IL CICLO

LIBRO DI BORDO DEL DEMETER:

Scritto 18 luglio.                                                              uyhdghfj.jpg

Il 6 luglio abbiamo finito di caricare,

sabbia argentifera e casse di terra.

Salpati a mezzoggiorno.

Vento da est, sostenuto.

Equipaggio: cinque marinai, nostromo, 

secondo, cuoco e il capitano. 

La piattaforma vomita oro…

(B. Stoker, Dracula)

Sembra che tra il 1618 e il 1622 la popolazione dei coloni sia

raddoppiata, di pari passo con l’ostilità degli Indiani.

Alla fine questi ultimi, impauriti, si ribellarono in un ultimo disperato tentativo per

cacciare o eliminare del tutto gli invasori.

Fu allora che John Smith e Samuel Purches impressero al significato del termine ‘selvaggio’

una svolta radicale che doveva consolidarne l’attuale connotazione negativa.

La guerra in Virginia spinse Smith a espandere oltremodo gli epiteti già solitamente poco

complimentosi. Laddove in precedenza egli si era soffermato sulla loro presunta perfidia

e su altre qualità non meno negative con termini che avrebbe ugualmente potuto usare

parlando dei Turchi o degli Spagnoli, ora Smith fece proprie le immagini ferine già latenti

in ‘savage’, attribuendole esplicitamente a ‘persone selvagge’. In tutto il racconto che Smith

fa del massacro indiano, il termine ‘selvaggio’ è costantemente in primo piano.

Il merito tutto particolare di Purchas risiede nell’aver inventato la caratterizzazione dei

selvaggi e del mondo in cui vivevano qualificandoli rispettivamente come non-persone

e non-territorio, negando cioè ogni individualità personale a tutti coloro che erano ‘selvaggi’.

Dimenticando le affermazioni precedenti alla rivolta in cui si era vantato della pacificazione

tra Inglesi e selvaggi, Purchas giustificò i massacri indiani pepetrati dai Virginiani per 

vendetta. Sostenne che i cristiani Inglesi avevano TUTTO IL DIRITTO di impadronirsi

delle terre indiane poiché era volontà di Dio che la terra venisse coltivata e non che 

venisse abbandonata come ‘quella selvaggia regione disabitata, atraverso la quale essi

(i selvaggi) vagano senza risiedervi’. 

Questo graduale processo di concreta trasformazione della metafora in presunta realtà

dei fatti ebbe un’ulteriore evoluzione nella NUOVA INGHILTERRA, dove la logica

esibita da Purchas venne perfezionata concretamente sino a diventare FINZIONE 

GIURIDICA, un’astrazione accettata dai tribunali come se FOSSE REALE – virtualmente

e funzionalmente simile a quella che permette oggi di consolidare la GENERAL MOTORS

o la STANDARD OIL come persone giuridiche.

Questo ulteriore passo è il contributo di un giurista PURITANO, il governatore John 

Winthrop sr della Baia del Massachusetts. Winthrop non era interessato a fantasiosi

giochi di parole sulla verginità delle terre indiane, bensì a far leva sul concetto che ne

era alla base, vale a dire che quella terra non era mai stata sfruttata. 

Rispondendo alle obiezioni di chi aveva coscienziosamente condannato la confisca delle

proprietà indiane, Winthrop affermò nel 1629 che gran parte del territorio americano 

rientrava nella categoria giuridica del ‘vacum domicilium’, poiché gli indiani non 

l’avevano ‘sottomesso’ e quindi potevano vantare solo un diritto ‘naturale’ e non 

‘civile’. Tale diritto naturale poteva non essere rispettato, a differenza del diritto

civile, l’unico capace di imporre i vincoli della proprietà legittima a tutti gli effetti.

Dal punto di vista morale i PURITANI concittadini di Winthrop erano costretti a 

lasciare agli Indiani il possesso delle superfici già coltivate, in quanto tali piccoli 

appezzamenti dovevano essere classificati come ‘territorio sottomesso all’uomo’

secondo i presupposti culturali stabiliti dagli inglesi, ma i territori di caccia dovevano

essere ritenuti ‘terra incolta’ soggetta a conquista, indipendentemente dal loro

status nell’ordinamento consuetudinario indigeno. Implicito in questa dottrina era

il concetto che a nessun governo indiano potesse essere riconosciuta una sovranità

territoriale, e che quindi non potesse esistere alcuna legittimazione nel possesso di

beni immobili da parte degli Indiani. 

L’assoggettamento di terre incolte non era un fatto nuovo per gli Inglesi.

I SIGNORI FEUDALI avevano recintato le terre sin dallo Statuto di Merton del 1235 –

talvolta si trattava di ‘terre incolte’, talvolta di terreni comunitari o agricoli – senza

alcuna considerazione per gli interessi o i diritti consuetudinari dei contadini locali.

I Puritani del Massachusetts continuarono questa antica abitudine giustificandola con

minimi aggiustamenti. Per controbattere possibili riserve di ordine morale, su questo

come su altri punti, essi si basarono sulla loro CONDIZIONE DI ELETTI.

Volendo assicurarsi l’appoggio di un’autorità incontrovertibile, i Puritani disdegnarono 

argomenti secolari facendo invece appello alle SACRE SCRITTURE dopo naturalmente

un’accurata selezione dei testi. 

Per ragioni pratiche i Puritani avvalorarono le citazioni scritturali con l’autorità temporale

che deriva dal documento di concessione emanato dal re d’Inghilterra. Pur essendo sudditi

alquanto recalcitranti, essi conoscevano la sovranità della CORONA con l’unico scopo di 

trasferire su di sé il DIRITTO PRECEDENTEMENTE CONFERMATO, proprio come facevano

riconoscendo agli Indiani il diritto di proprietà.

Un anonimo umorista riassunse l’autorità avocata dai Puritani con un sillogismo, a quanto 

pare apocrifo, che egli attribuiva a un consiglio MUNICIPALE PURITANO: 

” VOTIAMO CHE LA TERRA E’ DEL SIGNORE IN TUTTA LA SUA PIENEZZA; VOTIAMO

CHE LA TERRA E’ CONCESSA AI SANTI; VOTIAMO CHE NOI SIAMO I SANTI”.

Forse nessuna città delle colonie è mai stata avventata da mettere per iscritto una risoluzione

come questa, ma è indubbio che tale era la LOGICA PURITANA.

Chi aveva a propria disposizione una dottrina così sfacciatamente partigiana non aveva alcuna

difficoltà A CLASSIFICARE COME TERRA DISABITATA O VERGINE UNA REGIONE IN 

CUI DIMORAVANO ABITANTI CON PIENO DIRITTO NATURALE DI POSSESSO.

Secondo il ragionamento puritano quella TERRA NON ERA MAI STATA SANCITA COME

PROPRIETA’ DI ALCUNO DA PARTE DELLE LEGGE INGLESE – O PIU’ CORRETTAMENTE,

DA PARTE DELLA LEGGE COLONIALE – PER CUI, DI FATTO, ERA CONSIDERATA 

VACANTE. 

(che il nostro Dio ci salvi dai coloni….)

(Francis Jennings, L’invasione dell’America)

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DOVE HO VISSUTO E PERCHE’

In una certa stagione della nostra vita siamo soliti considerare ogni pezzo di

terra come possibile luogo di dimora. Per questo ho esaminato ogni parte della

campagna, per una dozzina di miglia a partire dalla zona in cui vivo.

Con l’immaginazione ho acquistato, una dopo l’altra, tutte le fattorie là attorno,

perché tutte erano in vendita e di tutte conoscevo il prezzo.

Ho attraversato le terre di ogni contadino, ne ho assaggiato le mele selvatiche,

ho parlato con lui d’agricoltura, e ho comprato la sua terra al prezzo richiesto

– a qualunque prezzo – ipotecandolo nella mia mente.

Ho offerto addirittura un prezzo più alto – prendendo tutto tranne l’atto di vendita,

ché mi bastava solo la sua parola, perché io amo parlare – e ne ho coltivato la terra,

e in qualche modo anche lui stesso: non appena finito me ne sono andato, lasciandolo

continuare il lavoro che avevo iniziato.

Quest’esperienza ha spinto i miei amici a considerarmi una specie di agente immobiliare.

Potevo vivere dovunque mi fermassi, e dovunque il paesaggio mi appariva amico.

Cos’è mai una casa, se non una sede? Meglio se è di campagna.

Scoprii molti luoghi dove abitare, luoghi che difficilmente avrei potuto migliorare; qualcuno

lì avrebbe forse considerati troppo lontani dal villaggio, ma per me era il villaggio a 

essere troppo lontano.

Bene: “ci potrei vivere”, mi dicevo. E per un’ora vi ho trascorso una vita, d’estate e d’inverno;

vedevo come avrei potuto passarci gli anni, affrontare l’inverno, veder giungere la 

primavera. 

I futuri abitanti di questa regione, dovunque posino le loro case, possono star certi di

essere stati preceduti. 

Mi era sufficiente un pomeriggio per trasformare quella terra in un frutteto, un boschetto,

un pascolo, e per decidere quali belle querce e quali bei pini si dovesse lasciare in piedi,

di fronte alla porta, e da dove ciascun albero potesse essere visto nel modo migliore;

poi la lasciavo, anche incolta, ché un uomo è ricco in proporzione al numero di cose

di cui può fare a meno.

(H.D.Thoreau, Uomini non sudditi) 

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