza

emissioni da raggiungere tutti coloro che lo avessero visto contemporaneamente.

Galeano elaborò una teoria di compromesso e cercò di riferirla alla fisiologia dell’occhio.

(D.J. Boorstin, L’avventura della scoperta)

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