L’ORDINE DEL GIORNO

Che il tempo

sia prezioso;                                                         98745366.jpg

che debba essere

gestito,

controllato,

organizzato in

vista dell’

acquisizione di

beni materiali,

della

saggezza

filosofica o della

salvezza

dell’anima;

che, viceversa,

la pigrizia e l’imprevidenza siano da condannare – ecco una serie di convinzioni che si

affermano in proporzione diretta all’instaurarsi delle costrizioni costitutive della civiltà.

A seconda delle circostanze, tali costrizioni hanno riguardato a volta a volta l’aspetto

morale dell’organizzazione del tempo o del suo aspetto materiale e, in qualche caso,

insieme, sia l’uno che l’altro settore, in cui una regolare assiduità era allora richiesta

in vista di un doppio profitto.

Non fare, del proprio tempo, l’impiego migliore possibile, equivaleva a perdere i

propri beni, la propria vita, la propria anima.

Questa prima constatazione ne introduce una seconda: più l’esigenza di una disciplina

del tempo si è fatta imperiosa, più l’individuo ad essa sottoposto è parso incline a

proiettare su spazi immaginari l’idea di una esistenza libera da ogni costrizione.

Parallelamente, dunque, alle regole della vita civile e all’obbligo di fare buon uso del

proprio tempo, si costruisce l’immagine antinomica di un ozio non ancora colpevole

o quella di un riposo futuro, riservato come ricompensa a coloro che non si saranno

dati riposo nella lotta contro le forze ostili alla salvezza; o, infine, quella di una vita

pastorale, in cui la necessità del lavoro e dell’organizzazione del tempo sia meno

pesante. Si potrebbe giungere sino ad affermare che, nella storia della cultura, il

privilegio dell’atemporalità riconosciuto ai fittizi giardini della felicità – paradisi,

‘paesi di nessun luogo’, Arcadie – ha corrisposto, in forma inversa e simmetrica,

alla costrizione che sottoponeva il tempo della vita quotidiana all’obbligo di un

uso scrupoloso. E, paradossalmente, sembra che lo sforzo volto a scongiurare

l’improduttività della pigrizia e dell’imprevidenza abbia contribuito a rendere

desiderabile un ozio liberato dal tempo, offerto in un orizzonte che trascendesse

la necessità delle occupazioni pratiche e della misura del tempo.

(Jean Starobinski, L’ordine del giorno)

Da  http://lazzari.myblog.it

      www.giulianolazzari.com

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CHE COS’E’ IL GENIO? (2)

                                    

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L  problema

del genio è stato una preoccupazione costante di R.W. Emerson,

che è la mente d’America, come Whitman è il suo poeta e Henry

James il suo romanziere.

Per Emerson il genio era il dio che abbiamo dentro di noi,

l’essenza della ‘fiducia in se stessi’.

L’essere dell’uomo, in Emerson, non è dunque costituito

dalla storia, dalla società, dal linguaggio.

E’ originario.

Io sono completamente d’accordo.

Se il genio è il dio che abbiamo dentro di noi dobbiamo cercarlo lì, nell’abisso del

nostro essere originario, un’entità sconosciuta a quasi tutti coloro che l’hanno spiegata

ai giorni nostri, nelle università intellettualmente derelitte e nelle oscure fucine sataniche

de media.

Emerson e gli gnostici antichi sono d’accordo sul fatto che ciò che è migliore e più arcaico

in ognuno di noi non è parte della Creazione, né della natura, né di ci che è estraneo a noi.

Ognuno, presumibilmente, è in grado di individuare la sua parte migliore.

Ma come troviamo la nostra parte più arcaica?

Dove comincia il nostro essere?

La risposta freudiana è che l’ego fa un investimento su se stesso e così entra in un individuo.

La risposta degli antichi è che c’è un dio dentro di noi e che questo dio parla.

Io credo che una definizione materialista del genio sia impossibile, ragione per cui l’idea

del genio ha così poco credito in un’età come la nostra, in cui le ideologie materialiste

sono dominanti.

Il genio, di necessità, invoca il trascendente e lo straordinario perché è pienamente

consapevole della loro esistenza.

(H. Bloom, Il genio)

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