UNA STORIA D’AMORE (3)

Mi venne anche in mente                                                      iuijkjhnbhj.jpg

di andare all”Avanti!’ ma

non vi andai.

Seppi poi, della sua

lettera, che anche lui

aveva passeggiato per i

giardini; il luogo

più bello di tutta

Milano, malgrado

le aquile prigioniere.

Il giorno dopo ebbi un’altra

sua:

“Mia cara,

tralascio di scrivere un pesantissimo articolo su Marx e scrivo a te. Ore di mattina –

sabato. Ho ricevuto ieri sera la tua lettera, profumatissima. L’aspettavo. Non mi sono

ingannato. Tornavo dai giardini di Porta Venezia. Ero solo, stanco. Mi sono addormentato

su di una panchina. Come un vagabondo nato.

Sono l’uomo del domani.                                                  897897.jpg

Rimetto ogni cosa al

domani.

Sono un contemplativo.

La prima volta che mi

arrestarono, si fu per

vagabondaggio.

Ti narrerò la mia vita

romantica.

A proposito: ho sfogliato

il tuo romanzo.

Ho letto qua e là.

Non posso….stroncarti.

Le tue descrizioni hanno una

fresca semplicità che mi piace.

Leggerò tutto.

A martedì sera, dunque, ma prima ti scriverò ancora.

Ti bacio con forte passione.

Tuo Benito”.

Come tutto ciò – ossia, la ‘forte passione’, – mi pareva strano, irreale, estraneo alla mia

vita! Ancora una volta comprendevo che la nostra volontà non vale nulla, non ha alcuna

importanza sugli avvenimenti della nostra vita. Inutile voler vincere quando si deve

perdere. Meglio era lasciar correre i giorni, come il destino voleva, e non fare un gesto,

non dire una parola per dominare gli eventi.

Resistenza passiva.

Non risposi: mi pareva inutile. E poi, non avevo niente da dirgli.

Mi scrisse lui:

“Lenedì mattina – ore 1

Mia cara,

tutto ieri, domenica, ho atteso un tuo biglietto. Non hai avuto tempo di scrivermi….

A domani. 

Ti comunico che martedì non posso trovarmi all’appuntamento. C’è un’assemblea alla

quale non posso mancare, perché dovrò attaccare e difendermi. Nel numero odierno

della ‘Critica Sociale’ Turati mi muove un acerbissimo attacco, al quale risponderò forse.

Sabato e ieri sono state per me due giornate insignificanti. Oggi aspetto una tua.

Come stai? Che cosa hai fatto? Perché lasciarmi quarantotto ore senza tue notizie?

Ti scriverò più a lungo stasera. Adesso me ne vado. Ho la testa pesante come se nel

cranio ci fosse del piombo. 

Ti bacio.

Tuo Benito”.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

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UNA STORIA D’AMORE (2)

Quell’abito di tempi                                                 8978675678.jpg

remoti, quasi funebre,

sembrava fatto

apposta per tenere

a distanza qualsiasi

audacia

per frenare

ogni desiderio,

per impedire ogni

carezza.

Egli venne come

aveva promesso

e la sua visita fu

lunga.

Dapprima dicemmo poche parole, sogguardandoci, come avversari che misurano le

proprie forze per un duello decisivo.

Mi sembrò inutile dirgli che la sua affermazione amorosa non trovava eco in me.

Pensai dovesse sentirlo.

Infatti, mai era stato così ‘poco comunicativo’, come soleva dire.

Taceva, con la fronte appoggiata alla mano.

Sembrava portarmi rancore.

La giornata era calda e dava ai sensi uno strano torpore.

Prendemmo il caffè in silenzio.

Ero nervosa, irritata contro me stessa perché non trovavo le parole per rompere quell’atmosfera

subdola , pesante. Mi pareva d essere veramente in Egitto, e in un’altra epoca, lontana

dalla mia vita presente. E lui, ad un tratto, quasi sentisse il mio intimo pensiero, disse:

– Mi sembra proprio d’essere in Egitto….in altri tempi. Parlatemi un poco della vostra sfinge….

Il giorno dopo, nel pomeriggio, mi giunse una sua lettera, scritta nella notte:

” Mia cara Leda.                                             mussolini.jpg

Sono ubbriaco….ore 

dodici di notte.

Ubbriaco.

Sono uscito di casa tua con 

i nervi deliziosaente

eccitati, col cuore

che batteva con una irregolarità

inconsueta, col tumulto nel cervello.

Così.

Al giornale buone notizie….

Ossigeno fino a tutto il 1914….

E allora, per mantenere i miei nervi esaltati, ho bevuto un gran bicchiere di absinthe…..

sai quel tal liquore verde che esercita la sua dolce e diabolica influenza sulla corteccia

cerebrare e manda il 13 per mille dei francesi al manicomio….E adesso, dopo quattro

ore di vibrazioni, sono qui, tranquillo, e silenzioso a guaradre ….il Naviglio.

Penso: ieri mi hai detto una cosa sulla quale rifletto solo adesso. Mi accade spesso.

Dov’eri per assistere a quella tal discussione alla quale taluni illustri ignoti si 

disputavano il mio spirito d’uomo….pubblico?

E me lo…laceravano? Dove vai alla sera? Domanda indiscreta? Perché alla sera non 

potresti venire con me? Dalle 8 alle 11 non ho proprio niente da fare.

Ascolta.

La notte è stellata.

Domani ci sarà il sole. E anche dopo e sempre. Io ti aspetto lunedì sera alle 9 a Porta

Venezia. O ti vengo a prendere alla porta di casa?

Scegli.

Passeremo bene il nostro tempo. Perché non domenica sera? O prima?

Troverai che questa mia lettera va a zig-zag. Stasera non sono capace di scrivere. 

Com’è bello essere di tempo in tempo idiota….

Voglimi bene, cara Leda, ricordami e scrivimi.

Ti abbraccio forte.

Tuo Benito “

Lessi queste parole con indifferenza.

Non lo amerò né più né meno degli altri giorni. 

Ieri era già il passato: non esisteva più. Gli scrissi brevemente che non era possibile vederci

lunedì sera. Gli mandai in omaggio il mio romanzo ‘Seme nuovo’ pubblicato in quei giorni.

Era un venerdì, lo ricordo, perché non andai a lavorare in tipografia. Il venerdì per noi

mussulmani, è come la domenica per i cattolici.

Andai fuori senza mèta.

Sostai ai giardini.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

Da http://storiadiuneretico.myblog.it

     http://giulianolazzari.myblog.it

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UNA STORIA D’AMORE

…Istintivamente sentivo che                                                     89786789.jpg

dovevamo allontanatci.

Non lo amavo e

nemmeno lo

desideravo; ma

presentivo il pericolo,

la conseguenza di un

momento di debolezza,

l’influenza, l’insidio

della terribile

‘ora sessuale’.

E la lettera che,

dopo tre giorni,

ricevetti da lui mi turbò

ben più del suo bacio.

Una frase stabiliva un’intesa

d’amore accettato e voluto,

così lontana dalla realtà, che

avrei voluto smentirla immediatamente con un’altra lettera.

Mi diceva:

” Mia cara Leda,

cielo grigio e lago di piombo oggi, a Lugano. Freddo. Ho desiderato il tuo braciere aromato…

Breve sosta e interminabile discussione….tripolina col Tancredi. Più che parlare, ho ascoltato.

Prezzolini, da Firenze, mi ha mandato il suo ultimo volume con questa dedica (lo permetti?)

che mi ha un po’ lusingato:’Al carissimo Benito Mussolini che stimo, apprezzo e della cui

amicizia mi sento onorato’. E’ un libro sulla Francia e i francesi del secolo XX. Ne dicono molto

bene. Dopo quattro anni di quiete, apro – col tuo, col nostro amore, – una parentesi nella

mia vita. Stanotte ho avuto il sonno più leggero del solito.

Oggi verrò da te, un po’ tardi, forse. Ma aspettami, che non mancherò. In questi due giorni

ti ho troppo pensato. Ti abbraccio, mia cara.

Tuo Benito”

Se tale lettera fosse caduta nelle mani di chi amavo, sarebbe stata per me la fine di tutto,

la rovina della mia vita intera. Cosa avevo fatto per far credere a Mussolini che lo amavo?

Feci un immediato ma profondo esame di coscienza. Mai gli avevo detto parola che potesse

fargli credere che io provassi un desiderio amoroso per lui. Ricordavo piuttosto frasi che

avrebbero dovuto disilluderlo, se si fosse illuso. Rileggendo le ultime parole: ‘dal giornale

(sono solo)’ ricordai certe nostre discussioni sulla gelosia, certe mie sincere affermazioni.

– Perché non siete gelosa di me?, mi chiedeva.

– Perché non mi domandate ma chi viene a trovarmi al giornale e se lavoro da solo?

Potrei avere un’altra amicizia come la nostra….

– Potreste averne altre dieci di queste amicizie, gli dicevo del tutto serena.

– Sapete bene che non vi amo né vi amerò mai.

E sapevo – mi conoscevo bene, – che in me l’assenza di gelosia era assenza di amore.

– Non pensate, insisteva, che dopo il mio lavoro posso andare dove voglio? Perché non

mi chiedete di vederci di sera?

– Andate dove meglio vi piace, amico mio. Io ho dove passare la sera.

Queste, solo queste, le mie frasi intorno all’argomento amore. Avevo colmo il cuore

e l’anima dell’amore mio. Non davo alcuna importanza a quelle parole, dette nella

stanchezza di una visita troppo lunga.

Pensai di scrivergli che non venisse, ma non c’era il tempo. E poi non volevo dimostrargli

che lo temevo. Meglio era dirgli a voce, guardandolo senza turbamento, che ‘il mio, il

nostro amore’ non esisteva, e che se voleva essermi ancora amico non doveva parlarne

più.

Ma lo attesi con un certo turbamento.

Forse lo temevo davvero? Ci pensai quando, vestendomi dopo il breve riposo del

pomeriggio, scelsi una veste che mai avevo indossato con lui. Giorni addietro, nel

calore della bella estate avevo indossato una leggera gelabiach bianca, stretta sulla

vita da una ascia ‘baiadera’, e quando mi era stato vicino sentivo, attraverso la veste,

lo sfiorare delle sue dita, il calore del suo contatto e – istintivamente – sentivo che

bisognava evitare quelle vibrazioni fisiche che, quel giorno, non dovevano essere fra

noi. Dovevo chiudermi isolarmi, essergli lontana, non con l’anima, ma con la carne.

Indossai una vecchia veste egizia, di seta nera, coperta di velo ricamato da argento e

serrata sul petto da un largo collare di pietre brillanti, pesanti e pungenti. Una cintura

ornata di scarabei mi cingeva la vita e, per la pesantezza metallica, corazza dei tempi

faraonici, mi faceva assomigliare ad una mummia acconciata per sarcofago.

E’ difficile che ad un uomo venga il desiderio di abbracciare una mummia.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

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